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Benedetta Porcaroli

Da Wikiquote, aforismi e citazioni in libertà.
Benedetta Porcaroli (2022)

Benedetta Porcaroli (1998 – vivente), attrice italiana.

Citazioni di Benedetta Porcaroli

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Citazioni in ordine temporale.

  • [«Ha iniziato a recitare a soli 15 anni. Si è mai sentita esclusa, diversa, dai suoi coetanei?»] Vivo da sempre una vita doppia, quella di attrice e quella di ragazza normale con gli amici di sempre. Mi piace così. Però mi sono spesso sentita dire che se sei piccola devi fare la piccola. Non sono per niente d'accordo. Avere una forte determinazione, così come una coscienza sociale o la consapevolezza di ciò che accade nel mondo, prescinde da quanti anni hai.[1]
  • Soltanto in Italia un attore fatica a cambiare personaggio. Prima della serie di Netflix [Baby] registi e produttori mi vedevano come una ragazza acqua e sapone, ora hanno scoperto il mio lato sensuale e mi offrono parti sexy. È difficile fare piazza pulita dei preconcetti e forse è questo il risvolto meno esaltante del mio mestiere.[2]
  • Ho la mania del controllo. Più vado avanti [nel lavoro], più sono tesa. Tanta spensieratezza degli inizi è sparita. Oggi so che Baby, per esempio, è un fenomeno mondiale. Il giorno dopo che è stato rilasciato su Netflix, il mio account Instagram è esploso, un mese dopo ero all'estero e venivo fermata per strada. Non potevo immaginare che impatto avrebbe avuto sulla mia vita. E quando me ne sono resa conto, ho capito che o ci stai con la testa o può essere tutto illusorio, devastante.[3]
  • [...] i social sono il linguaggio della mia generazione, ci siamo nati e lì abbiamo vissuto gran parte della nostra vita. C'è un lato di questo che mi fa malinconia: per troppe persone, l'accettazione di sé e del proprio corpo, passa da quello che si mostra sullo schermo di un telefono. Invece, per me, Instagram dovrebbe essere solo un divertimento [...][3]
  • Non mi ricordo di essere mai stata spensierata, mai una bambina sognante, ho avuto sempre un lato malinconico, consapevole di quello che succedeva intorno, quindi curiosa, in perenne ricerca. Hanno scritto che sono un'ex ribelle. Non è così, figlia di genitori separati son cresciuta con mamma e, come tutte, ho avuto i miei contrasti in adolescenza, l'età in cui ti senti fluida, non accettata, hai esigenze da bambina e da adulta insieme e non collimano. Ma sono stata una brava figlia, una brava ragazza, ho cominciato a lavorare talmente giovane, a 15 anni, che non ho potuto fare troppi danni perché a quell'età la professione ti responsabilizza: o fai casini o diventi saggia. Non mi è suonato strano iniziare così presto, m'è sembrato il mio destino. Sentivo di dover cercare un centro di gravità.[4]
  • Come filosofia di vita preferisco sentirmi dire "sei simpatica" piuttosto che "sei bella". [«Però la bellezza conta»] Conta certo, non sono ipocrita. Eppure, non scherzo, sono confusa, non ho per niente chiaro il rapporto che intrattengo con il mio aspetto. A volte essere belle significa dimostrare per forza che hai qualcosa che va oltre il fisico, ed è una fatica, anche un po' ridicola, contro un pregiudizio che pensavo esaurito. E invece no: se sei carina non puoi essere anche intelligente e se ti permetti di scherzare con un maschio "ce devi sta' per forza".[4]

Dall'intervista di Vittorio Zincone a Sette, Corriere della Sera; ripubblicato in corriere.it, 11 febbraio 2019.

  • Mi è capitato di incontrare ragazzi, benestanti, a cui nessuno ha mai elargito la minima educazione. Ma niente proprio, eh. Sembrano tele-trasportati sulla Terra da un altro pianeta senza alcuna nozione della convivenza civile. [«I tele-trasportati...»] Spesso strafottenti e impuniti. Con i genitori che non si chiedono come utilizzino i cento euro che gli danno ogni giorno. Poi scoprono che si fanno di cocaina e scoppia lo scandalo. Il guaio è che molti genitori fanno fatica anche solo a pensare di stare appresso ai propri figli. Non costruiscono nessun dialogo. E allora che li fai a fare?
  • [«Hai un buon rapporto con il tuo corpo?»] Non mi guardo allo specchio urlando "quanto sei fica", ma mi considero carina.
  • Ammetto che mi hanno presa per i capelli. A sedici anni ero smarrita, se non avessi cominciato a recitare avrei rischiato seriamente di diventare la tipica stronzetta di Roma Nord.
  • [«Ti danno fastidio i fan?»] No, faccio tutto quel che chiedono: foto, autografi... Ma un po' mi scuote quando vedo che intorno a me si muove qualcosa: gruppi di ragazzi che cominciano a fissarmi da lontano, che filmano o fanno foto di nascosto. Dopodiché la notorietà mi piace, soprattutto se la sento legata alla qualità del mio lavoro. È un quantificatore.

Fabia Di Drusco, lofficielitalia.com, 22 marzo 2021.

