Eugenio Donadoni

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Eugenio Donadoni (1870 – 1924), critico letterario italiano.

Citazioni di Eugenio Donadoni[modifica]

  • Le Barbare sono serti di fiori posti su delle tombe; o corone di cipresso appese ad abbandonate are votive. Il Carducci è apparso come un superstite di altri tempi... E della sua solitudine ebbe anch'egli coscienza. Onde quella tristezza elegiaca di parecchie, delle più belle e più sincere forse, delle Odi barbare: quella quasi nostalgica adorazione di rovine... (da Commemorazione di Giosuè Carducci, in Scritti e discorsi letterari, Firenze, 1921, pp. 251-290[1])
  • Il Carducci è l'ultimo dei poeti dell'Italia antica, più che il primo dei poeti dell'Italia nuova [...] (da Commemorazione di Giosuè Carducci, in Scritti e discorsi letterari, Firenze, 1921.[1])
  • Nel Foscolo è visibilissima quell'aria di irrequieto dolore, quel desiderio di pace e di oblio, che fu sì comune agli uomini e agli scrittori della generazione romantica, e che trovò forse la sua espressione artistica più intiera nel Renato di Chateaubriand. Questo lettore di Plutarco, questo che più volte si professa stoico, quando si scopre senza posa a sé e agli amici è un ammalato dei mali profondi delle età di transizione: non molto dissimile in ciò dal Petrarca, di cui perciò comprese così bene gli spiriti. (da Ugo Foscolo pensatore, critico, poeta, Milano-Palermo-Napoli, Sandron, in Protagonisti della civiltà letteraria nella critica, p. 524)
  • A lui che abbiamo veduto pensare che la giustizia sia la sanzione della forza, la coscienza insegnava che la giustizia è nulla senza l'equità. A lui che pensava che la virtù è una forma di larvato egoismo, la coscienza imponeva di guardare alla virtù con altro occhio che di scettico: contraddizione magnanima, nella quale cadde anche il Leopardi. (da Ugo Foscolo pensatore, critico, poeta, Milano-Palermo-Napoli, Sandron, in Protagonisti della civiltà letteraria nella critica, p. 529)

I principali scrittori italiani dal 1550 al 1700[modifica]

  • I Gesuiti si introdussero nella società elegante, nelle Corti, raccomandati dalla cultura, stimabili generalmente per una vita di maggiore austerità e dignità che non quella degli altri ordini monastici. E diventarono così una formidabile potenza politica. Ma di preferenza i Gesuiti si impadronirono dello strumento che più direttamente avrebbe foggiato le coscienze dell'avvenire: la scuola : specialmente la scuola, onde sarebbero uscite le classi dominanti: l'Università e i corsi che noi chiamiamo secondari, e allora si chiamavano di umanità. Coi Gesuiti la scuola – contrastata tra ecclesiastici e laici e poi prevalentemente laica nel periodo umanistico – ridiventa ecclesiastica e confessionale. E si cerca di isolarla sempre più dalla vita e dagli esempi della realtà con la istituzione dei collegi, onde gli alunni escano perfettamente foggiati sulla mentalità e spiritualità dei maestri. (p. 10)
  • [...] anche il Chiabrera credeva, come il Marini che «la poesia è obbligata a far inarcar le ciglia». (p. 78)
  • [...] nell'Arcadia prosperò una poesia fiacca, leziosa, che voleva essere semplice, e che non riusciva che alla posa della semplicità; quando pure non perdurò la sonorità gonfia del Seicento. (p. 84)
  • Il Bartoli rappresenta la mentalità tipica del letterato del Seicento: meravigliosa padronanza della forma, assoluta mancanza o deficienza di pensiero. Non si direbbe davvero che egli sia venuto al mondo una generazione dopo il Galileo e il Sarpi. (pp. 109-110)

Note[modifica]

  1. a b Citato in I classici italiani nella storia della critica, opera diretta da Walter Binni, vol. II, da Vico a D'Annunzio, La Nuova Italia, Firenze, 1973, p. 570.

Bibliografia[modifica]

  • De Marchi e Palanza, Protagonisti della civiltà letteraria nella critica, Antologia della critica Letteraria dalle Origini ai nostri giorni, Casa Editrice Federico & Ardia, Napoli, 1974.
  • Eugenio Donadoni, I principali scrittori italiani dal 1550 al 1700, Federazione italiana delle biblioteche popolari, Milano, 1916.

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