Adolfo Albertazzi

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Adolfo Albertazzi

Adolfo Albertazzi (1865 – 1924), scrittore italiano.

Incipit di alcune opere[modifica]

Il diavolo nell'ampolla[modifica]

Le figurine[modifica]

— Mulattiere!
Al vicino, che gli chiedeva del suo servizio, rispose con l'impeto d'una coscienza aperta a tutti i doveri e a tutti i pericoli della carica. E per dimostrarne meglio la gravità, aggiunse:
— Addetto al vettovagliamento!
Anche la voce, forte, sonora, era espressione di vigoria.

Il camiciotto rosso[modifica]

Un discorde mugliare: richiami angusti di vitelli, come impediti da un soffocamento; aperte, disperate invocazioni di madri; risposte lunghe, come estratte dal torace profondo, di buoi. E uno strepito di campanacci e un romore di voci umane.

La cassaforte di don Fiorenzo[modifica]

Quando don Fiorenzo fu in fondo alla chiesa, si voltò, disse a bassa voce: — Signore, ve li consegno a Voi! —; e segnatosi con la solita rapidità, uscì.
Il cielo schiariva. Pallidamente, il sole intiepidiva l'aria invernale. E il prete si mise a sedere sul gradino per riscaldarsi un poco al sole e quasi per rischiararsi lui pure dentro, nell'animo, che una commozione strana conturbava: di letizia amareggiata da un prossimo timore; di gioia impedita da una persistente gravezza.

La forfecchia[modifica]

Gli uomini e le ragazze — cominciata la mietitura — prestavan opera fuori del fondo, e le donne erano andate tutte e tre al fiume, a risciacquare il bucato, perché nel rio vicino mancava l'acqua. A guardia della stalla avrebbe dovuto rimanere il garzone; e a servire il vecchio, se lo chiamasse.

La ciocchettina[modifica]

Abitavano nello stesso sobborgo e ogni sera rincasavano insieme, dalle sartorie ove lavoravano, prima in tram poi a piedi. In tram era un divertimento per tutte: cicaleccio, motteggi, compiacenze d'essere osservate e d'osservare le meno belle di loro; ma nel tratto a piedi seguivano le confidenze d'amore e le espansioni sentimentali; mutava il tono. E l'Ida, la più giovane delle tre, interloquiva di rado; si sentiva a disagio per un misto di timidezza e d'orgoglio.

Il nido[modifica]

Mai più splendido cielo; mai aria più olente e queta.... E soli lor due andavano per l'argine che limitava la risaia dall'immensa prateria.
I colori del maggio inoltrato vi superavano la verde mèsse e la trapungevano: giallo di graziole, di tulipani e ranuncoli; lilla di porrette; gridellino di vecce; viola di prunelle e di salvie; bianco di ornitogali e nigelle, di eriche e giunchiglie; rosa e azzurro di giacinti; bleu di fiordalisi; rosso di trifoglio e papaveri. E margherite da per tutto. Quante!

Ferdina[modifica]

Appena fu in condizione di poter uscire dall'ospedale, il maggiore Baredi scelse a dimora per la convalescenza la sua villa di Casaglia. Gli erano concessi due mesi a rimettersi del sangue perduto da una ferita che era stata quasi mortale, al petto, e da un'altra, al capo, che gli aveva deturpata la guancia sinistra per sempre. E oltre che ricuperare le forze respirando la pura aria nativa, egli sperava che lontano dal mondo, solo con sè stesso e coi ricordi famigliari, mitigherebbe la rancura compressa nell'animo e temprerebbe l'animo più virilmente al proposito della vendetta.

Il chiodo[modifica]

Quasi in mezzo al viale, fuori della polvere, un chiodo arrestò lo sguardo, il passo e il pensiero del conte Mauro. Era un chiodo ancora buono, benché un po' arrugginito e storto. Quanti l'avevano veduto? E perché nessuno di quanti l'avevano veduto si era chinato a raccoglierlo? Trovate le risposte, del resto semplici ed ovvie, lo prese su lui, e seguitò la passeggiata verso la chiesa dei Cappuccini.

Cinquantamila lire[modifica]

Al triste annunzio — il commendatore Demetrio Lecci, nell'attraversare la strada, era stato investito da un'automobile; commozione cerebrale e lesioni interne; smarrimento della coscienza; nessuna speranza —; appena ricevuto il terribile annunzio, Corrado Amaldi aveva lasciato in casa la moglie, affranta essa pure, angosciata e tremante, ed era corso al letto dell'amico.

La stella Sirio[modifica]

Alfonso Graldi entrò nella stanza del fratello e gli chiese:
— Hai sentito che cosa han detto le Raffi: dei socialisti e di Turri?
Raimondo lo guardò, e tacque. Non ricordava e ricercava nella memoria. Ma Alfonso interpretò quel silenzio e quello sguardo quali segni di apprensione per lo stesso suo dubbio e di timore per una deliberazione grave. E disse, calmo:
— Sta attento.
Poi, dominandosi e augurando la buona notte, uscì.

L'asino nel fiume[modifica]

La maggior piena era passata: ora la fiumana, contenuta nella parte più bassa, scorreva rapida, ma a piccole onde lievi lievi che s'inseguivano riscintillando. Il sole, nel sereno purificato dalla pioggia della mattina, la irradiava, vi si rifletteva quasi in liquido argento; e ove dilagava nel letto più ampio, l'acqua pareva espandersi dall'agitazione del mezzo e indugiare, di costa, in un tremolìo fulgido, frequente e incessante; come in una trepida gioia infinita.

