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Angelo Fabroni

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Angelo Fabroni, lapide commemorativa e busto nel Camposanto di Pisa

Angelo Fabroni (1732 – 1803), storico e religioso italiano.

Elogj d'illustri italiani

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Tomo I

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  • Se l'Elogio di un privato, che abbia promosso le scienze e le arti liberali, deve interessare la posterità, molto più l'interesserà quello di un Principe, che in un secolo infelice per le lettere fece risorgere dalle ceneri, in cui giaceva, la fisica sperimentale che animò l'arti tutte e che fu porto, seno e refugio d'ogni persona, che si fosse dedicata a qualunque nobile impresa. Il nome di questo Principe Leopoldo de' Medici è cosi caro alle Muse, come quello de' suoi maggiori Cosimo il Padre della Patria, Lorenzo il Magnifico e Leone il Pontefice, e merita d'esser posto alla testa d'ogni opera, che sia stata gloriosa per la nostra Toscana nel secolo XVII. (tomo I, pp. 1-2)
  • [...] come Archimede tra i grandi uomini dell'antichità è forse il più degno di esser posto vicino ad Omero, cosi il Galileo lo è di sedere appresso l'Ariosto. Qual maraviglia pertanto se il nostro illuminato Mecenate [Leopoldo de' Medici] era premuroso di esortare e il matematico e il letterato a rispettarsi e ad ajutarsi a vicenda, e a sottoporsi tutti all'impero della filosofia? Citava spesso e volentieri l'esempio del Galileo medesimo, del Torricelli, e de' suoi Accademici del Cimento, ammirabili non meno per le loro scoperte che per l'arte di esporle, e così convinceva o d'ignoranza o d'invidia coloro, che forestieri nel vasto e ricco regno della nostra lingua [italiana], la dicono meno acconcia della Francese per cose di tal maniera. Ella è così doviziosamente fornita d'ornamenti, che può vestirne ogni scienza ed arte, dando a ciascuna quel che le conviene, e in ciò più gloriosa delle altre viventi, perché sempre disposta e pieghevole a ricevere tutte le forme, che l'abilità dello scrittore le vorrà dare. (tomo I, pp. 20-21)
  • Il volgo (nome, che i soli filosofi non abbraccia) il quale ama grandemente di essere ingannato, e che ha tutta la sua speranza nelle cose pellegrine e difficili ad ottenersi, prestava volentieri orecchio al racconto delle mirabili virtù mediche, che si dicevano avere e la pietra del serpente chiamato Cobra de Cabelo ovvero Serpente cappelluto, contro le punture e i morsi degli animali velenosi, e quella (per tacer di altre) dell'Iguana, sorta dì ramarro aquatico, contro i dolori nefritici, il guscio dell'Armadillo contro la sordità e il morbo gallico, le ossa del pesce Donna per arrestare tutti i flussi di sangue, il corno del Rinoceronte per difendere il cuore e la vita da qualsisia veleno, e le corna della Granbestia per guarire il mal caduco, e molte altre simili cose dall'Affrica, dall'Indie Orientali e dalle Occidentali recate in Europa con grandi encomj di chi le spacciava, e con somma espettazione di chi le riceveva. (tomo I, pp. 71-72)
  • [...] tra le molte composizioni, che [Michelangelo Giacomelli] recitò in varie Accademie, alle quali era ascritto, mostrò di gloriarsi specialmente dell'orazione in lode delle belle arti, in cui dopo d'aver dimostrato, che la pittura e la scoltura hanno la lor perfezione dalla geometria e dalla filosofia, dichiara elegantissimamente fralle altre cose, che dalla scienza dei costumi ricevono esse le note, i caratteri delle varie nature degli uomini, e tutto quel decoro, che nasce dai gesto e dal movimento. Perocché tutti abbiamo, secondo la nostra varia natura, differenti moti e nel passo e nelle mani e nella fronte e negli occhi, e ciascuna passione o disposizione d'animo in ognuno di noi quegli stessi moti alterando e le loro combinazioni, ci diversifica maravigliosamente l'aspetto, e singolarmente il volto, che perciò può dirsi essere un tacito accusatore della mente, e induce cambiamento negli occhi e negli sguardi, che sono i messaggieri dell'animo. (tomo I, p. 118)
  • Non può dubitarsi, che il Giacomelli non possedesse tutti i talenti necessarj per piacere egualmente ai grandi che agli eguali. A una vasta estensione di cognizioni univa una lunga esperienza guidata dal genio d'osservazione; era pronto, ma però giudizioso, e sempre sincero nelle sue risposte; franco e risoluto nelle sue maniere; eguale e regolato nei suoi costumi; quantunque alcune volte ardente e piccante, sempre però affabile, e sempre disposto a comunicare ad altri i suoi lumi; [...]. (tomo I, p. 131)
  • [...] nemico della pedanteria [il Giacomelli] istruiva senza avvedersene, avendo una facilità mirabile di condurre il suo spirito per tutto ove voleva; amante della società sapeva adattarsi ad ogni genere di persone; era grato verso i benefattori senza abbassarsi però mai a una dipendenza servile [...]. (tomo I, p. 131)

