Antonella Bellutti

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Antonella Bellutti (2010)

Antonella Bellutti (1968 – vivente), pistard, ciclista su strada e bobbista italiana.

Citazioni di Antonella Bellutti[modifica]

Citazioni in ordine temporale.

  • Il ciclismo quanto a rapporti umani non mi ha dato granché, ma al di là dell'amore-odio che ho provato per lo sport agonistico devo dire che è stata un'esperienza costruttiva. Lo sport mi ha portata a mettere a fuoco i limiti di quello che facevo. È anche vero che un mondo con tanti problemi non puoi viverlo con gioia.[1]
  • [...] sappiamo che vita fa un atleta? Inizia molto giovane, in un'età in cui per fare agonismo rinuncia a un'adeguata formazione scolastica. Poi si fa male a un piede e perde tutto. O quando finisce la carriera agonistica si deve inventare un futuro che non ha potuto prepararsi prima.[2]
  • [«[...] lei è diventata ciclista per caso»] Assolutamente. E il fatto che gli unici due ori olimpici che ha conquistato l'Italia nel ciclismo su pista siano dovuti al caso ci dovrebbe far molto pensare. Di fatto, io non ero molto convinta di rientrare nello sport agonistico di altissimo livello, perché stavo giusto guarendo dalle ferite dell'abbandono dell'atletica, conoscevo le trappole dell'agonismo, e poi insegnavo educazione fisica a scuola e tenevo diversi corsi in palestra. Stavo bene. [«E cosa l'ha smossa a tornare a correre in pista?»] I risultati. Avevo risultati strepitosi. Nel '94 mi alleno due mesi e arrivo quarta ai mondiali di ciclismo su pista. Di lì a poco ci sono le Olimpiadi. Dico: accidenti! Vuoi vedere che la vita mi fa questo regalo?! Contemporaneamente il Coni mi assicura una piccola borsa di studio, quindi lascio l'insegnamento per potermi allenare: nel giro di un anno arrivo seconda ai mondiali di Bogotà e stabilisco il record del mondo, che mi apre le porte delle Olimpiadi di Atlanta. A quel punto mi faccio coraggio, lascio anche il lavoro in palestra e seguo un allenamento con i controfiocchi. Finisce che vinco l'oro nell'inseguimento.[2]
  • Io penso che lo sport sia una possibilità, un'esperienza importante per la crescita personale, per lo sviluppo sociale, i benefici che apporta nel suo complesso (dall’educazione motoria, all'avviamento allo sport, allo stile di vita) sono tali per cui andrebbe considerato come un diritto costituzionale. Da molti anni si parla di inserire la parola "sport" nella costituzione, per poter poi attuare le politiche pubbliche a sua tutela. Invece siamo fermi: nelle scuole elementari le ore di educazione fisica non sono a carico di personale con titoli per farlo e con solo due ore ci poniamo nelle retrovie della classifica per nazioni virtuose in questo senso. Non esiste lo "sport scolastico" in modo che le associazioni sportive in orario extracurricolare possano fare regolarmente attività negli spazi delle scuole. Lo sport dovrebbe poter essere per tutti e tutte, poi magari per qualcuno ci può essere la parentesi agonistica, che si apre e si chiude all'interno di un contesto, che inizia prima e va avanti dopo. In Italia invece è difficile praticare sport e farlo senza fare agonismo; se poi si fa agonismo bisogna avere delle condizioni familiari che te lo permettano. Troppe variabili, spesso casuali o fortuite, perché questo percorso possa essere lineare, completo, sereno e alla portata di tutti e tutte.[3]
  • Il calcio dovrebbe porsi qualche domanda su quello che è diventato e forse dovrebbero porsela anche i tifosi [...]. Le squadre sono delle SPA concentrate sul profitto, con scambi, passaggi spesso gonfiati, operazioni finanziarie, tanto che viene da chiedersi se i risultati poi siano limpidi o condizionati da tutto ciò. I diritti televisivi e il monopolio del calcio fanno il resto. La nazionale di volley ha vinto il titolo europeo e sui giornali c'era un trafiletto; per la squadra di calcio, che ha vinto il titolo equivalente, ci sono state pagine e pagine. Se non fosse un'offesa ad ingiustizie ben più serie, mi verrebbe da parlare di ingiustizia. Insomma, l'ipocrisia è tanta... In questo momento il calcio per me non è uno sport, è un business.[3]
  • [Sul Circolo Canottieri Aniene che discrimina le donne] Se fossi una socia restituirei la tessera: questa storia è una vergogna.[4]
  • Lo sport è fortemente intriso della cultura binaria con una rigida classificazione tra ciò che è maschile e ciò che è femminile, un modello che ora però mette in discussione la partecipazione degli atleti e atlete transessuali nelle competizioni a livello agonistico. Anche lo sport è intriso di valori patriarcali e rafforza i comportamenti dei due generi. Lo sport dovrà iniziare ad andare in una nuova direzione, aprendosi anche al gender fluid con l'aiuto della scienza. Ci vorrà del tempo però, non sono transizioni facili, il cambiamento e le soluzioni adeguate non arriveranno nel prossimo futuro. [Sarebbe necessario quindi] ripensare le discipline, perché stiamo vivendo di un'eredità di tempi remoti, mentre ora va affrontata la complessità della società. C'è bisogno di dare il tempo necessario alla scienza per dare delle risposte, per costruire nuovi criteri e nuove categorie che possano includere tutti e tutte. [...] Potrebbero scomparire le gare per uomini e per donne, andando invece verso delle categorie basate sui livelli di ormoni, come il testosterone, calcolati in base a ogni disciplina.[5]

