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Gaetano De Sanctis

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Gaetano De Sanctis

Gaetano De Sanctis (1870 – 1957), storico, accademico, antifascista e politico italiano.

Citazioni di Gaetano De Sanctis

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  • Se Livio non vede che Roma è perché egli è del tutto legato agli schemi della storiografia romana che, in contrasto con quella greca, ha un interesse esclusivo e profondo per le vicende del proprio popolo e che dalle sue origini fino al suo declinare non è e non vuole essere se non la storia del popolo e dello Stato romano.[1]

Storia dei Romani

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Citazioni

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Volume I

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  • [...] primo ufficio dei consoli ed elemento essenziale del loro potere, come una volta di quello dei re, era il comando dell'esercito. Con l'imperio militare si collega strettamente la pienezza della giurisdizione criminale in guerra e la giurisdizione civile in quanto è indispensabile al mantenimento del buon ordine nel campo. Muover guerra il console non poteva, fuori del caso, che si faceva sempre più raro, di città con cui non esistessero trattati; era il popolo che dichiarava guerra: poteva però il console condurre la guerra a suo arbitrio e in origine fermar anche pace a suo senno, sebbene più tardi il popolo non sempre si tenesse obbligato a ratificarla. Apparteneva pure al console la facoltà, strettamente collegata col suo imperio militare, di chiamare i cittadini sotto le armi, valendosi del suo potere coercitivo contro i riottosi sino a far vendere schiavo chi non si presentasse, e d'imporre il tributo straordinario per le spese di guerra; ma in ambedue le cose si trovò col tempo legato a consultare precedentemente il senato e ad eseguirne le deliberazioni. Infine il console pronunciava, in specie sul campo di battaglia, i voti per la salute del popolo e dell'esercito e vegliava affinché venissero adempiuti, e disponeva liberamente, sempre s'intende nel pubblico interesse, del bottino fatto in guerra. (vol. I, cap. XI, pp. 413-414)

Volume II

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  • Il formarsi delle tribù rustiche spiega, oltre l'origine e la natura dei concilî tributi, anche questa singolarissima istituzione del tribunato. Nella storia del V sec. si ricorda spesso l'intervento dei tribuni della plebe a proposito di leva e di tributo: due cose che sono in relazione stretta con le tribù. Par dunque che quando per tribù si cominciò a levare le truppe ed a riscuotere i tributi, i capi dei pagi, che allora si chiamarono tribuni, i quali da tempo forse facevano da arbitri o da giudici nelle piccole questioni tra i plebei del loro distretto, prendessero ad intervenire a tutela dei diritti della plebe. Il loro intervento divenne man mano più invadente e allo stesso tempo più continuo, finché si trasformarono in veri e propri funzionari della plebe eletti annualmente nelle sue assemblee tribute. Solo cosi si spiegano le singolari facoltà che possedevano i tribuni e che certo non possono avere acquistate ad un tratto. (vol. II, cap. XIII, pp. 25-26)
  • La potestà tribunizia non è creazione cosciente del genio politico romano, ma s'è invece svolta spontaneamente in forza delle circostanze tra cui si combatteva la lotta della plebe col patriziato. Il nòcciolo di quella potestà è nel diritto di ausilio, ossia nella facoltà di venire al soccorso dei plebei oppressi; ma questo ausilio si esplica negativamente, cioè nel diritto d'intercessione per cui i tribuni possono col loro intervento sospendere i decreti dei magistrati, opporsi alla votazione di proposte di legge nei comizî di tutto il popolo e perfino impedire al senato di deliberare. (vol. II, cap. XIII, pp. 26-27)
  • Tali diritti dei tribuni, che si svolsero lentamente dalla difesa degli interessi plebei nella occasione di chiamata sotto le armi o d'imposizione di tributi, erano guarentiti dall'amplissima loro potestà coercitiva. E anche la tradizione conserva chiaro ricordo che solo passo passo acquistarono i tribuni tutti quei diritti col procedere, inviolabili essi stessi, contro chiunque offendeva la plebe, ne turbava le assemblee, non ottemperava ai loro divieti, ledeva le loro prerogative, alla immediata repressione, carcerando, multando e persino mettendo a morte, senza concedere, almeno nei casi più gravi, neppure l'appello al popolo. Senonché il fondamento della intercessione tribunizia e della coercizione che ne assicura l'efficacia non è una legge dello Stato. La potestà tribunizia, come riconoscevano gli stessi antichi, non è legittima, ma è sacrosanta: come l'autorità dei concilî della plebe, così quella dei tribuni è d'origine rivoluzionaria e fondata sulle leggi sacrate giurate dalla plebe, per cui essa s'impegnava a sostenere ad ogni costo, anche con la violenza, le prerogative de' suoi tribuni. (vol. II, cap. XIII, pp. 27-28)
  • [...] nella leggenda di Coriolano il personaggio principale o non è storico o fu trasportato in mezzo a circostanze assai diverse da quelle tra cui era vissuto, non v'è né cronologia né esattezza di particolari topografici, ma solo il ricordo dell'invasione dei Volsci nel Lazio; nella leggenda di Cincinnato, storico è il personaggio, la cronologia almeno approssimativamente sicura, l'Algido il reale campo di battaglia tra Equi e Romani, netto il ricordo delle lotte combattute tra essi con varia fortuna, ma il fatto o i fatti particolari che diedero occasione alla leggenda sfuggono all'analisi storica [...]. (vol. II, cap. XV, pp. 121-122)