Tomo II

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  • [Ruggero Giuseppe Boscovich] Concorse una sola volta al premio proposto dall'Accademia di Parigi per chi spiegava l'ineguaglianze, che sembrano apportarsi vicendevolmente saturno e giove particolarmente intorno al tempo del loro congiungimento, e perché dopo le lodi date alla sua disertazione non ne ebbe la ricompensa che credeva di meritare, perché data all'Eulero, non aspirò mai più a questi letterari trionfi. (tomo II, pp. 16-17)
  • Non può certamente negarsi che il Boscovich non debba una gran parte della sua celebrità al felice uso della sintesi, sottoponendo all'impero di essa que' problemi medesimi, che sembravano appartenere alla sola analisi. Ella fece la principale occupazione della sua vita, e ne provò egli l'utilità, applicando alla fisica, all'ottica, all'astronomia e ad altre scienze le sue sintetiche soluzioni, che per essere le più facili, le più naturali e le più comode, non lasciano di essere le più gloriose. Imperocché una specie di fatalità vuole, che in ogni genere i metodi, o l'idee le più naturali non sieno quelle, che si presentino il più naturalmente. L'invenzione del calcolo differenziale ed integrale, diceva il nostro Geometra, per quanto mirabile ella sia, perché porta le nostre cognizioni fino all'infinito, e quasi al di là de' confini prescritti allo spirito umano, o almeno infinitamente al di là di quelli, ne' quali era ristretta l'antica geometria, ha però i suoi errori non per colpa della scienza, ma per l'abuso che ne fanno quelli che la professano. (tomo II, p. 17)
  • Il solo esercizio della pubblica scuola, e gli scritti fatti principalmente per essa bastarono al Boscovich per concigliargli una fama estesissima e viveva in Roma come in regno suo, onorato e accarezzato da tutti i veri dotti, da quelli, che fingevano di esser tali, e dai più grandi e potenti di quella città e di quella corte. Ne frequentava le case e le tavole, e parlando spesso di se e delle sue scoperte faceva sempre maraviglia la chiarezza e la facilità, con cui l'esponeva anche ai meno periti. Imperocché egli aveva interesse di allontanar da se il rischio che corre la maggior parte dei dotti matematici, di coltivate una scienza, che accresce la gloria dello spirito umano e promove i vantaggi della società, senza che molti di quelli, che godono dei loro benefizj, sappiano né ammirarli, né benedirli. (tomo II, pp. 23-24)
  • Aspirava [il Boscovich, oltre al titolo di filosofo e di matematico] ancora a quel di poeta, e in tutta la sua vita non mai cessò di far versi Latini buoni, mediocri e cattivi. Aveva una singolar facilità in comporli, e una singolar memoria in ritenerli, e anche non invitato li ripeteva spesso e volentieri. (tomo II, p. 24)
  • Quinto Settano, sotto il qual nome vuolsi intendere Monsignor Lodovico Sergardi, è un di quegli uomini, che nella repubblica delle lettere ha fatto più parlar di se per l'eleganza delle sue satire Latine, e per la celebrità di quelli, contro cui esse furono principalmente dirette. Dopo i tre gran satirici Orazio, Giuvenale e Persio, niuno ha trattato questo genere di poesia con maggior felicità, é lungi dal potersi dire servile imitatore d'alcun di essi, sembra anzi che tutti e tre abbiano amichevolmente cospirato a formarlo uno scrittore di un nuovo carattere, e affatto originale, tanto più mirabile per avere adoperato una lingua del tutto morta. (tomo II, pp. 73-74)
  • Settano seppe sì bene far servire la lingua Latina alla sua immaginazione, che dominando quella sempre come signora, par che quella sia creata per lui, ed è una gloria tutta sua, che non divide con altri Latini scrittori, di non esser mai stato né languido, né minuto, né inelegante nel dipingere i suoi quadri. Pien di bile verso i cattivi, e di entusiasmo verso i buoni, dalle invettive le più fulminanti passa alle lodi le più lusinghiere, e quelle veramente magnifiche del Sommo Pontefice Innocenzio XII nato per la felicità di Roma, e per la gloria della prima Sede, mostrano la grandezza dell'anima di chi l'adopra. Sono esse tanto più pregevoli, perché sembrano dettate dalla voce pubblica, e non essere che l'espressione viva e sincera del trasporto, che Roma nutriva pel suo Padre e Sovrano. (tomo II, pp. 79-80)