Il diavolo nell'ampolla[modifica]

Nella nobile città di Burgfarrubach un piccolo spirito maligno faceva da un pezzo questo curioso scherzo: quando un sacerdote, chiamato per scacciarlo dalla casa che metteva a soqquadro, procedeva nell'esorcismo, non ne aspettava il compimento; scappava via troppo presto, lasciando l'esorcista con un palmo di naso. E appena era al nuovo luogo e un altro esorcista arrivava con le benedizioni, le maledizioni e gli scongiuri — fst! —, esso ripeteva il giuoco.
Così nessuno aveva mai potuto rimandarlo una buona volta, per sempre, all'inferno.

In faccia al destino[modifica]

Ero da pochi giorni a Valdigorgo, e già deluso nel tentativo estremo per cui mi ero trasportato da Molinella, alla casa dell'amico Moser, alle Prealpi.
Non avevo avuto la speranza che l'aria di lassù mi purificasse lo spirito; soltanto avevo pensato che la famigliarità con gente di cuore potrebbe scuotermi il cuore. Tre anni innanzi, quando combattevo i primi fieri assalti del nemico insorto in me, non avevo attinto lassù, nuove forze alla resistenza? là non avevo provato il sollievo di lunghe tregue?

Novelle umoristiche[modifica]

Il suicidio del maestro Bonarca[modifica]

Felicità è una vana parola? — Persona alta e forte; baffi neri e fieri; voce baritonale e, se bisognava, imperiosa; eppoi: un pennacchio bianco al kepì; spada al fianco e assisa quasi militare; saluto alla militare dai subalterni; dominio sul palco in piazza a dirigere la banda nei giorni di festa; precedenza a tutti nelle processioni e nei trasporti funebri; direzione dell'orchestra in teatro; autorità di maestro sui cittadini idonei alla musica; autorità di cittadino notevole; stipendio sufficiente per una vita tranquilla; tranquillità di scapolo: tutto ciò dovrebbe pur bastare a rendere felice un uomo!

La giocatrice[modifica]

Con un semplicissimo ragionamento, e chiarissimo, Gianni Limosa avrebbe dovuto convincersi che il suo affetto non escluderebbe mai dal cuore di Claudia Verbani l'affetto delle carte; che Claudia giocatrice — eppure così bella, così giovane, così vedova! — non aveva, nè avrebbe mai più, tempo, voglia, affanni d'amore.

Doni nuziali[modifica]

.... — Gioielli, no; che a te come a me non piace il lusso; e neanche alla sposa, speriamo. Dunque?
— Ma niente, zio.... Non si disturbi!
— E tu dàlli! Torno a dirti che non voglio sfigurare in faccia a nessuno. Cosa daranno i parenti della sposa, quelli così signori? E i testimoni?
— Ma....

Dall'Eldorado[modifica]

Raccogliendo e riprendendo con la sinistra la scarsa barba, dalla tavola a cui sedeva Polla guardava a quanto poteva scorgere del temporale. Passavano di furia i nuvoloni neri: uno ne dilacerò un fulmine. E cominciava a piovere; nè ancora cessava il vento che faceva sbattere le imposte, da Polla lasciate sbattere.

Il cappello del marito[modifica]

Di due amici, Giulio Galardi e Alfonso Varchi, quello che, agiato di casa sua, apparentemente non aveva nulla da fare, viveva scapolo; e l'altro, direttore di una grossa azienda, commerciante, consigliere comunale e membro di commissioni e istituzioni e opere pie, l'altro, il quale aveva tanto da fare, s'ammogliò.

Efficacia d'una giarrettiera[modifica]

L'ora pericolosa non è l'ora del confessionale, quando abitudine o gravezza o vigile coscienza delle divine funzioni assunte per rappresentanza mortifica ogni senso. Nemmeno è l'ora del riposo, quando in letto molle e caldo tornano alla memoria le dure veglie degli anacoreti e dei Padri e le dibattute vittorie con i demoni nel deserto: il pericolo è all'ora della siesta; quando mentre fermenta il cibo nello stomaco e nelle vene il sangue fluisce più abbondevole, una dolcezza sale o scende, non si sa di dove, a cullare il pensiero che si quieta, e l'anima (fuori sia freddo o il sole si spenga nella rossa calura dell'agosto), l'anima risponde all'anima in cui avrebbe dovuto integrarsi e che, ahi, le fu tolta, e il cuore domanda un altro petto che l'ascolti. Sembra l'anima o il cuore; e sono forse i fumi del vino. Ma allora basta — e grazie se si abbia! — il cuore d'un amico. Se no: — Chiamatemi il sagrestano per la partita (a carte o a bocce)! Presto! —

La fortuna di un uomo[modifica]

Lo zio Giorgio Bicci era noto a Bologna quale curioso tipo di patriotta, di filantropo, di pensatore profondo e di parlatore arguto. Se fosse stato uno scrittore, gli eruditi l'avrebbero forse assomigliato a qualche filosofo umorista moderno e accusato di plagio, quantunque egli non leggesse che i classici latini e i giornali quotidiani. Scapolo e scettico, come in molte cose, intorno alle donne, viveva d'amore e d'accordo con soli il servo Luigi e il nipote Gaspare. Ma questi, al contrario dei più, non poteva credere che lo zio non avesse mai amato alcuna donna.

