Francesco Datini
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Francesco di Marco Datini (1335 – 1410), mercante italiano.
Citazioni su Francesco Datini
[modifica]- Anche Francesco Datini nell'agosto 1399 andò in pellegrinaggio, "vestito tutto di tela lina bianca e scalzo", co' suoi famigli, amici e vicini. Erano in tutto dodici e portaron seco due cavalle e una muletta, "in sulle quali bestie mettemmo un paio di forzeretti, in che furono più scatole di tutte ragioni confetti, e formaggio d'ogni ragione, e pane fresco e biscottato, e berlingozzi zuccherati e non zuccherati e più altre cose che s'appartengono alla vita dell'uomo, tanto che le dette cavalle furono presso che cariche di vettovaglie". Stettero in pellegrinaggio dieci giorni, dal 28 agosto al 6 di settembre, e giunsero fino ad Arezzo o poc'oltre; e dovunque si fermavano compravano cose da mangiare. Era davvero un allegro modo, e comodo, di far penitenza, e di pellegrinare a cavallo!
Delle pratiche religiose, i più accorti e più increduli rispettavano appena la forma esteriore, come il Datini, che temeva i rimbrotti e i predicozzi dell'amico e mentore spirituale Ser Lapo Mazzei. (Guido Biagi)
- Diciamolo aperto, è il più esoso tipo di mercante che ci abbia dato quel secolo. (Guido Biagi)
- L'uomo Datini ... viene fuori dai suoi ricordi, dalla sua corrispondenza; avido di guadagno, deliberato ad arricchire, non mai contento della fortuna accumulata, che sarebbe grande anche ai tempi nostri, sospettoso di fattori, commessi, servitori, mezzadri; lavoratore accanito, di giorno e di notte; non alieno dagli amori vagabondi e ancillari e perciò circondato, in assenza di figli legittimi che la moglie non gli poté donare, da bastardi, dei quali una volle dotare riccamente. (Luigi Einaudi)
- Se vogliamo rappresentarci un prototipo significativo del primo tipo [di quelli che si dedicano esclusivamente all'organizzazione delle loro imprese], possiamo evocare la figura del mercante pratese Francesco Datini, vissuto proprio all'inizio del secondo rinascimento: grande commerciante, grande imprenditore grande organizzatore. Un provinciale – a Roma lo avrebbero chiamato un burino – di modesta famiglia artigiana che la peste nera aveva letteralmente spazzato via: padre, madre e due fratelli. Della sua vita e delle sua impresa multinazionale sappiamo tutto grazie all'opera di Federico Melis e alla felice biografia di Iris Origo[1]. (Giorgio Ruffolo)
- Sempre ansioso, preoccupato, ma instancabile. E «maninconico»[2] per il pensiero assillante della vita futura, intentissimo al guadagno, terrorizzato dalla peste e dal timor di Dio. Di certo, non premuroso verso i dipendenti più umili, lavoranti e operai, che trattava proprio «da chani». (Giorgio Ruffolo)
Note
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