Domenico Alaleona
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Domenico Alaleona (1881 – 1928), organista, compositore e critico musicale italiano.
Il Rinascimento musicale italiano e Giovanni Carissimi
[modifica]- [...] ecco il Palestrina purificare, semplificare, ravvivare la vecchia polifonia contrappuntistica. Egli trasformò il «contrappunto» medioevale in un concento armonioso e dolcissimo di melodie espressive. Palestrina come Dante [...] rappresenta un grande limite fra il Medio Evo e il Rinascimento: medioevale è Palestrina per il linguaggio ch'egli usa, che è la stessa vecchia polifonia dei fiamminghi, moderno è nella squisitezza del sentimento, nella umanità della ispirazione. Analogamente Dante è medioevale per la forma del suo poema (visione), per la struttura ternaria di esso, per il sustrato teologico e filosofico; ma per l'umanità profonda di alcuni episodi, per lo squisito senso della vita e della natura (chi non ricorda le sue marine, i suoi prati fioriti?) annunzia già luminosamente i tempi nuovi. (p. 666)
- Il «Melodramma» – sia inteso nel senso ampio che io do a questa parola di «espressione musicale dei sentimenti umani», sia nel senso ristretto che tutti conoscete – fu il portato proprio e caratteristico del Rinascimento musicale italiano nella sua piena esplicazione. E questa nuova forma d'arte – cui non sì può negare finché rimase fedele agli intendimenti dei suoi fondatori una grande elevatezza e nobiltà – riuscì di tale appagamento all'anima musicale del tempo, che ebbe subito fortuna e diffusione grandissima: dai limiti ristretti entro cui l'avevano realizzato i maestri fiorentini, le cui opere furono piuttosto sperimentazioni accademiche e divertimenti di corte, divenne ben presto una forma d'arte popolarissima ed umana. (pp. 668-669)
- Giacomo Carissimi fu uno dei rappresentanti più forti e squisiti del Rinascimento musicale italiano, in quanto da grande maestro adoperò il nuovo linguaggio musicale dal Rinascimento creato, linguaggio che nelle sue mani divenne espressione vivida e palpitante dei sentimenti umani. (p. 669)
- È ancora da mettersi in luce come si dovrebbe [...] il Rinascimento musicale e l'origine del Melodramma in Roma. Palestrina, Emilio De' Cavalieri e Giacomo Carissimi sono tre figure che ormai sono abbastanza conosciute singolarmente, ma non ancora abbastanza bene conosciute come unità, nei loro vicendevoli rapporti, come rappresentanti di tre bellissimi momenti successivi di un unico magnifico svolgimento. Palestrina, ripeto, seppe piegare la vecchia polifonia agli accenti armoniosi e commossi del «dolce stil nuovo». De' Cavalieri introdusse arditamente e genialmente il nuovo linguaggio monodico. Carissimi elevò questo linguaggio al più alto e squisito grado di espressione dei sentimenti umani. Questi tre artisti romani formano nel nostro Rinascimento musicale una triade luminosa e gloriosa. Essi formano anche decoro e vanto di questa Accademia di Santa Cecilia che, fondata nel 1584 da Giovanni Maria Nanini, fin dal suo primo fiorire divenne centro animatore della vita musicale romana, e cui questi illustri artisti appartennero. (p. 669)
- Giacomo Carissimi fu un sommo maestro sia nel senso di profondo conoscitore dell'arte sua, sia nel senso più alto e nobile di insegnante e di caposcuola; un grande artista, un vero musicista-poeta nel senso che considerò la musica non come arido gioco di suoni, ma come linguaggio espressivo dei sentimenti umani, linguaggio da cui egli trasse, ispirandosi a soggetti di grande umanità, opere d'arte squisite e possenti; fu infine uno dei più schietti, geniali e forti rappresentanti del Rinascimento musicale italiano.