Una «scampanata»[modifica]

In Romagna.

Tornavano dalla parrocchia, dopo i vesperi, frotte loquaci di donne, uomini e fanciulli e coppie amorose, sorridenti o serie nel loro bisbiglio; i dami col garofano all'occhiello.

Il polso[modifica]

Nel settecento:

per i mariti d'oggidì.

Difficile dire se il conte La Fratta amasse più sè stesso o la marchesa Arnisio; ma poiché per acquistarsi dal mondo e dalla marchesa la lode di cavaliere perfetto e per secondare gli stimoli del cuore insisteva da un anno a servire con cura paziente e con indulgente costanza una dama così mutabile di pensiero e di animo, egli certo amava troppo sè stesso e oltre il necessario a un cavalier servente egli amava l'Arnisio.

Come finì la Modestia[modifica]

Bum! bururùm bum bum! — Bururùm bum bum! — Bum! Barnùm! — Cium! papaciùm! cium cium!

················

La donna umile: — Che cos'è questo fragore? questo squillar di trombe, strepitar di piatti e tuonar di gran cassa? Chi arriva?... Oh! una carrozza a quattro cavalli: anzi, un carro trionfale; su cui troneggia la più bella donna che io vedessi mai! Ha gli abiti mirabilmente variopinti e fulgidi di gemme; e sotto di lei siedono gentiluomini in tuba e cravatta bianca. Qualcuno invece della tuba porta una corona d'alloro; qualcuno agita un ramo di mirto; qualche altro ha il viso da bestia, fors'è una bestia.... Io arrossisco a lasciarmi vedere. Mi nasconderò dietro la siepe.

L'entusiasta punito[modifica]

Per l'abuso che ne fecero i poeti, chi ammira più i palpiti e i raggi delle stelle? Ma l'anima di Carlo Dònnola ancora aveva rapimenti a un fulgido cielo. Nemmeno gl'innamorati oggidì s'intendono nella bramosia dell'argento lunare e preferiscono la povertà delle tenebre; ma Carlo Dònnola beveva il latte della luna con tal gioia che le pupille gli s'inumidivano come a uno spirituale liquore s'inumidiscono le pupille d'un ebro. E se in noi fu esausta dall'artificio l'ammirazione per i fiori, tanto che d'una rosa fresca diciamo «sembra di seta o di cera», a Dònnola una viva rosa carnicina sembrava tuttavia di «carne»; e contemplata e annusata a lungo una bella rosa pallida, egli elevava il naso elevando gli occhi, come a una visione, e «Dolce signora — esclamava mestamente — io v'amo!»

L'agnello[modifica]

Bèee....
Niveo bioccolo, con le quattro zampe legate in mazzetto; raccolto, dentro il canestro, nel giaciglio di erba ancor fresca, a quando a quando l'agnellino alzava il capo, che subito gli ricadeva come in un abbandono o in un esaurimento di disperazione. Allora sui miti occhi cristiani cadevano le palpebre; indi, ecco: languido languido lo sguardo sembrava cercar di nuovo la landa troppo presto perduta e di nuovo spegnersi a quel fervore di luce, mentre dalla gola riarsa e dal petto ansioso tornava l'invocazione della perduta madre:
Bèee.

Il falcone[modifica]

Nel medio evo:

per le signore d'oggidì.

Il castellano di Ripalta s'era allevato con amore un valletto di nome Ugo e con desiderio, esercitandolo a cavalcare e ad armeggiare, attendeva il giorno che lo armerebbe cavaliere. Nè di quel bene del signore per il valletto ingelosiva madonna Ginevra, poiché la giovinezza di lei fioriva infeconda e il ragazzo, tenuto quasi in conto di figlio, le risparmiava i rimbrotti del marito.

In Arcadia[modifica]

Rioronco, su l'Appennino, è lontano quasi trenta miglia da Bologna e dieci dal men grosso paese, Castello. La strada che vi menava una volta era per lungo tratto il greto del fiume Idice, e poi una carraia, stretta fra balzi e rotta spesso da lavine, della quale non avrebbe potuto rendersi comparativa idea neppure chi avesse vista una via di Milano scomposta per prova di un nuovo pavimento. Ma, or è qualche anno, fu condotta dalla costa dell'Idice una strada comunale che passando di lassù doveva contribuire anch'essa ai fatti di questo racconto. E lassù, dal sagrato della chiesa, il luogo è delizioso: aperto davanti e al di sopra di colline o più basse montagne, di cui una ha nome dall'antica Pieve, e chiuso, dietro, da monti più alti, su cui sorgono evidenti i tozzi campanili di San Martino, di San Giorgio e di Cignano. Fra i castagneti appaiono le case bianche; tra balze, fratte e pioppi il rio va a cadere nell'Idice, che ai dì sereni si distende in nitido e obliquo letto per la plaga occidentale, alla pianura.

