Giorgio Perlasca

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Stele dedicata a Giorgio Perlasca al museo Yad Vashem di Gerusalemme

Giorgio Perlasca (1910 – 1992), funzionario, filantropo e commerciante italiano.

Citazioni di Giorgio Perlasca[modifica]

  • Avendo fatto il governo israeliano un comunicato, [...] mi trovavo nel solito Levico, e i giornali sono corsi assieme alla televisione a parlarmi. Insomma, han voluto conoscere. Anche quello che non conoscevo io.[1]
  • C'era della gente che era in pericolo di morire e bisognava fare qualche cosa. Avendo la possibilità di farlo, l'ho fatto.[2]
  • [In riferimento alla fuga dell'ambasciatore spagnolo Sanz Briz a Berna, dopo la quale Perlasca si era trovato da solo nella legazione spagnola a Budapest e decise di fingersi ambasciatore] È stato duro. Perché sono stato avvisato la mattina presto che quello lì partiva. Sono uscito di casa e sono andato nella zona del quartiere internazionale. Camminavo, e a un bel momento ho visto che volevano portarmi via i protetti della strada Légrády Károly numero 33. Mi sono opposto e ho raggiunto un accordo con l'ufficiale di polizia di andare nel parco dove c'era lo stato maggiore della razzia. Non sapendo che cosa dire - perché dicevano che il Sanz Briz era scappato e di conseguenza non esisteva più legazione - ho detto: "ma come non esiste più legazione? Io sono il legale sostituto! Sanz Briz è andato a Berna per incontrarsi con i colleghi di altre nazioni, la bandiera è sempre fuori, di conseguenza mi meraviglio! Questi sono i miei documenti". Avevo il passaporto e la tessera diplomatica.[1]
  • È un po' complicato dire se ho inventato, se era legale o no, date le circostanze, il governo incapace che c'era, tutto era buono e tutto credevano. E così, visto che volevano portarmi via i tremila circa che avevamo già protetti, io ho detto "sono il sostituto, sono io l'incaricato d'affari adesso". E allora, dopo una discussione più o meno drammatica, quelli hanno sospeso la razzia e mi hanno restituito quelli che avevano preso, due carri completi. [...] Io credevo di aver capito che bisognava essere un po' duri, avere la faccia tosta, raccontare delle storie, magari non vere. Però non sapevo nemmeno da che parte cominciare e non ero sicuro di riuscire. La concomitanza di varie circostanze favorevoli hanno portato a che io abbia potuto fare quello che di giorno in giorno la situazione esigeva. Migliaia e migliaia di donne, bambini, uomini, stipati in questi vagoni. Era una cosa orrenda. Di più non potevo fare, o perlomeno non sapevo fare. Ma credo che non fosse possibile fare di più.[3]
  • [Gli ebrei] avrebbero dovuto andare, secondo gli accordi, a lavorare nelle fabbriche. Sennonché questo non era vero, venivano deportati per essere mandati nei campi. E tutti lo sapevano. Tutti. Le autorità, i governi di qualsiasi parte del mondo, sapevano. Ossia: governi con le loro ambasciate, legazioni, servizi di spionaggio, e via di questo passo.[1]
  • Io credo di aver fatto qualcosa di normale perché penso che nella mia situazione chiunque avrebbe fatto la stessa cosa. Non posso immaginare che ci sarebbe stata una persona, al mio posto, che avrebbe rifiutato di farlo.[1]
  • Io so poco di Wallenberg, come anche degli svizzeri io non so niente, non ho mai avuto occasione di lavorare assieme. Noi avevamo altro da pensare che andar dietro alle chiacchiere. Perché loro facevano chiacchiere e basta. Una volta che ho visto Wallenberg è stato perché si era costituito un comitato delle potenze neutrali, ma che era formato da persone che non erano delle legazioni. Sono andato una volta, c'era anche Wallenberg, e poi ho detto "con voi non si conclude niente, io non vengo più", e non sono più andato.[4]
  • Ma lei, avendo la possibilità di fare qualcosa, cosa avrebbe fatto, vedendo uomini, donne e bambini massacrati senza un motivo se non l'odio e la violenza?[5]