Lo sport italiano ha una visione parziale

Intervista di Giorgia Bernardini, ultimouomo.com, 19 marzo 2021.

  • Mentre un manager che non ha un'estrazione sportiva vede lo sport come uno strumento di ricaduta economica, un atleta lo percepisce come un'opportunità di godere di un diritto che non si ferma all'attività motoria, l'educazione fisica, l'agonismo ma che è anche uno stile di vita.
  • L'attività sportiva sta diventando sempre più iper-specializzata e in conflitto con qualsiasi altro tipo di impegno organizzato, e ormai si inizia il percorso sempre prima. Questo fa sì che l'esperienza sportiva esponga a dei rischi enormi nella formazione a 360° dell'atleta. Nella migliore delle ipotesi, la carriera sportiva finisce in un'età in cui è un po' presto per andare in pensione dalla vita e così c'è bisogno di riciclarsi in una nuova identità senza avere gli strumenti adatti per farlo.
  • Ci sono caratteristiche che in una donna atleta non sono accettabili. Io stessa ho ricevuto critiche per i miei muscoli, per le mie vene. Spesso anche perché quando le prestazioni delle donne si avvicinano a quelle degli uomini subito nascono illazioni. Ho sentito sulla mia pelle questa poca libertà che hanno le donne di essere semplicemente loro stesse e di essere giudicate per la loro prestazione. Da qui nascono una serie di stereotipi sul corpo delle atlete, che viene riconosciuto solo se corrisponde a determinati canoni estetici. La discriminazione nel mondo dello sport non tocca solo l'essere atleta, ma anche l'essere parte di quel mondo. Da qui nasce la situazione in Italia, dove il maggior numero di sportivi tesserati è donna ma nei quadri tecnici poi non ci sono donne. Le donne sono escluse nonostante titoli accademici e carriere sportive. E qui si crea una mancanza di tipo metodologico perché le donne possono essere portatrici di un modello nuovo di prestazione. [...] Questo vuol dire avere una visione monca. E non solo il vertice dirigenziale è mono-genere, ma molti di questi uomini sono sempre gli stessi.
  • L'agonismo nello sport è fondato sulla meritocrazia e sulla gerarchia che il risultato ti offre. Questo implica includere ed escludere a seconda delle capacità (dell'atleta). Lo sport invece deve essere inclusivo, tutti devono avere la possibilità di poter godere delle potenzialità che esso offre. Una più ampia base di accesso allo sport sarebbe una fonte di ricchezza per l'Italia. In primo luogo in termini di salute e benessere, e poi perché da una base più ampia di accesso possono nascere grandi campioni ma anche e soprattutto cittadini sani.
  • Io rabbrividisco quando vedo i campi di atletica aperti con orari di ufficio. La maggior parte delle persone che fa sport lavora. Quindi va a praticare lo sport in pausa pranzo. E in Italia ci sono enormi difficoltà per avere gli orari estesi. Se non superiamo queste difficoltà apparenti e non cominciamo a capire i vantaggi che ci sarebbero nell'estendere gli spazi pubblici alla pratica sportiva oppure gli impianti ad un utilizzo che non è prettamente codificato e agonistico, definiamolo de-istituzionalizzato, allora non andremo lontano. Quando io sono andata per la prima volta in Cecoslovacchia ho capito immediatamente per quale motivo ci sono grandi tennisti che venivano da lì. Invece che esserci campi sportivi chiusi con il lucchetto e invece di avere i giardini pubblici con l'altalena, hanno i campi da tennis ovunque e con un accesso gratuito. [...] E quindi bisogna togliere le difficoltà di usufruire degli spazi pubblici e di usufruire degli impianti che ci sono. Gli impianti devono essere più usati da tutti.

Citazioni su Antonella Bellutti[modifica]

  • Lei, a Sydney, mi ha fatto venire in mente L'Angélus di Millet, ha posato la bici come si poteva posare nel campo una vanga o un forcone, e c'era, o almeno mi è parso, una preghiera di silenzio in mezzo a quel casino festante. E poi quel sorriso esitante, un sorriso da bucaneve che fatica a fiorire. E poi tutti quei capelli che saltano fuori dal casco. In genere le cicliste su pista portano capelli corti. Tre rimandi solo per i capelli: un quadro di Klimt, Il vento dell'est di Pieretti-Gianco, Giovanna d'Arco. (Gianni Mura)

Note[modifica]

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