Francesco Orestano
Francesco Orestano (1873 – 1945), filosofo italiano.
Citazioni di Francesco Orestano
[modifica]- Lo sguardo dell'uomo veridico corrobora la realtà e l'aiuta a costituirsi, mentre quello dell'uomo bugiardo la fa vacillare e annulla.[1]
Gravia levia
[modifica]Dal principio del secolo XIX ad oggi la filosofia nelle sue somme espressioni è passata per tre periodi, che si possono caratterizzare grosso modo così: il primo del romanticismo filosofico, il secondo del positivismo, il terzo della reazione neokantiana e neo-idealista.
In tutti e tre questi periodi gli apporti diretti della filosofia al progresso scientifico sono stati nulli. Non una sola scoperta, non una conquista della scienza sono scaturite dalla guida, dall'ispirazione, meno ancora da un concepimento proprio della filosofia contemporanea.
Citazioni
[modifica]- Per alcuni decenni una fabbrica italiana di fiammiferi mise in commercio per lo stesso prezzo due tipi di scatole di cerini, una più piccola che ne conteneva cento, l'altra più grande che ne conteneva solo sessanta. Il pubblico preferiva regolarmente la più grande, la quale recava nel rovescio della chiudenda interna una scritta, che si rivelava quasi di sorpresa, come a dire «te l'ho fatta», a chi appena l'aprisse: «Vulgus vult decipi»[2]. (La filosofia del Pater Noster, p. 88)
- Ciò che anzitutto colpisce in Verdi è la sincerità dell'uomo e dell'artista. Tutto era schietto in lui. Schietta la sua vita, schietta la sua arte.
Sentimenti, affetti, passioni, vincoli di famiglia, amore, amicizia, gratitudine, fedeltà ai doveri civici, attaccamento alla propria terra e alla Patria, religione, ma non meno orgoglio, inimicizie, avversioni, rancori, tutto era sentito e vissuto da lui fin nel profondo delle possibilità umane. Dolore e gioia, tormento ed estasi, serenità e disperazione, cordialità e collera, contentezza di sé e rimorso, tutto si sviluppava in lui, nella sua natura, in modo pieno e libero. Egli poteva ridere come un nume e piangere come un bambino. (Giuseppe Verdi mediterraneo e universale, pp. 140-141)
- [Giuseppe Verdi] [...] egli non smentì mai la sua discendenza contadina, mise anzi volentieri in evidenza, che in lui spuntava spesso fuori «il contadinello delle Roncole», ed ebbe una spiccata predilezione per la campagna e la vita campagnola. Forse era da contadino in lui quella sua estrema precisione e fin minutezza in questioni di danaro; e certamente il suo orrore istintivo per la pubblicità intorno al suo nome e alla sua persona. I contadini non dicono, né odono mai volentieri pronunciare il loro nome (specie di tabù). E Verdi: «mi secco io stesso quando mi nomino». (Giuseppe Verdi mediterraneo e universale, pp. 140-141)
- Come Goethe, così anche Verdi imparò a conoscere attraverso il dolore le potenze celesti, che comandano sulla vita umana, sul cuore dell'uomo, sulla sorte degli uomini. Egli imparò a conoscerle apprendendo che cosa significava la distruzione del suo dolce nido lungamente vagheggiato – due bimbi e l'adorata moglie Margherita morti –; e seppe per propria esperienza quanto male e quanta miseria possono cagionare nel mondo l'invidia e i bassi intrighi e le ambizioni smodate e la volgare incomprensione e la piccina angustia di cuore. Eppure apprese anche ogni volta dalla propria esperienza la riscossa della vita, immancabile invincibile, l'incoercibile vittoriosa supremazia dello spirito. (Giuseppe Verdi mediterraneo e universale, p. 142)
- L'Italia conta pochi grandi drammaturghi nella storia della sua letteratura. Se Verdi invece del genio della musica avesse avuto quello della poesia, noi oggi celebreremmo uno dei più grandi tragèdi del mondo. Tutto nella sua mente, persino la preghiera, persino un canto liturgico, diventava dramma. È stato detto con una punta di malizia, che la sua Messa da Requiem sia teatrale. Essa non è teatrale, è drammatica. (Giuseppe Verdi mediterraneo e universale, pp. 147-148)
- Lettore assiduo, aperto alla comprensione, critico arguto, giudice equanime, laudatore, se convinto, senza risparmio, specie dei giovani; ma franco e d'un onesto coraggio nel dire con garbo e con fermezza a ciascuno il fatto suo, fosse pure l'amico più caro, quale il Carducci era per lui: tale fu il Panzacchi per tutto il tempo che tenne le scettro della critica letteraria in Italia, esercitandovi con scrupolo e diligenza il delicato ufficio di giudice invocato e temuto. (Enrico Panzacchi, p. 171)
- È stato detto, nel riguardare insieme tanta mole di scritti vari, non mai voluminosi, che non v'è tra essi una trattazione di ampio disegno; non v'è, quel che si dice, l'opera. È vero.