  • [In riferimento al numero di ebrei salvati durante il lavoro come diplomatico spagnolo] Mi domandava prima quanti se ne sono salvati. Salvo setto o otto, tutti gli spagnoli si sono salvati. Tutti. Sette o otto che hanno voluto farsi ammazzare, perché hanno voluto andare fuori a fare i loro comodi, a trovare le loro ragazze... [Domanda: «Questo successo a cosa si deve?»] A cosa si deve... Io non ero un diplomatico, e di conseguenza non ero legato a schemi diplomatici. Il diplomatico stava dentro in legazione, se c'era qualche cosa, andava al ministero degli esteri. Io invece andavo alla polizia, ai gendarmi, al partito Nyilask e a tutte le case protette, per lo meno una volta al giorno. Sopra tutto alla nostra onestà. Tutti ci conoscevano per la nostra onestà. Perché noi davamo da mangiare, davamo da mangiare fino ché abbiamo potuto, perché a un bel momento non avevamo da mangiare nemmeno in legazione, bisognava comprare alla borsa nera. Prima ho comprato coi soldi della legazione, finiti quelli ho comprato con i miei, finiti i miei, [...] i membri del comitato erano ridotti alla fame, perché tutti facevano la fame lì, parlo dopo il 15 di dicembre, ché è venuta la crisi alimentare. E poi, sa come facevo? Andavo da quel signore lì, rifugiato: "lei mi dia mille pengő"; quest'altro: "lei duemile pengő" - perché avevo gli informatori che mi dicevano; "lei tremila"; un altro: "cinquemila"; facevo i soldi e compravamo alla borsa nera. Particolarmente il latte in polvere. Sono arrivato a comperare alla borsa nera anche il latte della Croce Rossa internazionale, che il delegato weiermar doveva darmi gratuitamente. O se l'era fatto rubare, io non so quello che era successo, il fatto è che io l'ho comprato alla borsa nera. Non potevo far morire di fame i bambini, no?[6]
  • [In riferimento all'intento nazista di radere al suolo l'intero ghetto di Budapest, il cui salvataggio è generalmente attribuito a Raoul Wallenberg] Mi era arrivata la voce dai primi di gennaio che gli ultranazisti ungheresi volevano rastrellare tutti gli ebrei del ghetto internazionale per portarli al ghetto comune, chiuderli dentro, dare fuoco al ghetto, e uccidere quelli che tentavano di scappare. C'era già un muro intorno. Io non credevo a una cosa del genere perché mi sembrava un'enormità, un'atrocità enorme. Non ci credevo. Però, una bella mattina, ho visto passare una colonna di ebrei [...] portati verso il ghetto che era lì a trecento metri. Ho domandato chi erano, e mi hanno detto che erano i portoghesi, ebrei ungheresi protetti dalla legazione del Portogallo. Durante la notte - credo le due di notte - era venuto in legazione un inviato della legazione portoghese: mi chiedevano che assumessi la protezione degli interessi portoghesi perché lui non ce la faceva più. Quando la mattina ho visto passare questa colonna di ebrei ungheresi protetti dalla legazione portoghese, ho cominciato a capire che qualcosa stava succedendo. E così ho scritto una lettera a questo ministro Vajna, dicendo che ho sentito queste voci e sono sicuro che lui, come ministro dell'interno e responsabile civile e militare della capitale assediata, non avrebbe permesso una cosa del genere. Quello non ha risposto. Allora [...] mi sono presentato lì dove lui aveva la sua sede, nel sotterraneo del municipio di Budapest, che è un grandioso edificio, con un sotterraneo spazioso con uffici, e lì ho trovato Wallenberg, lo svedese, e Zürcher lo svizzero, ai quali ho detto "adesso io vado dentro e poi vi saprò dire". Sono andato da questo signore, il quale mi ha detto chiaro e tondo che lui aveva intenzione di fare una cosa del genere. Io ero sbalordito. Pensavo dentro di me: "ma questo qui proprio sta diventando matto, lui è ministro degli interni, è responsabile civile e militare della capitale assediata, come fa a pensare di fare una strage del genere?". Penso che ci fossero dentro nel ghetto sessantamila [prigionieri], più trentamila che venivano dalle case protette, insomma: si trattava di ammazzare un centinaio di migliaia di persone, oltre che distruggere la parte storica della capitale. [1] E lui a un bel momento anche piangeva, perché gli ho fatto questo discorso sulla religione, la morale, tutto il benessere futuro del popolo magiaro e via di questo passo. Niente.