Volume III

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Parte prima
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  • Fu questa [la battaglia di Milazzo] la prima vittoria riportata dagli Italici sul mare che poi doveva esser loro. E l'effetto morale fu senza dubbio gravissimo in Roma, presso gli alleati romani e in Cartagine, proporzionato alla importanza reale della battaglia nella storia d'Italia e della civiltà antica in genere: perché terminò quel giorno il predominio che aveva tenuto nell'occidente del Mediterraneo il naviglio cartaginese, dalla caduta dell'impero di Dionisio, per circa un secolo. (vol. III, parte I, cap. II, p. 129)
Parte seconda
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  • G. Terenzio Varrone[2], figlio d'un ricco negoziante, doveva essere uomo d'ingegno superiore alla media levatura dei consoli romani se era pervenuto alla suprema dignità dello Stato vincendo lo sfavore che agli uomini nuovi dimostrava la spadroneggiante nobiltà patrizio-plebea. Disgraziatamente le doti necessarie agli uomini nuovi per salire, facondia, audacia, pronta percezione degli umori delle turbe, scaltrezza nel guidarli o, facendo mostra di guidarli, nel lasciarsene guidare, non erano, come già aveva mostrato il caso di Flaminio, quelle di cui più faceva d'uopo nel guerreggiare Annibale. (vol. III, parte II, cap. VI, p. 56)
  • [La battaglia di Canne] Così [...] era terminata con una disfatta la maggiore battaglia che i Romani avessero fino allora combattuto: una disfatta non dovuta ad agguati né ad inferiorità numerica, non imputabile né alla stagione avversa come quella della Trebbia né al terreno insidioso come quella del Trasimeno; ma toccata nel terreno dove i Romani stessi avevano offerto battaglia e dove, superiori di numero, avevano affrontato il nemico col nerbo delle legioni ritenute invincibili. Questo anche più che l'immane disastro della primavera italica falciata nel suo rigoglio dalle spade cartaginesi sembrava dovesse far disperare della fortuna di Roma non gli alleati soltanto, ma gli stessi Romani. (vol. III, parte II, cap. VI, p. 64)