Ed è stato pure detto con verità, che i saggi del Panzacchi hanno spesso il taglio del discorso, della conferenza, qualche volta dell'orazione togata; dove l'Autore poteva spiegare le sue eccezionali doti di parlatore insuperabile.
Taluno ha soggiunto che si rimase spesso col desiderio d'un maggiore approfondimento dei problemi trattati, e che qua e là si scorge attraverso la limpida superficie un breve fondo.
Ecco, superficiale, facilone il Panzacchi non è stato mai; anche se nello esporre poteva il suo procedere apparire sbrigativo e sommario. Egli era sempre sicuro di quel che diceva e, se se ne fosse dato la pena, avrebbe potuto diffondersi in ampie ed esaurienti dimostrazioni. (Enrico Panzacchi, pp. 171-172)
- Panzacchi saggista, ma anche oratore e poeta lirico, doveva essere compendioso, non perché avesse corto il respiro, ma perché era un condensatore al più alto potenziale, di pensieri, esperienze, formule espressive. Dell'opera sua bisogna quindi giudicare non dalla estensione quantitativa, ma dalla ampiezza del mondo ch'egli era portato a cogliere e a far passare nel più conciso degli schemi mentali. In fondo Panzacchi saggista non scrisse un trattato per la stessa ragione per cui novelliere non affrontò il romanzo, e poeta, fu soltanto lirico e non compose poemi. (Enrico Panzacchi, p. 173)
- Nella sua secessione totale dal mondo del passato Marinetti rigettava in blocco senza discussione tutte le costruzioni concettuali, dottrinarie, teoretiche, che lo sorreggevano. Alle intelaiature di concetti sovrapposti artificiosamente all'azione e alla vita, egli contrapponeva un dinamismo interiore indipendente, che si collocava a diretto contatto con le più intime scaturigini de vita e dell'azione, insondabili, autonome, immensamente più ricche di qualunque definizione o concetto. (Esame critico di Marinetti e del futurismo, pp. 197-198)
- Benedetta [Cappa] scrittrice e pittrice appartiene per grandi linee al movimento futurista. Ma la sua personalità, se non si può dissociare da quella di Marinetti, deve esserne distinta. (L'opera letteraria di Benedetta, p. 215)
- [...] qui [nel suo primo volume Le forze umane del 1924] c'è una scrittrice di razza e una scrittrice fatta, che sa la parola necessaria e sufficiente per mettere in equazione esatta sensibilità-pensiero-espressione.
Ben più: c'è una personalità fortemente e compiutamente disegnata, che possiede ed applica un proprio filtro squisitamente selettivo al mondo caotico delle esperienze incoordinate e tumultuarie.
Come? dove? quando s'era potuta maturare questa personalità? e la scrittrice giovanissima? È il segreto insondabile di ciascuna formazione personale.
Ma se penso che questo è, in ordine di tempo, il primo dei volumi di una giovinetta, mi domando quanti scrittori adulti ambirebbero di apporvi la firma come all'ultimo e più maturo dei loro prodotti. (L'opera letteraria di Benedetta, pp. 222-223)
- Le tre opere letterarie di Benedetta non sono letteratura. Recano le impronte di vaste condensazioni di esperienze approfondite in continui cimenti con la vita, le quali a un certo momento esplodono nel superiore piano della poesia. Sono quindi documenti di vita e dibattono problemi di vita.
Esaminarle dal solo lato letterario sarebbe insufficiente. (L'opera letteraria di Benedetta, p. 235)
La matematica moderna e la filosofia
[modifica]Un filosofo che venga fra matematici a discorrere dei problemi fondamentali della loro scienza, appare oggi come un intruso.
Siamo assai lontani dai tempi in cui i maggiori costruttori di pensiero attingevano con pari maestria alla filosofia e alla matematica, e operavano prodigi d'invenzioni, feconde nell'uno e nell'altro campo.
Tempi remoti! che coincidono con gli inizi stessi della filosofia – Talete che col metodo delle proporzioni calcola l'altezza delle piramidi egiziane; Pitagora che celebra con un'ecatombe la dimostrazione di un già noto teorema – ; o con momenti decisivi e memorabili della storia del pensiero antico – Platone che vieta ai non matematici l'ingresso nell'Accademia.
