Alberto Ascari

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Alberto Ascari (1950)

Alberto Ascari (1918 – 1955), pilota automobilistico e pilota motociclistico italiano.

Alberto Ascari, il primo Campione del Mondo per la Ferrari!

Citato in Andrea Rasponi, osservatoresportivo.com, 27 marzo 2020.

  • [In riferimento all'incidente del 1938 con la moto Gilera da cui uscì incolume] Mi convinsi che la fortuna, in quel mestieraccio, era dalla mia.
  • [Agli amici piloti che volevano dissuaderlo dal provare la Ferrari 750, il bolide su cui sarebbe morto all'autodromo di Monza, dacché solo quattro giorni prima nel volo a Monte Carlo si era rotto il setto nasale e contusa la schiena] Nuvolari correva anche con il busto di gesso, se ricordate.
  • [In riferimento alla vittoria del Gran Premio d'Argentina 1953] Quando Fangio è stato costretto a ritirarsi al trentaseiesimo giro, ho avuto la certezza di vincere. Tutto è stato facile, senza Fangio. Il mio amico Fangio è una vera minaccia, è l'avversario più difficile da battere in ogni corsa. Fin dall'inizio mi sono sentito a mio agio, avendolo alle spalle e non dovendo essere io a inseguire.

Citazioni su Alberto Ascari[modifica]

  • [Sull'incidente mortale di Ascari di cui fu testimone] Se devo esaminare, a tanti anni di distanza, quello che avvenne allora, devo giungere ad un conclusione singolare: Alberto Ascari aveva paura. Lo spaventava quel suo destino che immaginava già scritto, quel ripetere a distanza le orme del padre. Già sapeva che il rovescio delle sue doti di asso, dei suoi successi, dei suoi allori di campione del mondo era la morte. Più volte nel 1955 l'avevo sentito dire "io quest'anno muoio". C'erano troppe inquietanti analogie con il padre e la sua tragica fine: l'anno finiva con il 5 (1925 – 1955), entrambi avevano 37 anni, e quel giorno era un 26 (26 maggio – 26 luglio). Alla morte era preparato e l'incidente di Montecarlo deve essergli sembrato una premonizione. Ritenne di dover sfidare il destino, di dimostrare a se stesso di essere sempre Alberto Ascari. Per un pilota come lui era impensabile salire su una macchina da corsa senza il proprio casco, i propri occhialoni, i propri guanti. Eppure, come chiamato da una forza irresistibile, si alzò e se ne andò. (Gigi Villoresi)

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