  • [«Hai sempre voluto recitare?»] Non era il sogno della mia vita anche se da bambina tutti mi dicevano che sarei diventata un'attrice. [...] La mia attuale agente era un'amica di mia madre: a 15 anni mi ha buttata a fare un provino. Non avendo aspettative ero tranquillissima, mi hanno presa subito, e ho firmato un contratto di quattro anni per Tutto può succedere. Dopo un paio d'anni ho cominciato a capire come funziona la macchina, il suo meccanismo insidioso, ma intanto facevo con leggerezza totale provini che oggi avrei paura a fare. Direi che il mestiere di attrice mi ha trovata, ma anche che io vi ero destinata. Quando è diventata una passione mi sono spaventata, ho cominciato a essere terrorizzata dai provini.
  • [«Che rapporto hai con le donne? Lo descriveresti come una forma di sisterhood?»] Quello di sorellanza è un concetto che va maturato, spesso le nemiche delle donne sono le donne stesse. Per fare in modo che le cose cambino c'è bisogno di più unione. A volte rosico perché una collega ha avuto un ruolo che volevo: mi impegno perché resti una delusione circoscritta, che non si trasformi in ostilità... cìè tanto lavoro da fare ma non si può prescindere dal farlo.
  • [«Che metodo segui quando entri in un ruolo?»] Non ci sto sempre dentro, quando esco dal set fingo di pensare ad altro, ma non confondo me col personaggio anche se è un lavoro troppo emotivo per dimenticare in fretta. Quando termino un film vado in depressione, piango in continuazione: perchè i tuoi personaggi finiscono per diventare i tuoi migliori amici.

Dall'intervista di Malcom Pagani a Vanity Fair nº 38, 21 settembre 2021; ripubblicato in vanityfair.it, 15 settembre 2021.

  • [«Come sceglie un copione?»] Valuto tanti aspetti: le persone con cui mi va di lavorare, il contesto generale in cui devo recitare, la necessità di sentirmi protetta.[«Che cosa intende per sentirsi protetta?»] Se ho un bel copione davanti, ma ho l'impressione che per mille ragioni non esistano le condizioni per riuscire a esprimermi, a malincuore preferisco rinunciare. Cerco di diversificare, magari non tenendo a ogni costo il peso del film su di me.
  • Il lato artistico della famiglia è incarnato da mio padre. Mi ha dato gli strumenti adatti per rapportarmi con l'universo maschile, perché è un uomo che non ha mai avuto timore di mostrarmi le sue fragilità e le sue emozioni. L'ho visto piangere, ma ai miei occhi le lacrime non me lo rendevano meno eroico.
  • [«Qual è il suo sentimento preferito?»] Quello che mi appartiene nel profondo e nel quale mi crogiolo: la malinconia. Da quando ho la consapevolezza di chi sono, per quanto sia sempre difficile sapere chi si è davvero, non mi ha mai abbandonato. Non è tristezza e, per carità, non è neanche depressione. È uno spleen. È un sentimento preciso. È malinconia. Una cosa diversa. Credo che al cinema mi scelgano anche per questo. I registi la intravedono, la cercano, la usano.
  • [«Che cos'è per lei l'ambizione?»] Non la vedo con sospetto. Non sono mossa da un'ambizione cieca, ma da un'ambizione che ritengo molto sana. Voglio fare dei bei film: se però ricevo un no non me la prendo. Lo metto in tasca e vado avanti. La carriera è una maratona, non la corsa dei 100 metri. Finora mi è andata bene, ma il talento da solo, ammesso che lo abbia davvero, non basta. Ho una buona considerazione di me, però so che devo fare tanto e che se non arriverò dove voglio arrivare tra dieci anni sarà soprattutto per colpa mia. Si vince e si perde, ma non voglio imitare i tennisti italiani dei film di Nanni Moretti. I tennisti che perdono sempre per colpa di qualcun altro.
  • [Sull'ipotesi di un nome d'arte, «lei non ci ha mai pensato?»] Mai. Mio padre per gioco mi diceva: "So che Porcaroli forse non ti piace, ma vedrai che tutti si ricorderanno di te". Aveva ragione. I Porcaroli, romani da sette generazioni, avevano a che fare con le lavorazioni nelle stalle e con i maiali. E a me pare che non ci sia niente di male e che non sia un problema. Sicuramente non un mio problema.

Note

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  1. Da un'intervista a Marie Claire, settembre 2019; ripubblicato in Marta Stella, Benedetta Porcaroli, intervista all'attrice di Baby, marieclaire.com, 27 agosto 2019.
  2. Da un'intervista a Grazia; citato in Carlo Lanna, "Con Baby ho scoperto il mio lato oscuro". Benedetta Porcaroli si racconta, ilgiornale.it, 11 ottobre 2019.
  3. a b Dall'intervista di Paola Jacobbi, Benedetta Porcaroli, protagonista di "Baby", parla del fidanzato più "vecchio", iodonna.it, 21 dicembre 2019.
  4. a b Dall'intervista di Piera Detassis, "Io faccio la brava. Rimpianti? Essere cresciuta troppo in fretta", elle.com, 15 ottobre 2020.

Filmografia

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Altri progetti

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