Citazioni
[modifica]- Il distacco tra matematica e filosofia data dal sec. XIX, col sorgere di tutta una schiera formidabile di matematici puri, i quali hanno atteso col più libero genio inventivo e con ardore e rigore senza pari a sviluppare la loro scienza in uno splendido isolamento, così nei riguardi della filosofia, come in quelli delle applicazioni. (pp. 6-7)
- Il pensiero matematico è un tipo privilegiato di pensiero puro, che si pone, si dimostra e si verifica da sé, anche quando sembri connesso, come alle origini, con riscontri di ordine fisico e pratico. E così la disciplina matematica ha sempre costituito un suo proprio sistema chiuso di principi e di metodi. (p. 7)
- [...] malgrado tutti gli sforzi ognora ripresi, sforzi meritori, commoventi, ma disperati, per ripristinare l'unità del sistema, l'antica beata unità del modello matematico non esiste più. La parola matematica non è oggi che un nome collettivo. (p. 32)
- L'antico modello, di un congegno perfetto di assiomi, definizioni e postulati, connessi fra loro in un ordine deduttivo esatto, invidiato dalle altre scienze e tante volte preso ad esempio dalla stessa filosofia, vale appena, e condizionatamente, per le singole discipline e, per queste, nel loro sistema interno soltanto; ma per l'intero sistema del pensiero matematico, non è più che un ricordo. (p. 33)
- [...] l'isolamento critico, lo splendido isolamento in cui la matematica si contiene verso la filosofia, non può che nuocerle, e le ha nociuto in verità. Essa lo ha scontato con talune sue deficienze critiche e sistematiche, che curiosamente sopravvivono ai suoi stessi progressi. (p. 40)
- L'ossessione del procedimento deduttivo la matematica l'ha ereditata dalla logica tradizionale, aristotetico-scolastica; quindi, voi direte, dalla filosofia. Ciò è vero; con questa differenza, che la filosofia se n'è liberata, e la matematica, per non avere partecipato del travaglio critico della filosofia, v'è rimasta attaccata, pur avendo essa fornito uno dei massimi argomenti, per affrancare il pensiero dalla millenaria soggezione aristotelica. (p. 42)
- Matematica e filosofia, formazioni entrambe dello stesso pensiero costruttivo e critico, hanno, in fondo molti problemi comuni – i fondamentali, forse; quelli del finito e dell'infinito intanto. Ed esse possono mutuamente giovarsi dei loro sfora, che, nell'economia generale dello spirito, sono solidali, anche quando pretendono di procedere separati. (pp. 52-53)
Pensieri
[modifica]- Esiste una pietà più grande di quella che commisera i dolori degli uomini, ed è la pietà che si commuove dei loro piaceri.
L'uomo che si appresta a godere è tanto più da compassionare quanto maggiore è l'intensità della sua aspettativa: di tanto sarà certa ed amara la delusione sua. L'insoddisfazione è infatti, nonostante fugaci esperienze contrarie, lo stato perpetuo dell'animo umano. (I, p. 1)
- Gli uomini sono massimamente dissimili fra loro nella gioia, massimamente simili nel dolore. Lo sguardo fiso e profondo di chi molto soffra nel fisico o nel morale si ritrova identico in ogni volto umano, di qualsiasi razza e colore. Al dolore gli uomini si riconoscono fratelli.