Parvenze e sembianze[modifica]

Liberalità di messer Bertramo d'Aquino[modifica]

La corte di Carlo primo d'Angiò dopo la strage di Tagliacozzo e poscia che da un colpo di scure fu troncata l'adolescente baldanza di Corradino di Svevia, fioriva di nobili donne e baroni e cavalieri e splendeva in magnificenza di conviti, danze, tornei e feste mai piú vedute.

Chi di gallina nasce...[modifica]

Il dí che in Firenze per frenesia di Francesco De' Medici era imposta su 'l capo di Bianca Cappello la corona di granduchessa, in Bologna Ercole e Alessandro Bentivogli facevano "dinanzi a casa loro correre a' cavalli dei Monari dodici braccia di grossogron et una berretta di panno in segno d'allegrezza"; ma Pasquino domandava al conte Ulisse Bentivogli, il quale da tre anni era marito a Pellegrina figliola di Bianca e di Pietro Bonaventura:

Si Cosmi titulos Virgo foedavit Hetrusca
Quid faciet meretrix, heu, peregrina tibi?[1],

e nella interrogazione epigrammatica rideva una profezia. Spiace per altro non conoscere tutti i miracoli di cotesta contessa, che, se vera la storia, un'ultima colpa condusse a perire in età di trentaquattro anni piú miseramente di sua madre.

Gregorio Leti spirito satirico[modifica]

Non fu tutto merito e tutta colpa dello zio vicario se Gregorio di giovane scapestrato divenne uomo d'austeri costumi; d'incredulo cattolico fidente calvinista e di fanullone uno scrittore fecondissimo. Già nella fanciullezza e giovinezza prima troppo l'avevano fatto digiunare e dir pater noster e servir messe e baciar mani sporche di preti e di frati quelle due figure paurose del padre Merenda e di Don Grassi.

Punizione[modifica]

Ammirata dell'opera fine e vivace delle miniature la signora aveva molte esclamazioni e troppe interrogazioni per ciascuna pergamena che le ponevo sott'occhio: — Che significa quest'allegoria? — Che festa solenne sarà questa a cui concorre sí lunga fila di dame e gentiluomini? — Chi è questa regina che scesa dalla carrozza a sei cavalli s'inginocchia dinanzi a un cardinale? — Che bel teatro, e quanta gente, e curiosi i comici in scena! Forse è un teatro di Bologna? — Sono scienziati o diplomatici costoro in grave radunanza?; — ond'io piú d'una volta mi confusi a rispondere o non risposi, ed ella levò a me gli occhi, ahi!, sorridenti, come le labbra, di sottile sarcasmo.

Molto rumore per nulla[modifica]

Questa, a linee brevi d'umile prosa, la figurina di un giovane che a mezzo il secolo decimosettimo derivasse dalle mode francesi la virtú di piacere molto alle donne e piú a sé medesimo.
Di sotto il cappellaccio bigio, povero di falde e ricco di nastri e fiocchi a vari colori, l'onda dei capelli, naturali o finti, diffusa su 'l largo collare; diffusa su lo stomaco e sfuggente dall'apertura del farsetto di "gialdiccio", la camicia sottile e candida; i calzoncini strettissimi, verdi, a liste di passamani, trattenuti da lucide stringhe sotto il ginocchio; e quindi le calze rosse o bianche (bianche ne' partigiani dei Francesi e rosse degli Spagnoli) a seconda dell'opinione politica. Ma al diavolo la politica!; e per seguire in tutto la moda di Francia, meglio che le scarpette coperte in punta da grandi rose di seta e d'oro, due stivalacci coi calzari a rovescioni su 'l collo del piede.

Sicut erat......[modifica]

Quell'onesto e tranquillo sorriso che di fra i baffetti e il pizzo esce a rischiarare, meglio de' grossi occhi, una faccia lunga e magra quanto la faccia di Carlo quinto, e quell'umile dito che accenna all'alto del ritratto, ove, entro una raggiera di sole, alcuni V, iniziale di veritas, spiegano le parole scritte fuori all'intorno "et in cælo sicut in terra", insistendo nella mia fantasia vi si trasformano a importuni segni di minaccia.

I novellatori e le novellatrici del "Decamerone"[modifica]

Prima la regina, Pampinea[2].

Ella, piú adulta, è anche piú esperta e riflessiva delle altre sei donne; come Panfilo, il quale le siede a lato, è tra gli uomini il maggiore in età e il piú avveduto e assennato: per questo l'uno e l'altra si distinguono dai loro compagni; si distinguono tra loro per ciò, che Pampinea, come donna, è piú sagace, Panfilo è di pensieri piú profondi.

La novella di Fiordiligi[modifica]

Iroldo amava Tisbina come già Tristano amò la regina Isotta, e quanto bene Isotta volle a Tristano, Tisbina voleva ad Iroldo: per questo vivevano lieti e contenti. Ma in digrazia d'entrambi la bella dama, trovandosi un giorno con molte persone a un suo giardino in Babilonia, ebbe vaghezza di certo gioco pe'l quale alcuno, nascostole il capo in grembo e levata una mano dietro il dorso, dovea indovinare chiunque veniva a batterlo su la palma; e secondo la sorte e la vicenda del gioco anche Prasildo s'inginocchiò dinanzi a Tisbina e le posò il capo nel grembo.

Top[modifica]

Il cane dello zio Prospero[modifica]

— Top!
Il cane seguitò per la sua strada, proprio opposta a quella da cui veniva il padrone — Prospero Marzioli — nel tornar a casa.