[7] All'ultimo momento mi è venuto in mente di fargli una specie di ricatto. E allora gli ho detto che se entro quarantottore il governo spagnolo non avrebbe ricevuto questa assicurazione che tutto procedeva secondo gli accordi, avrebbe proceduto all'internamento e alla requisizione di tutti i beni dei tremila e oltre cittadini ungheresi che si trovavano in Spagna - saranno stati cento...[1] E che avrebbe poi chiesto al governo brasiliano e al governo uruguaiano - o paraguaiano, non ricordo più - di fare altrettanto.[7] "E" - ha detto - "come può un governo amico come lo spagnolo farci una cosa del genere?". "Amico?" - ho detto io - "come può essere amico se lei sta andando contro quelli che sono i desideri del governo spagnolo, lo spirito umanitario, religioso". Per farla breve: ha ceduto. Ha detto "va bene, tutti gli spagnoli saranno salvaguardati". "E no", ho visto che il momento era buono e ho detto, "non solo gli spagnoli, ci sono gli svizzeri, ci sono gli svedesi, i portoghesi e i vaticani; fuori che attendono c'è Wallenberg lo svedese, Zürcher lo svizzero, e loro pretendono la stessa cosa; ma adesso la pretendo io per essere tranquillo, perché non avvengano confusioni". Insomma: sono rimasto d'accordo che non avrebbe più concentrato gli ebrei. E infatti la mattina dopo ho potuto constatare che le milizie Nyilask che circondavano il ghetto erano state allontanate. Quando sono uscito, ho riferito a Wallenberg e a Zürcher quello che avevo concordato, e ho detto: "adesso se voi andate dentro cercate di ottenere qualcosa di più, non so che cosa, roba da mangiare eventualmente... insomma non c'è altro da ottenere in questa situazione". In quell'occasione Wallenberg mi ha chiesto asilo nella legazione di Spagna. Io gli ho detto che l'avrei aspettato fuori e che l'avrei portato con la mia scorta di gendarmi e con la macchina che avevo. E lui mi ha detto "no, io verrò al pomeriggio perché questa mattina ho alcune cose da sistemare". "Va bene!". Non l'ho più visto.[1]
  • Non esiste un antisemitismo in Italia. Esistono dei ragazzacci che non sanno cosa fare e fanno anche di queste manifestazioni crocefrecciate e cose del genere. Io dagli italiani ho avuto sempre delle felicitazioni e congratulazioni.[1]
  • [Sulla deportazione degli ebrei nei campi di concentramento] Tutti lo sapevano, da quattro o cinque anni. Tutti lo sapevano. Lo sapevamo noi! Io e mia moglie l'abbiamo visto a Belgrado, abbiamo cominciato a vederlo a Belgrado. Nel 1941.[7]
  • Un colonnello della Honvéd, ossia dell'esercito ungherese, mi si è avvicinato e ha voluto che andassi a vedere giù sulla riva del Danubio la neve che era tutta macchiata di sangue. Lì erano stati ammazzati, durante la notte, degli ebrei. Per il colpo alla nuca che ricevevano, cadevano dentro nel Danubio. Questo ufficiale, ha detto che l'esercito non ha nessuna responsabilità e che sono stati i Nyilask, ossia i nazisti ungheresi. Allora gli ho detto: "caro colonnello, l'esercito, in qualsiasi parte del mondo, è un'istituzione per la difesa interna ed esterna, e deve difendere i cittadini dai soprusi anche all'interno".[1]
  • Vorrei che i giovani si interessassero a questa mia storia unicamente per pensare, oltre a quello che è successo, a quello che potrebbe succedere e sapere opporsi, eventualmente, a violenze del genere.[7]

