Giovanni Giovenale Ancina

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Giovanni Giovenale Ancina (1545 – 1604), vescovo cattolico e compositore italiano, beato della Chiesa cattolica.

Citazioni di Giovanni Giovenale Ancina[modifica]

  • [Rivolto con risentimento ad un confratello che, con soverchia applicazione, studiava la lingua greca] Oh Dio, le anime vanno a truppe all'inferno, e tu mi stai tutt'il giorno coll'epsilon iota.[1]

Citazioni su Giovanni Giovenale Ancina[modifica]

Domenico Alaleona[modifica]

  • Egli [dopo la sua nomina a vescovo di Saluzzo] pregò e scongiurò che lo esimessero da quell'onore: ma il papa tenne duro, e lo fece chiamare a Palazzo per vincere le sue riluttanze. Allora l'Ancina, la vigilia di Sant'Andrea del 1597, fuggì dal Convento della Vallicella, e, dopo aver vagato per i conventi di Roma, uscì dalla città, senza mèta prefissa. Percorrendo gran parte della via a piedi, e insegnando la dottrina cristiana per le campagne, giunse fino a Loreto e a San Severino. Là compose un cantico in lingua affettatamente rustica a imitazione di Jacopone da Todi, intitolandolo "Il pellegrino errante", in cui stimola se stesso alla fuga del vescovado, e predice la morte di Clemente VIII.
  • Il suo apostolato, che raggiunse il grado di mania acuta, fu "l'estirpazione del canto profano". Egli voleva riformare la musica, "contaminata hoggimai di tanta lascivia e sporchezza, che più non si può dire, et è cosa miserabile solo il pensarlo" o "smorbar l'Italia, o Roma almeno, della contagiosa peste e pestifero veleno delle maledette canzone profane, oscene, lascive, sporche, per cui si conducono le centinaia e migliaia di anime al profondo baratro infernale".
  • L'Ancina, oltre che di medicina, filosofia e teologia, si occupò anche di poesia e di musica, ed è sotto questo aspetto che entra nella storia dell'Oratorio.

Pietro Giacomo Bacci[modifica]

  • Fu Giovenale uomo di castità e purità possiamo dire angelica, e per tutto il corso di sua vita custodì e possedé con gran gelosia questo celeste tesoro.
    Fin da’ primi anni della sua adolescenza attese per ordine del padre al canto figurato, ma in questo esercizio osservò sempre il casto giovinetto di non proferir parola o nota di canzone lasciva, ammettendo solamente le poesie sacre o morali. Ed avanzandosi poi negli anni, mantenne sempre questo modesto sentimento: e non solamente lo mantenne in sé stesso, ma aveva a cuore che sì osservasse dagli altri con sì gran zelo, che da questo solo era facile argomentare quanto fosse delicato il suo affetto alla castità.
  • Né par forse da tacere, come in quella breve dimora, che fece in Fermo alloggiato da' suddetti Padri della Congregazione, s'incontrò un giorno in una povera donna, che teneva una figliuolina in braccio di poco più d'un anno. Cominciò quella bambina a far festa straordinaria a Giovenale, ond'egli, facendole carezze, domandò alla madre come si chiamasse la figliuola. Rispose ella: "Venere". Sentendo Giovenale questo nome gentilizio, disse: "Vorrei che le mutassimo nome, e da ora innanzi la chiamaste Veronica, che è nome di Santa, e non Venere". Parve in quel principio strano alla madre di mutar nome alla figliuola; con tutto ciò Giovenale la fece capace di questa cristiana convenienza, e per guadagnarla in questo pio sentimento, le donò per allora uno scudo: ed ogni volta poi che passava per quella strada e sentiva che la fanciullina dalla madre e da altri era chiamata Veronica, sempre lasciava di nuovo qualche limosina.
  • Si riconobbe similmente la mano di Dio in un breve e severo parlare, che fece il Sant'Uomo con un discolo e male accostumato garzone stimato incorreggibile. Era questi Bartolomeo de' Conto della diocesi della Cava, il quale fu condotto un giorno da sua madre in chiesa avanti Giovenale, e quivi l'afflitta donna raccontò tutti i mali portamenti del figlio. La compatì il caritativo Padre, e chiamando a sé il giovane, contra il suo solito con austero sembiante: "Vien qua (gli disse), testa di metallo", ed alzando la mano lo percosse gagliardamente con uno schiaffo. Temé e dubitò la madre, che il figliuolo, per essere incapacissimo di freno e di correzione, non se gli rivoltasse, e disse: "Ah, Padre, che fate! non vedete, voi che costui è matto, e anderà fuori a prender dei sassi per tirarveli?" Allora chiamatolo di nuovo, lo prese per i capelli, facendogli abbassare fortemente la testa; ed ecco che in un subito quell'indomito e ostinato giovine si sentì compunto, e reso affatto mansueto si gittò in terra prostrato, e baciò i piedi al Padre; e d'allora in poi con maravigliosa mutazione fu sempre savio, modesto, ed in ogni cosa obbediente a Giovenale; e per tutto quel tempo, che il Padre stette in Napoli, volle confessarsi da lui.

Note[modifica]

  1. Citato in Pietro Giacomo Bacci, Vita del beato Giovanni Giovenale Ancina, Tipografia della pace di Filippo Cuggiani, Roma, 18902, libro primo, cap. VI, pp. 41-42.

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