Le penne del pavone[modifica]

Andar a bruscolare anche allora significava in pratica, più che la parola non dica, raccogliere, per bruciaglia, stipa grossa e bacchetti lunghi, e se nel luogo della ricerca si trovavan begli alberi frondosi la coscienza non escludeva qualche strappo o taglio di materia non secca. La massima antica che «la roba dei campi è di Dio e dei Santi» pareva dar diritto, allora, a portar via qualche cosa appartenente ad altri; e poiché oggi il diritto nuovo pare conceda di portarla via tutta, o quasi tutta, evidentemente la roba dei campi sarà oggi passata in padronanza superiore a quella dei Santi e di Domineddio: il mondo non cammina per nulla.

La fiumana[modifica]

Che gli asini camminando più o meno piano per la strada maestra si provino a prendere ogni viottola che scorgono di qua e di là, si capisce. La strada larga e bianca, precorrente senza limite visibile, suscita in loro l'idea e il panico dell'infinito; e poiché sanno per esperienza come da colui che trasportano e che li guida e bastona ci sia da aspettarsele tutte — e non sarebbe da meravigliare neppur il proposito, in lui, d'andare all'infinito — essi dalle viottole laterali han l'illusione o la conoscenza o la speranza di un termine prossimo, e tentano rivolgersi a quello.

A Sant'Elpidio[modifica]

— Ed Elena Baschi, così intelligente, così bella?
— Sempre lassù, tra i monti, a Sant'Elpidio, dove andò maestra la prima volta.
— Maritata?
— Nemmeno.

L'ombrello[modifica]

Si accompagnarono, per caso, un pomeriggio del giugno, ai Giardini pubblici, e godettero a trovarsi coetanei o quasi. Ottantatré, ne aveva l'uno — Ceccuti —; ottantaquattro, l'altro — Boldrighi.

Ci vuol pazienza![modifica]

Dopo i saluti, così affettuosi che tolsero subito d'imbarazzo il suocero e la suocera, il colonnello avrebbe voluto salire alla sua camera. Ma prima dovè far la conoscenza della cagnetta, che si era precipitata dalla cuccia per abbaiargli contro, e del gatto che la signora in gran fretta aveva salvato da un prevedibile assalto della nemica raccogliendolo maternamente nelle sue braccia. Ah i fasti della Lillín e di Rossello! Che peccato, però, non andassero d'accordo e i loro litigi sconcordassero talvolta anche la coniugale armonia del signor Astolfo, protettore dell'una, e della signora Amalia, protettrice dell'altro!

Francesco mio...[modifica]

Aveva tanta sensibilità e fantasia così primitiva, tanta cedevolezza alle impressioni e ingenuità di commozioni che gli bisognava umanare tutte le cose; e se queste doti bastassero da sole a fare un poeta, sarebbe stato un poeta ammirato fors'anche dai critici e dagli editori, ricco e felice. Mancandogli quel che gli mancava era invece soprannominato Mattucco, e campava di piccole mance e di carità.

Simpatia[modifica]

Bontà e forza: con questo temperamento e carattere ce n'è ancora della gente nelle nostre campagne; temperamento e carattere dell'italiano pretto nel pensiero e nelle vene. Esempi? Eccone uno, assunto dalla più umile verità.

Nella Romagna d'una volta[modifica]

A ricevere la seconda lettera con cui, goffamente, Nino Galastri le chiedeva di sposarla, Livia perdè la pazienza e rispose un semplice no. Inesperta, com'era, del mondo, non rifletté ai diversi gradi di tono e di significato che, sino alla ripulsa oltraggiosa, può assumere un no scritto; castigando una indiscreta vanità, non ebbe il dubbio di offendere l'orgoglio paesano, il quale, ferito, ferisce col morso e il veleno della vipera; e conoscendo la fierezza del nonno, non domo dagli anni, dubitò invece di far male a rivelar la cosa a lui. Nè la vendetta tardò a giungerle: terribile perché l'armava la pubblica malignità, perché la sosteneva un'accusa copertamente diffusa e inoppugnabile, perché disonorava il suo nome.

Valentino e Lucilio[modifica]

L'auriga Libanio in carcere! Forse condannato a morire per la rivalità del padrone. Ne amava una bella schiava, giovinetta. Questa la sua colpa! E Boterico, il barbaro divenuto governatore a Tessalonica, aveva dunque ricevuto il battesimo per essere più crudele? cristiano, trattava così i suoi servi? ascoltava così gli ammonimenti dell'imperatore: che governasse con prudente consiglio e cuor buono?

La passione d'un gentiluomo veneziano[modifica]

Il «magnifico» gentiluomo Alvise Pasqualigo...
Non vi aspettate una fastidiosa novella in vecchio stile e vecchia forma. No, è un racconto di amore che si può dire di ieri e d'oggi. Perché, come la passione è eterna nella sua vicenda di colpa e castigo — il castigo che la colpa ha in sè stessa — così ne è vera, e viva, e commossa, e attraente l'espressione, quando è sincera e priva di letteratura. E se qualche cosa varia, varia nel costume e nell'ambiente: ciò che giova nell'apparenza della novità.