Ma anche il dolore degli animali è così simile al dolore degli uomini. (III, p. 3)
- Grave e comune sciagura è che il dolore non uccida. Un grande dolore purifica, nobilita, eleva anche l'essere più volgare; e sarebbe per molti una dignitosa e solenne conchiusone di vita. (VI, p. 4)
- L'evidenza è la nostra incapacità di pensare il contrario. Ma tutto il progresso scientifico si è fatto contro ogni evidenza. (VIII, p. 5)
- L'unico modo di conservarsi la gratitudine altrui è non pretenderla. (XVII, p. 7)
- Il suicidio dimostra che ci sono nella vita mali più grandi della morte. (XXIII, p. 11)
- È davvero risibile la semplicità delle teorie economiche correnti intorno alla determinazione dei prezzi. Tutte le passioni umane entrano nel calcolo. (XXV, p. 11)
- Saper tacere non è soltanto una virtù, ma un mezzo potentissimo di conquiste sociali. C'è un'arte del silenzio, non meno importante ed efficace dell'arte della parola. (XXXIV, p. 15)
- Il pudore è una provocazione sessuale. La vera innocenza è impudica. (CXXIX, p. 65)
- Il dolore d'un ammalato, d'un demente, d'un moribondo, lo strazio dei congiunti e dei superstiti, l'angoscia dei cuori divisi per sempre, la nostalgia insanabile di affetti distrutti dalle spietate e assurde irruzioni della morte; tutto questo dolore che la vita porta nel suo grembo per le tragiche condizioni naturali in cui si svolge dovrebbe bastarci, e farci comprendere la folle crudeltà con cui gli uomini vi aggiungono altro dolore con la rea volontà di nuocersi positivamente, di farsi dell'altro male. (CXCIV, p. 104)
- Gli uomini debbono avere una fede sconfinata e incrollabile nelle disposizioni generali al bene, se non si sentono punto scoraggiati da tutti gli orrori, da tutte le nefandezze e turpitudini e molte bestialità della cronaca quotidiana. (CXCVII, p. 105)
- La scienza non è tutta la conoscenza, bensì solamente l'insieme e, al limite, il sistema delle costanti o invarianti verificate nelle nostre esperienze. (CCCX, p. 154)
Verso la nuova Europa
[modifica]- Hellpach su una larga base geografica, etnografica, linguistica, storico-politica, storico-religiosa, culturale, ci ha caratterizzato in modo integrale la civiltà della razza bianca – la mediterranea e la nordica – nel suo sviluppo e nel suo stadio presente, e ha definito l'Europa una individuazione storica ed etica. Diagnosticata la crisi della civiltà umanistica, egli ha proposto da buon medico, un rimedio di quattro elementi ben dosati per ridare alle funzioni primaziali della civiltà europea nel mondo il tono più elevato e pienamente adeguato al «realismo» del nostro tempo. (p. 90)
- Weber ci ha descritto in modo suggestivo la formazione storica dell'europeo come uomo dinamico; ci ha dato la formula della composizione cavalleresca, aristocratica e cristiana dell'anima europea, e ce ne ha spiegato l'intimo dissidio in un mondo non più illimitato, né più aperto alla conquista e nel quale sin qui la maniera d'essere ingenua, espansiva ed eroica è stata: la distruzione. Dalla stessa formula egli ha tratto l'indicazione di una nuova necessaria «conversione dei segni», della conversione cioè dello spirito aristocratico-cavalleresco nello spirito di servizio sociale. (pp. 90-91)
- Rohan dopo una inchiesta amplissima su tutti gli aspetti storici, psicologici, etici della «realtà» europea, vista dall'esterno e cioè nei confronti col resto del mondo, e vista dall'interno, cioè nelle componenti spirituali strutturali della società europea contemporanea, ci ha tracciato, di là dalla crisi, un profilo confortante sì del nuovo divenire delle masse europee, con l'affacciarsi, alla storia e alla civiltà di popoli giovani e di strati sociali fin qui depressi; e sì dell'uomo moderno, dell'uomo d'azione, che mette la spiritualità più fresca e dinamica nella condotta pratica, industriale, economica. (p. 91)
- Dawson, additando l'ufficio essenziale della molteplicità e della collaborazione delle razze in Europa, dimostra come la diversità delle razze è la forza della civiltà europea, finché l'Europa è unita; diventa fonte di debolezza, non appena questa unità dinamica scompare. Riconosciuta la funzione unificatrice della collaborazione storica e ognora rinnovata fra Sud Mediterraneo e Nord Atlantico, egli mette in evidenza, contro la celebre tesi opposta di Cecil Rhodes, la necessità e utilità di una nuova sintesi dello spirito anglosassone col latino, per restaurare la cattolicità della civiltà europea e per preparare l'ulteriore collaborazione coi nuovi popoli dell'Oriente d'Europa, quale terzo elemento potenziale della sintesi europea. (p. 92)
