Francesco Jovine

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Francesco Jovine (1902 – 1950), scrittore, giornalista e saggista italiano.

Le terre del Sacramento[modifica]

Incipit[modifica]

A Calena, di marzo, incominciava il sole lungo. Per tutto l'inverno la cresta delle Mainarde, che era a ponente della città, faceva brevi i crepuscoli. I raggi, rotti dalle rocce, illuminavano breve tratto del cielo di luce folgorante, lasciandola la città e le sue terre nell'ombra.
Di primavera il sole si poneva al centro d'una forca tra il Timbrone e il Sellao, e dava, morendo, quasi a pelo delle terre più basse, fin l'ultima briciola di luce.
In una mattina serena di marzo l'avvocato Cannavale percorreva cavallo le terre del Sacramento. Lo seguiva a distanza Felice Protto, suo fattore e affittuario d'una parte della tenuta. L'avvocato si era deciso a fare quella visita ai suoi poderi con il ritorno della buona stagione, non tanto per rendersi conto dei pascoli e delle coltivazioni, quanto per uscire dalla sua casa di città dopo giorni e giorni di pigrizia e di solitudine.

Citazioni[modifica]

  • [Don Giacomo Fontana parlando di Gesù con Luca Marano] Tu non pensi che si era fatto uomo vero, con tutti i limiti degli uomini veri. Se Egli avesse voluto sottrarsi al martirio valendosi del suo potere divino, avrebbe potuto farlo. Accettò la legge degli uomini fino al sacrificio supremo perché era un vero uomo. Se egli avesse indicato agli uomini, allora, una strada diversa dalla carità per risolvere i problemi dei poveri, dei diseredati, il suo linguaggio sarebbe risultato incomprensibile. Il suo messaggio di giustizia, caro Luca, non risiede nella sua predicazione e nella resurrezione, ma nella sua morte. La morte di Gesù è il riconoscimento della legge che regge la società degli uomini. (p. 187)
  • [A Napoli] Tra Toledo e il Rettifilo, per qualche ora erano passati gruppi incalzanti di camicie nere, seguiti da cortei di uomini in borghese, dai ragazzi delle scuole che, lasciate le lezioni, tentavano di fare tumultuosa e imponente la gazzarra. Nei vicoli che costeggiavano Toledo, in quelli dei «quartieri», la gente era stata costretta dalla pioggia a rientrare nelle case. I venditori avevano portato nell'interno dei bassi le loro povere mercanzie, le carni cotte nelle pentole ingrommate di fuliggine, il pesce fritto nell'olio rancido, le frutta che marcivano accumulate sulle panche, coperte da un panno sudicio. Nelle stanze che si aprivano sulla strada si vedevano nello spazio brevissimo tra le materasse accumulate alle pareti, cassapanche sgangherate, giacigli pieni di paglia putrida; gli abitanti rimanevano in piedi a guardare la pioggia che scrosciava tra le immondizie della strada. (p. 226-227)
  • Sulle pareti l'acqua s'infiltrava insidiosamente, disegnando dei bizzarri geroglifici che coronavano le immagini colorate dei santi. Napoli sotto l'acqua si disfaceva. La luce fredda della giornata di autunno mostrava il profilo delle case contorte, provvisorie; mura reggenti penosamente il carico dei tetti che parevano pronte a piegarsi per colmare i vicoli di macerie. (p. 227)

Explicit[modifica]

Piansero e cantarono grande parte della notte, rimandandosi le voci, parlando tra loro con ritmo lungo, promettendo tutto il loro dolore ai morti. La notte era buia e le voci si perdevano sulla terra desolata oltre il circolo di luce che faceva il fuoco, ancora vivo.

Signora Ava[modifica]

Incipit[modifica]

Don Matteo Tridone si schermiva dal sole per guardare la siepe che aveva di fronte. Con gli orecchi tesi seguiva il vario cinguettare dei passeri tra i rami dei fichi e i rovi della fratta. Quelli caduti nella rete avevano uno scoppio improvviso di note rabbiose, poi un pigolio lungo e dolente. Gli altri, volando sulle piante, affondavano il becco nelle ferite dei fichi che pendevano flaccidi dai rami con la lagrima mielata nella punta; poi, sazi, accorrevano al richiamo della siepe.

Citazioni[modifica]

  • Ma è tanto difficile, Matteo, dimenticare; per dimenticare bisogna saper distaccare da noi le cose, da pesanti che sono cercare di renderle leggere, un soffio. Ma ci sono momenti della nostra vita che scavano nella carne, Matteo, e vi si annidano con gli artigli conficcati nel vivo, come cattivi uccelli. Bisogna liberarsi dagli artigli.

Bibliografia[modifica]

  • Francesco Jovine, Signora Ava, Donzelli editore, Roma 2010. ISBN 9788860365217
  • Francesco Jovine, Le terre del Sacramento, Gli struzzi, Giulio Einaudi editore, Torino 1972.

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