Volume IV

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  • Successo risolutivo non s'ebbe pertanto che l'anno seguente 191, quando fu inviato in Gallia P. Cornelio Scipione Nasica cugino dell'Africano e figlio di quel Cn. Scipione che col fratello era caduto in Spagna. Mentre il collega M. Acilio Glabrione otteneva in sorte la guerra d'Antioco e si copriva di gloria alle Termopile, Nasica riportava sui Boi una grande vittoria, meno famosa, ma ben più proficua alla causa latina, dopo la quale i Boi si arresero, cedendo, ci vien detto, la metà del territorio: la metà forse di quel che non avevano già perduto, perché tutto il territorio gallico a sud del Po fu confiscato e variamente colonizzato, con la eccezione del distretto di Brixello. (vol. IV, parte I, cap. IV, p. 415)
  • Come la prima guerra punica era stata dal 263 o 262 una guerra pel possesso della Sicilia, cosi nelle origini la seconda punica era stata pei Romani soprattutto una guerra pel possesso della Spagna: iniziata in apparenza da Cartagine, in realtà da Roma per la gelosia e il timore della potenza che la rivale traeva dai suoi possessi spagnuoli più che per la brama consapevole di assicurarsi in vece sua quelle fonti di potenza e di ricchezza. (vol. IV, parte I, cap. IV, p. 441)

Citazioni su Storia dei Romani

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  • Solo nel maggio scorso, prima di lasciare Napoli, potei leggere per intero e con agio i due nuovi volumi della sua Storia di Roma; e la lettura mi fu di grande piacere ed istruzione. Il significato storico di Cartagine e della grande lotta è magnificamente lumeggiato, e l'esposizione è limpidissima. Gli schiamazzatori presenti, così teneri della scienza italiana, non si accorgeranno di quest'opera che onora la scienza italiana. (Benedetto Croce)