Compassione e invidia[modifica]

C'è chi ha bisogno di essere invidiato e chi ha bisogno di essere compianto: forme opposte di uno stesso egoismo e di uno stesso malcontento.
Dopo vent'anni di separazione Aldo Varni, commerciante venuto da Milano, e Michele Bragozzi, piccolo possidente che non aveva mai oltrepassati i confini provinciali in nulla, si erano rivisti un giorno per caso, e avevano rinnovata l'amicizia di compagni di liceo.

Un martire della verità[modifica]

— Peralti! — esclamarono gli ascoltatori. — Carmelo! Il nostro Carmelo!
Già: Carmelo Peralti, il loro compaesano, da qualche anno entrato nella Pubblica Sicurezza e perciò rinnegato da tutti.

Il vitello[modifica]

20 luglio.

Ma sì! Per il mese che potrò restarci in riposo e quiete il luogo mi piace. Pura l'aria che cala dai monti e sale dal fiume; bella la vista dalla mia finestra; fresche le ombre d'intorno: un senso d'antica pace contiene questa vecchia casa dai muri massicci. E i padroni di casa son ricchi d'antico stampo, ricchi che lavorano la terra e mostrano nell'onesta faccia e nei modi franchi una semplicità cordiale. Non ci siamo mai visti prima d'oggi, e ci siamo riconosciuti subito. I due vecchi — il reggitore e la reggitora — m'han chiesto tante scuse non so di che, asserendo per altro che qui starò benone; nè m'han detto d'aver dubitato che rinunciassi a venir da loro perché ci hanno, in casa, una parente malata. La casa è così grande! E io non debbo darmene pensiero; non debbo nemmen sapere in che camera giaccia quella poverina: debbo godermi senza fastidi la bella campagna, e nessuno mi disturberà. Sono libero! solo!

Zvanòn[modifica]

Lo rivedo ancora bene — Svanòn — nella penombra della memoria: alto, massiccio, imponente quale un gigante a me bambino, e strano per gli occhi chiari cilestri in contrasto con il viso bruno e i baffi e i capelli neri. E ne ho precise in mente le parole, perspicue le attitudini di quando la mia anima e la sua ebbero dalla sorte una vicendevole tragica apprensione. Ma poco o nulla io ricordo dei suoi modi con gli altri; non so se agli altri apparisse temibile come a me, eppur buono; se con gli altri ridesse come con me quasi cedendo a una giocondità improvvisa; se la dolcezza del suo sguardo fosse turbata spesso, non fosse più di un fuggevole consenso alla debolezza e alla letizia delle piccole creature.

La casta Susanna[modifica]

L'orrida bellezza dei «calanchi»! Dalla parte ove il monte dirupa nella Landa sino al limpido rio quella rovina par l'opera d'una gran fantasia turbolenta e ansiosa che la morte abbia interrotta, improvvisamente freddata quasi a castigo d'orgoglio; e l'anima che ammanta di verde i dorsi al di sopra e riempie la valle di colori e di voci lì sembra tenuta in un lungo stupore, sembra attonita e stanca in un sogno che fu e non è più pauroso.

Buona gente[modifica]

La fattoria vecchia, grande come un castello, con davanti l'ampio prato e lo steccato in mezzo per i puledri, e il muricciuolo di cinta investito dai capperi (il profumo di questi fiori, così tenui, al luglio!); la montagnola della conserva che le acacie difendevano dal caldo; l'orto con la vasca (belle, ora, anche le salamandre!); eppoi i campi di grano e di canapa, tra gli olmi, belli...

Il testamento[modifica]

Instaurato che sia il Comunismo non si udrà più ripetere quel che nel paese di San Giorgio al Piano fu ripetuto nei caffè, in ogni bottega, in ogni casa, in ogni canto alla morte repentina del sindaco comm. Ceredoli: — Ha fatto testamento? — Non l'ha fatto? — Eredi i figli e le figlie in parti uguali? E la vedova? La legittima alla moglie? l'usufrutto? Di quanto? — Quanto avrà lasciato? Un milioncino? Meno? Più?

Che cosa è il mondo?[modifica]

È enorme il mistero dell'Infinito, ma è enorme anche il naso del signor Petronio. Dicono che in origine non era così, che lo trasformò una malattia; e certo chi lo veda, quel naso, la prima volta, pensa subito a una di quelle conflagrazioni di sostanze misteriose e recondite, a una di quelle eruzioni vulcaniche o a uno di quei terremoti per cui una bella montagna andò sottosopra e rimase tutt'un disordine di lavine e rocce, anfratti e magagne, precipizi e rupi; non senza le tracce che in tali rovesci lascian gli uragani e vi rinnovan le tempeste. (Fuori di similitudine, l'uragano o la tempesta potrebbe essere il vin buono!).

Nell'anno XX della Re-So-Eu[modifica]

Quando, nel quattordicesimo anno della Re-So-Eu (Repubblica Sociale Europea; 2010 d. C.) i radiotelegrammi, gli eliogrammi e ogni sorta di elettrogrammi annunciarono l'invenzione del dottor Pantìfilo, la meraviglia non fu quale si crederebbe. Da un pezzo si conosceva la «emostatina», con cui quasi istantaneamente si arrestava ogni più violenta e copiosa emorragia; da forse un decennio era in uso la «sutura spontanea», per cui in breve si cicatrizzavano le più profonde ferite, si riconnettevano i nervi, le vene, le arterie, i tessuti; e fin dal secolo ventesimo era stata intravveduta l'efficacia dei raggi «ultra-rossi» a mantenere la vitalità nervea. E che faceva il dottor Pantìfilo?