Citazioni su Giorgio Perlasca[modifica]

  • In Ungheria, ha salvato dal nazismo cinquemila persone e non ha chiesto una ricompensa, non si è mai vantato. Quando delle contesse ungheresi l'hanno rintracciato per ringraziarlo, non lo trovavano perché era così indigente che non aveva il telefono e i figli sono caduti dalle nuvole: non sapevano nulla. La sua rettitudine commuove. (Luca Zingaretti)
  • Non esagero se dico che è stato l'unico vero eroe che abbia incontrato, un'esperienza che da sola basta a riempire una vita: vedere come anche in circostanze come quelle un uomo può rimanere un uomo e aiutare gli altri.[8] (Edith Weiss)
  • Per tutti è un eroe. Per me è solo mio marito, il mio unico amore. Sono gelosa di lui anche adesso che è morto.[9] (Nerina Del Pin Perlasca)
  • Se si riuscisse a rendere il clima di paura, di vergogna, il senso di colpa di allora, di tutti coloro che sapevano e non fecero nulla, allora si potrebbe capire anche la ragione di un silenzio durato per così tanti anni e la grandezza di questo gentleman italiano. (Tony Curtis)
  • Secondo me la molla che ha fatto scattare questa sua condotta splendida è stata l'amore. Lo so che vado fuori dalle regole. Lo so che nessuno parla mai di questo. Io credo che moltissimi Giusti siano diventati giusti per amore. Non è l'amore spirituale o l'amore fisico. L'amore è qualcosa con l'A maiuscola, con la prima lettera sempre maiuscola. L'amore per una donna può essere qualcosa di splendido. E lui l'ha avuto. L'ha avuto. Lo sapeva anche sua moglie, che lo riteneva un birichino. E lo era. Ma quanto bene ha fatto questa birichinaggine. Lui si è innamorato di una ragazza, sicuramente, ed è partito da lì. Attraverso questo amore, non mi interessa se questo è un amore carnale o metafisico, la cosa che interessa di più è il fatto che attraverso quello, lui poi ha pensato di applicare questo suo istinto al numero più alto di persone possibile. Cercando di salvare questa ragazza ebrea, da lì è partito e ha cercato di salvare più ebrei possibili. L'amore ha avuto una forza tale da fagli capire che quella era una situazione in cui lui poteva fare qualcosa di eccezionale. (Marcello Pezzetti)

Note[modifica]

  1. a b c d e f g h i Dall'intervista di Enrico Deaglio, 1990. Video disponibile su Youtube.com sul canale di Fondazione Giorgio Perlasca.
  2. Dall'intervista riportata in F. Poglini e R. Olla, Giorgio Perlasca, un uomo Giusto, Rai, 2005.
  3. Dall'intervista di Jacky Marti, RSI, 1990. Video disponibile su Youtube.com sul canale di Fondazione Giorgio Perlasca.
  4. Dall'intervista del 4 novembre 1989 presso l'abitazione di Giorgio Perlasca, per conto dell'United States Holocaust Memorial Museum. Disponibile in Oral history interview with Giorgio Perlasca.
  5. Citato nella home di GiorgioPerlasca.it.
  6. Dall'intervista del 3 novembre 1989 presso l'abitazione di Giorgio Perlasca, per conto dell'United States Holocaust Memorial Museum. Disponibile in Oral history interview with Giorgio Perlasca.
  7. a b c d Dall'intervista di Enrico Deaglio nel programma televisivo di Giovanni Minoli, Giorgio Perlasca, Mixer, 1990.
  8. Dal programma televisivo Mixer, 1990. Video disponibile su Youtube.com.
  9. Dall'intervista di Enzo Biagi, il Fatto, riportata in Morta a 99 anni la vedova Giorgio Perlasca, Il Mattino, 30 agosto 2010.

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