Citazioni su Gaetano De Sanctis

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  • La generosità con cui egli passava ore e ore nel suo studio a insegnare il metodo della ricerca a uno a uno dei suoi scolari, la dottrina che, in quelle stesse ore, grandeggiava in sicurezza, ampiezza di vedute e profondità, persino più che dalla lettura dei suoi libri, mi apparve, e continua ad apparirmi, un ideale sempre presente, anche se sicuramente superiore alle mie forze.
    Il carattere, la fermezza delle convinzioni, la forza d'animo, fecero grandeggiare in me la figura di chi non solo era maestro di scienza, ma sapeva esserlo anche nella vita morale. In un Paese che oscilla fra l'anarchia e l'autocrazia, Gaetano De Sanctis visse per un ideale di libertà nei limiti della legge. (Mario Attilio Levi)
  • Antimperialista e colonialista fu il De Sanctis. Questo paradosso ben si intende perché il suo colonialismo non consisteva che in una diffusione di civiltà in quanto, in base al detto di Pasquale Stanislao Mancini, «non esiste diritto di barbarie». Proprio per questo suo convincimento profondo che spetta ai popoli i quali primi hanno raggiunto un grado superiore di civiltà di diffonderla a popoli, che contingenze varie hanno mantenuti in uno stato inferiore di sviluppo civile, egli era fin da giovane, e tale rimase per tutta la vita, irriducibilmente avverso a quelle potenze e a quei politici che travisavano il suo ideale e del colonialismo volevano servirsi – e si servirono di fatto – non già per elevare i popoli meno civili, ma per sfruttarli. Le sue parole diventavano infiammate e furenti contro questo imperialismo e colonialismo deteriore, che sarebbero stati causa o prima o poi – così affermava con amarezza – di futuri mali gravissimi. Era il suo colonialismo così inteso un'illusione? Può essere.
  • Destituito dall'insegnamento e poi da tutte le Accademie italiane [per non aver prestato il giuramento richiesto dal regime fascista ai professori universitari], fallito un tentativo di lasciare l'Italia per recarsi a insegnare al Cairo, egli, che era doctor honoris causa delle università di Cambridge, Oxford, Sorbona, Lovanio, vive in povertà dignitosa con l'aiuto dello stipendio come direttore di sezione dell'Enciclopedia Italiana, a cui poté continuare a prestare la sua opera per la protezione di Giovanni Gentile. Tuttavia, nonostante la povertà, nei momenti difficili egli non esitò a presentare le dimissioni al Gentile, qualora la sua presenza all'Enciclopedia intralciasse l'opera del presidente, ma il Gentile non le accettò mai e lo conservò al suo lavoro fino a quando fu possibile, per affetto e per ammirazione verso il grande scienziato e il grande uomo.
  • Egli difendeva la validità della storia scientifica, l'unica storia autentica. In che cosa questa consista è agevole dire perché egli rimase sempre coerente nella sua impostazione, e fermo nella sua concezione fondamentale, come dimostrano chiaramente i suoi scritti, dai più antichi ai più recenti [...]. Secondo il De Sanctis il metodo critico, per la cui retta applicazione occorre che lo studioso domini tutte quelle discipline che di solito si definiscono, sia pure malamente, come sussidiarie della storia, quali per l'antichità la filologia, l'epigrafia, l'archeologia, la numismatica ecc., il metodo critico, dicevo, porta all'assodamento del fatto, e cioè alla determinazione precisa del momento, del luogo, dello svolgimento, ad esempio, di una battaglia; e per tale riguardo la ricerca storica partecipa delle scienze esatte. Ma quando si vuole ricostruire il significato di quella battaglia inserendola nello sviluppo storico, spiegare cioè il prima da cui essa è nata e il poi a cui ha dato origine, in questa ricostruzione non può non agire la personalità dello storico, che corrisponde ad una determinata temperie storica; e per tale aspetto la storia partecipa dell'arte.
  • La sua partecipazione alla problematica più recente e ardita nella ricostruzione storica scatenò le ire degli antichisti, avvinti al positivismo della fine del secolo, e non soddisfece le avventure storiche dei modernizzanti, per la cautela severa con cui egli accolse ogni novità sottoponendola al vaglio critico del proprio pensiero e per l'odio innato verso la bellettristica, verso cioè ogni storia retorica o artistica. E molte delle odierne novità, che da un lato dissolvono l'uomo nella società, dall'altro lo isolano dalla società quasi fosse un microcosmo per sé stante, si ritroverebbero nell'opera storiografica del De Sanctis, se fosse ben conosciuta, unificate in una unità superiore.

Citazioni in ordine temporale.