Vecchie storie d'amore[modifica]

Il valletto ostinato[modifica]

Il castellano di Ripalta s'era allevato con amore un valletto di nome Ugo e con desiderio, esercitandolo a cavalcare e ad armeggiare, attendeva il giorno che lo armerebbe cavaliere. Né di quel bene del sire pe 'l valletto ingelosiva madonna Ginevra, poiché la giovinezza di lei fioriva sterile ed il ragazzo, tenuto quasi in conto di figlio, le risparmiava i rimbrotti del marito.

Il leardo[modifica]

Nella notte, tra 'l gracidare delle rane e lo stridere dei grilli, gli amanti, che la fossa divideva, mescevano brame molte e piú promesse in lieve suono di parole, come di sospiri.
Essa stava a una finestra del castello; egli di qua dalla fossa, al margine ultimo. Cosí ogni notte, perché ser Lapo, l'avaro signore del Farneto, non consentiva l'amore della figlia con quel povero cavaliere che era Raimondo di Santelmo; e all'albeggiare Raimondo inforcava il suo fido e bel leardo, e Giovanna lo accompagnava con gli occhi intenti finché egli spariva per il bosco.

Liberalità di messer Bertramo d'Aquino[modifica]

La corte di Carlo primo d'Angiò, dopo la strage di Tagliacozzo e poscia che da un colpo di scure fu troncata l'adolescente baldanza di Corradino di Svevia, fioriva di nobili donne e baroni e cavalieri e splendeva in magnificenza di conviti, danze, tornei e feste mai piú vedute.

La salvazione di fra' Gerunzio[modifica]

Da una cella nel monastero di Pentula frate Gerunzio guardava in basso, lontano, sotto un chiaro lembo di cielo la massa scura di Gerico, né poteva pregar bene Iddio; e interrompeva piú volte le preci rituali con preci sue, angoscioso e lamentevole.

Dio lo vuole![modifica]

Con soave accondiscendenza la giovinetta avvolse il braccio al collo di lui e gli rispose con sommissione pudica; poi, stanca, abbandonò il capo al cuscino e a poco a poco, chiusi gli occhi, s'addormentò. Riccardo la sentiva cosí dormire; la sentiva alitare e palpitare, e sembrava che dal contatto gli derivasse allo spirito commosso una tenerezza mesta e un trepido senso di pietà: il suo spirito riagitato da un sentimento piú antico e profondo che l'amore, ma che tuttavia l'amore gli deprimeva dentro, già tremava e sbigottiva in un presentimento di pene prossime e fatali.

Disperazione[modifica]

Di tre vergini, che in una casa presso la chiesa di Rumello vivevano sole nella religione, la piú giovane superava le due altre co 'l fervore della sua fede. Ancora bambina, orfana di genitori nobili, l'avevano condotta seco le due altre e allevata fuori del mondo nel timor di Dio; ed essa era cresciuta fanciulla serbando la mente pura e l'animo semplice nella severa e sincera abitudine della devozione. Neppure le turbò il pensiero lo sviluppo dell'adolescenza: che se talvolta le espressioni dei concetti mistici e quei discorsi delle compagne intorno le nozze con Dio e la dilettazione dello sposo celeste le penetravano nell'imaginativa a suscitarle il sospetto e quasi la sensazione del significato proprio, súbito ritorceva lo spirito piú acceso dal segreto moto sensuale a vedere il Nazareno che accoglieva, irradiato della sua luce eterea e sublime, l'anima d'ogni vergine degna delle sue nozze: la Madonna benediceva sorridendo e sorridevano tutti intorno, tra i concenti di musiche arcane, i santi e i cherubini.

Agnesina[modifica]

Guglielmo Berlinghieri e Rinaldo Imberali erano accesi l'uno e l'altro, ma piú il secondo, d'una bella giovane che aveva nome Agnesina ed era figliola d'una ricca e savia donna di Firenze. Guglielmo, in cambio del suo amore riceveva sorrisi e lusinghe, e Rinaldo invece irrisioni e dispetti; e l'Agnesina che non amava niente Rinaldo s'innamorava senza misura di Berlingieri.

La fantasima[modifica]

Sec. XIV.

Ogni vecchio marito di moglie giovane vivrebbe d'angoscia senza il conforto della religione; e messer Tonio degli Albizeni pregava molto e consumava molto tempo in esercizi spirituali, sí che, nelle ore che gli rimanevano da star con la moglie, il giorno non s'avvedeva di nulla e la notte non si risentiva di nulla. Il mondo diceva che madonna Lisa non era guardinga e che le fiammeggiavano negli occhi le voglie non sazie; ch'essa tutta cascante di vezzi trescava con questo o con quello e che poco schifiltosa variava troppo gli amori; ma messer Tonio bandiva i sospetti con le orazioni e raccomandava al Cielo la virtú di madonna: giorno e notte, nella sua camera, egli manteneva accesa una piccola lampada dinanzi un'imagine sacra; e, mallevadore il prete cui talvolta aveva espressi i suoi dubbi, quella luce valeva a garantirgli l'incolumità del talamo. Infatti nella stanza nuziale madonna Lisa non aveva peccato mai: a pianterreno c'era una camera da dormire, una camera in cui messer Tonio ospitava gli amici e in cui egli non aveva messo piú piede da quando s'era sparsa la voce che ci si vedevano gli spiriti maligni. Madonna Lisa non temeva gli spiriti, anzi non di rado li chiamava lei là dentro; pure come il marito s'impauriva leggendo nelle vite de' santi padri le descrizioni delle orride forme assunte dal demonio per spaventare gli anacoreti e vincerne la resistenza in Dio, e recitava spesso delle giaculatorie che lo difendessero dagli spettri, madonna Lisa biascicava con lui senza ridere le giaculatorie contro gli spettri.

