Carlo Roberto Dati
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Carlo Roberto Dati (1619 – 1676), filologo, scienziato e accademico italiano.
Citazioni di Carlo Roberto Dati
[modifica]- Gio. Maria Montemagni usa dire, che per ripieno, e senza appetito che l'uom si trovi, non bisogna mai dire: io non voglio cenare, io non voglio andare a tavola, ma sempre farsi animo, perché quando s'è lì, Dio aiuta. E il Masselli una volta domandato s'egli aveva appetito, rispose di non l'avere, ma che nel mangiare gli sarebbe venuto. Simile al detto di Arrigo IV, il quale sentendo dire, che il duca d'Umena, Generale della Lega, non ambiva la Corona, disse, lo credo, ma questo è un appetito, che gli verrà nel mangiare. (da Lepidezze di spiriti bizzarri e curiosi avvenimenti, Stamperia Magheri, Firenze, 1829, pp. 1-2)
Vite de' pittori antichi
[modifica]- [...] per tornare a Parrasio, il quale a dire il vero fu un gran Pittore, e stabilì molte cose nell'arte; egli fu il primo che ritrovò nella Pittura le vere proporzioni, la galanteria del sembiante, la vaghezza del capello, la venustà della bocca, avendo per confessione de' professori ne' dintorni[1] riportato la palma. Questa nella Pittura è la finezza maggiore. Imperciocché il dipignere i corpi e i mezzi delle cose è senza fallo operazione laboriosa, ma però tale che in essa molti ne ottener lode; il fare l'estremità de' corpi, e porre i termini alla pittura, ov'ell'ha da finire, è cosa che nell'arte è riuscita bene a pochissimi. (Vita di Parrasio, p. 92)
- Conoscendo Parrasio il proprio valore, se ne gonfiò e ne divenne arrogante, né vi è stato giammai pittore, che con eguale impertinenza si sia prevaluto della gloria dell'arte. Imperciocché egli si pose diversi soprannomi, chiamandosi Abrodieto, che è a quanto dire Delizioso. Onde non mancò chi stomacato di sì vana appellazione con poco mutamento la trasformò, e pose in luogo d'Abrodieto, Rabdodieto, traendo lo scherzo e la puntura dalla verga, la quale sogliono adoperare i pittori. Quadrava però quel titolo per eccellenza alla vita delicata ch'egli teneva, essendo dispendiosissimo ne' vestimenti, i quali per lo più erano di porpora; portando in testa corona d'oro, e trapassando col suo lusso e morbidezza oltre al decoro, e sopra la condizione di pittore, perché appoggiavasi ad una mazza avvolta di strisce spirali anch'esse d'oro, e strignevasi le fibbie de' calzari con auree allacciature. (Vita di Parrasio, p. 93)
- Aveano la natura e l'arte in diversi soggetti fatto ogni loro sforzo per sollevar la pittura a quella suprema altezza di perfezione alla quale arrivar potesse la mano e l'ingegno dell'uomo, e se avessero in Zeusi in Parrasio e in Timante fermati i progressi loro, ciascheduno senza dubbio avrebbe stimato che meglio di costoro non si potesse operare. Ma quando ambedue in Apelle s'unirono, dotandolo d'uno spirito e d'una grazia, che pareva trascender l'umanità, e con lungo, assiduo, e diligente esercizio lo corredarono d'una pratica e d'un amore, che franchissimo lo rendevano e indefesso, e che per terza a favorirlo s'aggiunse la fortuna di quel felicissimo secolo, in cui furono in tanto pregio le scienze e l'arti più nobili, chiaramente si vide che tutti gli altri, i quali senza questo paragone apparivan perfetti, erano stati studj ed abbozzamenti per disegnare e colorire questo vivo ritratto della perfezione celebrato e magnificato dagli scrittori di tutti i secoli, perché non ebbe l'antichità (bench'egli pure fosse in verità superabile) niuno che giammai l'agguagliasse. (Vita d'Apelle, pp. 151-152)
- [Apelle] [...] ebbe per costume inviolabile che per occupatissimo ch'egli fosse, non passò giorno nel quale egli non tirasse qualche linea, per mantenersi su l'esercizio, e non infingardirsi la mano. Onde nacque il proverbio: Niun giorno senza linea. (Vita d'Apelle, p. 154)
- Dopo aver condotto l'opere, [Apelle] usava metterle a mostra sopra lo sporto, non a pompa, perch'era modestissimo, ma per ascoltare, stando dietro, i mancamenti censurati dal volgo, da lui stimato miglior giudice di sé medesimo. E si dice che notandolo un calzolajo, per aver fatto ne' calzari un orecchino o fibbia di meno, insuperbitosi, perché Apelle tale errore avesse emendato, il giorno seguente cavillò non so che della gamba. Sdegnatosi Apelle s'affacciò e disse: il calzolajo non passi oltre la scarpa: che pure andò in proverbio. (Vita d'Apelle, p. 154)
- [...] anche in quell'opere sì ben condotte che fecero stupire il Mondo, [Apelle] soleva con titolo sospeso e imperfetto scrivere, APELLE FACEVA, come se fossero sempre abbozzate, né mai finite, lasciandosi un certo regresso all'emenda. E fu atto di gran modestia, che quasi sopra tutte scrivesse, come se fossero state l'ultime, e che sopraggiunto dalla morte non l'avesse potute perfezionare, giacché di radissimo o non mai vi pose, APELLE FECE. (Vita d'Apelle, p. 154-155)
Nel riandar col pensiero la mia vita passata, io non incontro rimembranza più antica né più gioconda nella mia fanciullezza, che l'aver conosciuto fino avanti a quegli anni, in cui né anche il buono dal reo si distingue, Galileo Galilei, ammirato poscia da me nell'età più adulta per lo primo ornamento della mia patria in cui egli nacque, e del nostro secolo in cui egli visse, tante e sì belle cose operando.
Note
[modifica]- ↑ Nell'uso antico, dintorno poteva significare contorno di una figura, di un disegno.
Bibliografia
[modifica]- Carlo Roberto Dati, Esortazione allo studio della geometria. Veglia prima, Stamperia di Borgo Ognissanti per Francesco Daddi, Firenze, 1814.
- Carlo Roberto Dati, Vite de' pittori antichi, Società tipografica de' classici italiani, Milano, 1806.
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