- Carcopino ha tracciato un quadro emozionante di quella pax romana che Roma assicurò al mondo antico, la quale può servire di modello anche per l'Europa moderna, se sappia ricavarne gl'insegnamenti eterni: l'ordine rispettoso della varietà, la giustizia nella libertà, la libertà nella legge. Come l'Impero ha fatto la pace romana, è possibile che la pace europea a sua volta ne ricostituisca l'unità e riconsacri l'impero dell'Europa nel mondo. (p. 93)
- [...] mentre per Hanotaux basta il cuore e la lingua a formare una nazione, Hellpach ha notato la generale tendenza in Europa allo sviluppo autarchico e antarchico degl'idiomi, fino alle frazioni dialettali, pur derivati quasi tutti da un unico tronco, ma differenziati ormai il più spesso sino alla reciproca incomprensibilità; e ha fatto notare che in nessun'altra parte del mondo i popoli si odiano e combattono così appassionatamente per la ragione che essi parlano differenti idiomi. (pp. 99-100)
- [...] Rosenberg ha innalzato l'insegna sovrana delle quattro grandi nazionalità europee, che sole hanno titolo al comando della storia: l'italiana, la francese, l'inglese e la tedesca. Le nazioni minori si ricollegherebbero in fondo all'una o all'altra delle maggiori. Dallo sviluppo autonomo e solidale di questi quattro grandi nazionalismi risulterebbe una unità europea non forzata ed «esplosiva», come era l'unità medioevale, che dovette spezzarsi, «ma organica e dinamica». (p. 101)
- [...] in favore delle piccole nazioni [europee, diversamente dall'opinione di Rosenberg] si sono levate voci autorevoli. Brugmans ha accentuato il fatto che l'importanza spirituale dei popoli non sta in alcun rapporto con la vastità dei loro territori, né col numero delle anime. Nei piccoli l'ideale della pace e della dignità umana vive forse più intensamente che in altri. Essi hanno un importante ufficio da compiere per l'unità dell'Europa. (p. 101)
Filosofia ed azione
[modifica]Se la filosofia critica farà sentire sempre più l'autorità e fecondità della sua collaborazione con la scienza, non meno deve rendersi utile nel campo dell'azione e in particolare nell'azione politica e più specialmente ancora nell'azione rivoluzionaria.
A quanti considerano ancora l'azione come un fatto meramente empirico, la filosofia critica insegnerà il costrutto integrale e il significato inventivo e trascendente dell'azione umana, sì spontanea che riflessa.
Ai non pochi che guardano ancora alla politica come a un campo di applicazioni deduttive da principi e concetti prestabiliti, essa può insegnare la funzione creatrice di realtà umane e sociali che la politica compie.
A coloro infine che ardono di passione rivoluzionaria, la filosofia critica può fornire le armi per liberarsi di falsi ontologismi e di falsi assoluti ereditati dal passato come immobili e intangibili; ispirare il concepimento funzionale delle nuove e mobili architetture e ordinanze politiche, giuridiche e sociali; ma segnalare anche, in seno alla loro dinamica e storica relatività, i limiti di variazione degl'istituti che presidiano la vita dell'uomo e delle collettività umane.
E un'altra cosa può insegnare la filosofia critica, di una portata immensa propria per l'azione pratica: a diffidare dei concetti.
La Conflagrazione spirituale
[modifica]Dopo tanto imperversare, e progrediente, dell'attuale guerra, siamo oramai in stato di accorgerci che dietro il cozzo immediato delle passioni, oltre i gesti degli attori, grandi e piccini, della tragedia, cui il mondo assiste in uno stupore trasognato, sonvi di qua e di là nei campi avversi taluni genî invisibili, che simili alle deità omeriche discendono e si mescolano fra i combattenti, li rincorano, confortano, minacciano, premiano, animatori assidui della lotta e della strage.
A tali genî noi diamo nome di idee.
Quand'anco le passioni si stancassero, e gl'interessi tendessero a cedere e a comporsi, le idee nemiche si mostrerebbero il gelido volto implacabili. Né sconfitte sul terreno pratico, storico, perduta la battaglia, usano arrendersi; ma tornano nel loro chiuso Olimpo a fortificarsi e ad armarsi per nuove lotte.
Come gli Dei, le idee non muoiono che di morte soprannaturale. Sono così fatte le leve inflessibili che muovono il mondo.
Note
[modifica]Bibliografia
[modifica]- Dizionario delle citazioni, a cura di Ettore Barelli e Sergio Pennacchietti, BUR, 2013. ISBN 9788858654644
- Francesco Orestano, Filosofia ed azione, «Montero» editore tipografo, Tivoli, 1933.
- Francesco Orestano, La conflagrazione spirituale, Società italiana per il progresso delle Scienze, Roma, 1916.
- Francesco Orestano, La matematica moderna e la filosofia, Optima, Roma, 1924.
- Francesco Orestano, Gravia levia, Fratelli Bocca editori, Milano, 1941.
- Francesco Orestano, Pensieri. Un libro per tutti, Fratelli Bocca editori, Milano, 19437.
- Francesco Orestano, Verso la nuova Europa, Fratelli Bocca Editori, Milano, 1941.
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