Un'opera di pietà[modifica]

Sec. XV.

Anastasio Bonesi, uno dei mercanti piú noti a Bologna e in Romagna, aveva presa in moglie una giovane di nome Valeria, la quale era bella, di buoni costumi e cosí prudente ed accorta che nelle faccende della mercatura aiutava e consigliava essa stessa il marito. Cristina invece, la sorella di Anastasio, era vana e di poca mente, e credendosi non meno bella che la cognata e sapendosi, al paragone, meno lodata di lei, avrebbe voluto umiliarla, e per coglierla in fallo ne spiava i passi, gli atti, i discorsi. Ma Valeria attendeva ai figlioli e agli interessi della famiglia senz'altro pensiero.

Passione d'un gentiluomo veneziano[modifica]

Lettere di due amanti.

Il magnifico gentiluomo Alvise Pasqualigo, tornato dopo lunga assenza a Venezia, incominciò con lettere impronti e frequenti ad esagerare a madonna Vittoria, come ogni amante che s'accinga a una difficile conquista, la forza e le pene della sua passione: per non darle noia, sette anni era rimasto lontano da lei; tre anni aveva errato pe 'l mondo in vana ricerca di svaghi: sperando che ella almeno gli concedesse di svelarle a voce alcuni segreti, con le fiamme nel cuore era tornato in patria.

La dama fallace[modifica]

Mentre il duca Odoardo Farnese, i Francesi e il duca di Savoia assediavano Valenza, don Alfonso della Torre, il quale era tra gli ufficiali d'Odoardo, ricevette la notizia che suo zio il marchese di Cortemaggiore era morto lasciando a lui, come a giovane savio ed a nipote affettuoso, ogni suo avere; ond'egli, da nipote affettuoso, dimostrò un ineffabile dolore, e da giovane savio deliberò tra sé di godere al piú presto di quella fortuna inattesa. Infatti appena i collegati ebbero tolto, per disperato, l'assedio, egli corse a Parma, ed ivi diede tosto troppe prove di prepotenza e di grandezza: capestrerie, fastosi sollazzi, amori, brighe, soprusi. Né continuò poco cosí; ma quando il duca fu uscito dai travagli della guerra e riprese il retto governo dello stato, chiamò a sé, un giorno, il giovane e turbolento cavaliere e gli propose il dilemma o d'ubbidire alle sue leggi per restare in Parma, o d'andarsene da Parma per non ubbidire alle sue leggi.

Il polso[modifica]

Sec. XVIII.

Difficile dire se il conte La Fratta amasse piú sé medesimo o la marchesa Arnisio; ma giacché per acquistarsi dal mondo la lode di cavaliere perfetto nella stima di lei e per secondare gli stimoli del cuore insisteva da un anno a servire con cura paziente e con indulgente costanza una dama cosí mutabile di pensiero e di animo, egli certo amava troppo sé stesso e oltre il necessario a un cavalier servente egli amava l'Arnisio.

Citazioni su Adolfo Albertazzi[modifica]

  • Dotato d'un incoercibile temperamento d'osservatore umorista e psicologo, indarno si sforzò di reprimere anche tra le annose cartacce i suoi impulsi d'artista. Così accadde questo straordinario fenomeno, un fenomeno, starei per dire, da fiera, come il vitello ermafrodito o l'uomo-pesce: che i libri d'erudizione dell'Albertazzi apparvero, non solo leggibili – il che sarebbe già stato molto singolare –, ma interessanti per gli stessi profani. (Luigi Federzoni)
  • Voi non sapreste concepire Adolfo Albertazzi non bolognese. Bolognesi sono quella bonarietà acuta e saggia di giudizi etici, quella equilibrata compiacenza delle gioie spirituali e materiali, quel predominio del buon senso su tutte le sorprese dell'entusiasmo, quell'arguzia pacifica e assai ottimista che commenta i peccati senza voler ammazzare i peccatori. Bolognese è quell'abbondanza di dottrina e di senno, la quale non vieta, al momento opportuno, d'apprezzare i meriti d'un ghiotto pranzo o di una donna seducente. Parlo, ben inteso, del letterato... (Luigi Federzoni)

Note[modifica]

  1. Ant Fr. Ghiselli, Memorie di Bologna antica, manos. nella R. Bibl. Univ. di Bologna: T. XVI, all'anno 1579 (23 giugno).
  2. La rigogliosa — "Niuna il venti et ottesimo anno passato avea né era minor di diciotto.... Delle quali la prima, e quella che di piú età era, Pampinea chiameremo". (Introd. al Decam.)

Bibliografia[modifica]

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