  • [Federico II di Prussia] Le sue memorie, i suoi dispacci hanno quasi tutti la data de' suoi campi [di battaglia], e son distesi nel mezzo del tumulto dell'armi, hanno quel tuono di forza e di semplicità, quella logica dritta e nobile, che sì ben conviene a un Re guerriero, e che è tanto propria d'un gran carattere e d'un genio straordinario, il coraggio del quale cresce coi pericoli, e la scienza coll'ardore. (tomo II, pp. 121-122)
  • [Federico II di Prussia] Le delizie della pace, l'ubriachezza della vittoria, il prestigio dell'adulazione, che circondano e corrompono i Re conquistatori, quando tornano nell'ozio delle lor corti, non alterarono punto l'anima di Federico, che non avendo una corte, fa la sua residenza in mezzo all'armata, e che divide le sue occupazioni tra gli esercizj militari, il governo de' suoi stati, e lo studio d'ogni maniera di letteratura. Se fa grandiose spese, procura che queste non cambino né i suoi costumi, né quelli della sua nazione, né l'occupazioni della sua vita; abbellisce la sua capitale, ingrandisce Potzdam, facendone nascere una parte dal seno di acque paludose, ne fa una colonia militare delle più belle che mai esistessero, fabbrica in vicinanza di quella città un vago palazzo, vi chiama tutte, le arti, vi raduna dei capi d'opera, né sdegna il lusso ne' mobili per dare alla sua nazione, e ai suoi artisti degli stimoli d'industria, e dei modelli di studio; ma in mezzo a questo fasto reale ei conserva nel suo vitto e vestito la semplicità d'un privato. (tomo II, pp. 122-123)
  • [Giovanni Battista Beccaria] È ingegnoso lo strumento da lui inventato per esplorare facilmente se il ginnotto elettrico[1], e la torpedine dian luce, mentre danno la scossa. È piena di brio e di erudizion fisica una sua lettera alla Principessa Giuseppina di Carignano, quantunque scritta tra i dolori d'una malattia emorroidale, in cui propone un suo sospetto di un vulcano acceso nella luna, ed un'altra, in cui espone le sue congetture per attribuire all'elettricità il rilucere che fanno alcune particelle nel disco di quel pianeta interamente oscurato. (tomo II, pp. 240-241)
  • [Giovanni Battista Beccaria] I più gran filosofi d'Europa e d'America furono in corrispondenza di lettere col medesimo. L'Accademia di Bologna e di Londra lo accolsero a gara nel loro seno; e Franklin, l'istesso Franklin lo stimò, l'amò, l'onorò in diverse maniere, e a lui dedicò a preferenza il suo elegante strumento, che in grazia della nostra favella chiamò l'Armonica. (tomo II, p. 251)
  • [Giovanni Battista Beccaria] Ma se la gloria del fisico e dell'elettricista fu così grande, non fu già minore quella del professore. Regnava ancora in Turino la fisica del Cartesio, quando vi fu chiamato il P. Beccaria: venn'egli, e seco portò il Newtonianismo. Portò seco l'osservazione e l'esperienza e rimossi gli antichi sogni, e dissipate le vecchie tenebre, stabilì la vera filosofia. Le sue Istituzioni di Fisica Sperimentale, che restano ancora inedite, ma che scorrono ampiamente per tutti i regni della natura, i suoi discorsi, il suo esempio fecero quella fortunata rivoluzione, che nell'Università di Turino formerà sempre un'epoca memorabile. (tomo II, p. 251)

Note

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  1. L'elettroforo (Electrophorus electricus), noto anche come anguilla elettrica e in passato come gimnoto elettrico, è un pesce elettrico d'acqua dolce.

Bibliografia

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Altri progetti

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