- Io credo che il pubblico moderno dinanzi ad un'opera di Carissimi debba essere soprattutto colpito e commosso dalla naturalezza, dalla possanza e squisitezza espressiva di quel dialogo melodico che lascia intendere con perfetta chiarezza le parole, senza che venga mai meno l'ala del canto e della melodia, e conferisce loro un'efficacia così vivida e profonda. Musica e poesia sono talmente compenetrate, che sembrano nate insieme e inseparabili luna dall'altra. (p. 674)
Studi su la storia dell'oratorio musicale in Italia
[modifica]- [Giovanni Giovenale Ancina, dopo la sua nomina a vescovo di Saluzzo] Egli pregò e scongiurò che lo esimessero da quell'onore: ma il papa tenne duro, e lo fece chiamare a Palazzo per vincere le sue riluttanze. Allora l'Ancina, la vigilia di Sant'Andrea del 1597, fuggì dal Convento della Vallicella, e, dopo aver vagato per i conventi di Roma, uscì dalla città, senza mèta prefissa. Percorrendo gran parte della via a piedi, e insegnando la dottrina cristiana per le campagne, giunse fino a Loreto e a San Severino. Là compose un cantico in lingua affettatamente rustica a imitazione di Jacopone da Todi, intitolandolo "Il pellegrino errante", in cui stimola se stesso alla fuga del vescovado, e predice la morte di Clemente VIII. (cap. IV, p. 51)
- L'Ancina, oltre che di medicina, filosofia e teologia, si occupò anche di poesia e di musica, ed è sotto questo aspetto che entra nella storia dell'Oratorio. (cap. IV, pp. 52-53)
- [Giovanni Giovenale Ancina] Il suo apostolato, che raggiunse il grado di mania acuta, fu "l'estirpazione del canto profano". Egli voleva riformare la musica, "contaminata hoggimai di tanta lascivia e sporchezza, che più non si può dire, et è cosa miserabile solo il pensarlo" o "smorbar l'Italia, o Roma almeno, della contagiosa peste e pestifero veleno delle maledette canzone profane, oscene, lascive, sporche, per cui si conducono le centinaia e migliaia di anime al profondo baratro infernale". (cap. IV, pp. 52-53)
- Meno erudito e enciclopedico dell'Ancina, ma dotato per compenso di fine sentimento e di un certo intuito artistico, fu il Padre Agostino Manni, di Cantiano. [...] Tra i primi Padri dell'Oratorio [della Vallicella] egli ci appare come il poeta; e invero è il solo non completamente indegno di questo nome. [...] Le poesie del Manni sono spontanee e sincere; e piacciono per la semplicità e affettuosità e per una certa scorrevolezza del verso. (cap. IV, pp. 56-57)
- in complesso il Manni, uomo modesto e semplice, e nello stesso tempo sufficientemente colto, ci appare una figura simpatica: e si deve in gran parte a lui la forma e l'indirizzo della primitiva poesia filippina. (cap. IV, p. 58)
- L'Isorelli, come il Manni, fu uomo semplice e sincero; e, nella sua modestia, ebbe anima di artista. Racconta l'Aringhi che spesso egli in udire la musica piangeva, e soleva chiamarla "cosa di Paradiso". (cap. IV, p. 64)
- L'IsorelIi ha una vera importanza nella storia dell'Oratorio, perché, insieme con Emilio de' Cavalieri, contribuì a far penetrare nella Vallicella i frutti della rivoluzione musicale italiana della fine del cinquecento [...]. (cap. IV, pp. 64-65)
- Il De' Cavalieri e l'Isorelli, nel rinnovamento musicale italiano della fine del cinquecento, vanno posti in prima linea, accanto ai tanto celebrati maestri fiorentini. A loro si debbono i primi saggi artistici in Roma dello stile espressivo e monodico, e della applicazione di questo stile al discorso drammatico e al teatro. Questi saggi in ordine di tempo sono paralleli a quelli dei maestri fiorentini, e per valore artistico forse superiori. (cap. VII, pp. 153)
- [...] la decadenza dell'opera italiana già nei primi decenni del settecento aveva sorpassati i limiti dell'immaginabile e del verisimile. Come già accennammo, si era perduta ogni coscienza dell'essenza e dello scopo del Melodramma. O, piuttosto, questa coscienza c'era ancora, almeno in alcuni [...] ma non era più norma delle azioni; a tal punto si era giunti – come accade in tutti i periodi di decadenza – di inerzia e miseria intellettuale, di trascuratezza e di cieco abbandono all'andazzo del tempo, di corruzione del sentimento e dei costumi, di indebolimento del carattere. Il Melodramma si era ridotto non altro che un centone di pezzi musicali dalla forma stereotipa, atti a appagare i capricci dei cantanti e le orecchie dei vani e corrotti uditori: al dramma non si faceva più affatto attenzione. Poeti e compositori di musica erano per solito di una ignoranza fenomenale, anche per ciò che riguardava le nozioni più elementari della loro arte. Del resto la loro opera aveva una importanza secondaria, poiché essi erano fedelissimi e obbligatissimi servitori ai virtuosi, alle virtuose, e ai protettori e alle madri di queste ultime. La cultura e la tecnica musicale erano ridotte a poche formole scolastiche e tradizionali. L'adulazione e il servilismo avevano raggiunto il massimo grado. Da parte loro i virtuosi e le virtuose erano ancora più ignoranti dei poeti e dei compositori: avevano perduto ogni coscienza del loro nobile ufficio, e non avevano più altro culto che quello della loro voce e della loro vanità personale. (cap. XII, pp. 273-274)
- Come la mancanza di coscienza e serietà artistica nell'Oratorio portò all'Oratorio centone, così il progredire della tendenza melodrammatica dell'Oratorio portò all'Oratorio scenico. (cap. XII, p. 284)
- [...] al Carissimi si riannodano, per mezzo di suoi allievi e per il potente influsso che esercitò l'opera sua, tutte lo scuole musicali italiane che lo seguirono. Ora anche all'estero l'opera del Carissimi si diffuse rapidamente e potentemente, sia per la sua intrinseca forza conquistatrice, sia per opera di suoi allievi, poiché egli ne ebbe di ogni parte. Anzi agli allievi stranieri del Carissimi dobbiamo se ci sono conservate delle copie dei suoi oratòri, le quali si trovano tutto all'estero. (cap. XII, p. 291)
Bibliografia
[modifica]- Domenico Alaleona, Il Rinascimento musicale italiano e Giovanni Carissimi, in Nuova Antologia di lettere, scienze ed arti, quinta serie, volume CLXXI, della raccolta volume CCLV, Direzione della Nuova Antologia, Roma, 1914, pp. 662-675.
- Domenico Alaleona, Studi su la storia dell'oratorio musicale in Italia, Fratelli Bocca Editori, Torino, 1908.
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