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Carla Cerati

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Carla Cerati (1926 – 2016), fotografa e scrittrice italiana.

Intervista di Etta Lisa Basaldella, 7 Giorni Veneto, marzo 1977, ripubblicata su milanolacittadelledonne.it, ottobre 2022.

  • Ho cominciato a fotografare nel '60, la spinta è stata nel cercare una realtà più interessante che non fosse il piccolo mondo che mi stava attorno: i bambini, gli amici. Con una Rollei che mi aveva venduto mio padre, ho avuto l'occasione di fare la fotografa di scena di una commedia di Enriquez al quale le mie foto sono piaciute e me le ha comperate. Per sei mesi ho frequentato anche un circolo fotografico, ma non l'ho trovato interessante.
  • Basaglia voleva fare un libro fotografico sulle istituzioni negate. Le cose però andavano troppo per le lunghe perché nelle caserme è difficile entrare, nelle carceri impossibile, allora abbiamo deciso di farlo solo sui manicomi ed è uscito Morire di classe. A questo punto ho cominciato a considerare la fotografia come operazione di denuncia. Era il '68. Nel '69, con le bombe di piazza Fontana, ci è arrivata addosso una realtà politica travolgente, di qui la mia indagine ha preso una direzione ben precisa: la strategia della tensione, i processi politici, le rivolte operaie. Tutti fatti che si potevano smentire con le parole, non con le immagini.
  • [Il reportage, documentare le persone è il genere di fotografia che senti di più, cosa cerchi nella gente?] Quello che non si vede a prima vista, un modo di essere che magari uno maschera dietro un atteggiamento, non so, l'angoscia, la noia, tutta una serie di collegamenti, di legami col mondo esterno che mi piace catturate. Mi diverto o soffro. Nel momento in cui ho fotografato un suicida ho avuto un grosso problema, mi dibattevo con me stessa per decidermi. Pensavo: allora faccio l'avvoltoio, il paparazzo, quale indiscrezione entrare nella vita privata della gente, ma uno dice: allora è inutile che faccia questo mestiere. Da un lato vorresti varcare il limite che ti separa dalla vita degli altri, poi però ti lasci prendere dall'aggressività. Sai, anche nei manicomi c'erano malati che non volevano farsi riprendere, era chiaro che facevo una violenza che serviva loro.
  • [Ma che tipo di personaggio è il fotografo?] È un matto, un matto in libertà. Alle volte penso veramente di essere pazza: l'altra notte alle 5 mi ha preso il raptus di mettermi a stampare dei 50x60, che non dovevo consegnare a nessuno, da dei negativi che avevo lì da tempo e che mi piacevano da morire. Tu capisci, all'improvviso, metti delle enormi bacinelle con grande scomodità in una piccola camera oscura, chissà perché? non potevo farlo l'indomani?!

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