  • II De Sanctis non era un epigrafista di professione, ma dominava perfettamente il materiale epigrafico. Durante le sue esplorazioni nell'isola di Creta, dove lo Halbherr ben presto lo aveva chiamato, egli si occupò largamente di epigrafi, che raccolse in gran copia, per poi studiarle e pubblicarle degnamente sia nei Monumenti dei Lincei sia altrove. E alle epigrafi seguitò a dedicare per tutta la sua vita le cure più attente. Egli era infatti perfettamente convinto di una verità che non può mai senza danno essere trascurata: che cioè non è possibile coltivare con profitto gli studi storici se non si tien conto sia dei monumenti archeologici sia dei papiri sia e specialmente delle epigrafi, immenso e prezioso patrimonio da cui emerge la vita degli antichi in tutta la sua variopinta e – vorrei dire – divina multiformità.
  • Il De Sanctis aveva una vastità d'interessi veramente smisurata e, insieme, una straordinaria capacità a immedesimarsi subito nei problemi più vari che man mano gli venivano esposti. Aveva anche il dono di far subito sentire a suo agio l'interlocutore, dandogli quasi l'impressione di poter trattare con lui da pari a pari, collaborando con lui alla soluzione dei problemi stessi.
    Alla grande forza intellettuale si univa una non meno grande forza morale, una forza che spesso egli riusciva ad infondere negli altri. Non esagero perciò dicendo che a tanti di noi egli fu maestro non solo di scienza ma anche di vita.
  • Accanto a così grandi virtù c'erano anche [in De Sanctis], come in ogni uomo, i difetti. È strano però e sintomatico che, a guardar bene, i difetti si rivelavano spesso come l'eccesso delle virtù. Così, la sua indomabile tenacia lo portò più di una volta al puntiglio, e la sua liberalità lo indusse non di rado a pericolose indulgenze verso chi non ne era degno e non mancò di abusarne, provocando così danni non lievi per il presente e per l'avvenire. Ma – lo ripeto – era inevitabile che accanto alle luci vi fossero le ombre.
  • Il De Sanctis, sostenitore del Partito popolare fin dalla fondazione, ne condivideva l'orientamento favorevole al ripristino della collaborazione internazionale e avverso alle forme del nazionalismo che tende all'imperialismo. La sua linea di condotta, sempre coerente nel campo scientifico e in quello propriamente politico, ebbe modo di rivelarsi anche in questa Accademia [delle Scienze di Torino].
    Per il cattolico De Sanctis, che pure appartenendo a famiglia attaccata al Papa e fedele al principio del potere temporale, aveva scelto meditatamente e con sofferenza di essere cittadino del Regno d'Italia, pace significava anche pace religiosa e civile fra l'Italia e la Chiesa.
  • Negli anni immediatamente successivi alla prima guerra mondiale il De Sanctis si impegnò a fondo per la costituzione dell'Unione Accademica Internazionale, che egli intendeva come centro propulsore per la ripresa degli studi e della ricerca e come via per restaurare, dopo i disastri, le divisioni e i rancori della guerra, l'unità e la fraternità tra gli studiosi e per favorire, così, la pacificazione degli spiriti. L'idea era stata lanciata dall'Académie des Inscriptions di Parigi come «una unione accademica interalleata per ricerche di archeologia, di filologia e di storia»: ma il De Sanctis l'accetta e la fa sua formulando fin dal primo momento la proposta che essa sia allargata agli ex nemici appena possibile.
  • Quando alla fine del 1918 fu proposto, per celebrare la pace, di ricostruire sul Campidoglio l'Ara pacis di Augusto egli si dichiarò «recisamente avverso a ricostruzioni che mescolano il nuovo e l'antico»: inoltre v'è per lui «più grave ragione di dissenso»: non si può celebrare la pace attuale celebrando la pax Augusta perché questa fu «pace imperiale» da un lato e «pace di rinunzia» dall'altro. Infatti la pace nuova «non deve essere, per nessuno, rinunzia al vivere libero. [...] Questa pace segnerà il principio d'una nuova èra di progresso, non come la pace di Augusto, in mezzo a una gloriosa fioritura d'arte e di lettere, il principio d'un'èra di decadenza [...]; essa, pace di giustizia e di libertà, deve essere celebrata originalmente con nuovi spiriti e con nuove forme d'arte».

Note

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  1. Citato in Vittorio Citti, Claudia Casali, Camillo Neri, Scrittori latini nel tempo, Zanichelli, Bologna, 2000, p. 858, ISBN 978-88-08-09995-2. Vedi anche Gaetano De Sanctis, Scritti minori, vol. V, 1931-1947.
  2. Nel testo erroneamente "M. Terenzio Varrone".

Bibliografia

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  • Gaetano De Sanctis, Storia dei Romani, vol. I, Fratelli Bocca editori, Torino, 1907.
  • Gaetano De Sanctis, Storia dei Romani, vol. II, Fratelli Bocca editori, Torino, 1907.
  • Gaetano De Sanctis, Storia dei Romani, vol. III, parte I, Fratelli Bocca editori, Torino, 1916.
  • Gaetano De Sanctis, Storia dei Romani, vol. III, parte II, Fratelli Bocca editori, Torino, 1917.
  • Gaetano De Sanctis, Storia dei Romani, vol. IV, parte I, Fratelli Bocca editori, Torino, 1923.

Altri progetti

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