Guadalupe Nettel
Guadalupe Nettel (1973 – vivente), scrittrice messicana.
Citazioni di Guadalupe Nettel
[modifica]Citazioni in ordine temporale.
- La società vuole farti credere che, se rifiuti la maternità, nascondi un problema, un trauma. In realtà, guardando alla sovrappopolazione del Pianeta e all'incertezza del futuro, sarebbe anche la decisione più razionale.[1]
- [...] il lockdown si è prolungato e nessuno sapeva quanto sarebbe durato. Tutti i miei piani, i progetti erano stati stravolti, non avevo più certezze. Stavano cambiando pure le ragioni della mia scrittura, cercavo un senso senza trovarlo. Se il mondo può finire domani, che senso ha continuare a scrivere? Quest'incertezza ha influenzato la mia scrittura, la mia salute. Mi sentivo debole, ho sofferto di anemia fino a sfiorare la depressione. Sono contenta che lentamente stia tornando tutto alla normalità.[2]
- Mi piace molto questa dimensione collettiva in cui qualcuno ti dice «togli quella frase, scrivila in quest'altro modo…» perché è una sorta di editing collettivo in cui sì, c'è un autore, c'è una dimensione personale, però il risultato finale è qualcosa di collettivo; in questo senso ancora più che con l'artigianato ha a che fare con l'architettura.[3]
- [...] per me i racconti sono delle rivelazioni, partono dalla vita quotidiana, è qualcosa che vedo come di già definito, più rotondo, della vita quotidiana appunto. Invece un romanzo è una decisione un po' più grande, un po' più complessa, ha bisogno di più ricerca, di più tempo.[3]
Margherita Cannavacciuolo, Lei n. 4, Edizioni Ca' Foscari, Venezia, novembre 2021.
- L'idea di bellezza umana che abbiamo oggigiorno è molto ridotta. In realtà, siamo molto più capaci di apprezzare la bellezza delle piante, degli animali o delle nuvole rispetto alla nostra. Verso di loro, le nostre menti sono molto più flessibili e aperte. Non li giudichiamo in funzione di alcuna norma. Non esigiamo che siano in alcun modo. Li accettiamo come sono e ci lasciamo commuovere dalla loro presenza.
- Per anni le donne non hanno avuto diritto all'educazione e, quindi, alla crescita professionale. Per la società, la loro ragion d'essere era la maternità e una traccia di tale situazione resta nell'inconscio collettivo. Credo che, anche se le cose sono cambiate molto, ogni volta che una donna decide di non avere figli si scontra con l'incomprensione dell'ambiente circostante.
- Per me la malattia è soprattutto un periodo di eccezione che ci colloca al margine del mondo caotico e produttivo, un momento in cui possiamo fare una pausa per osservare e riflettere.
- Viviamo in un mondo sempre più teso verso la normativizzazione dei corpi e la repressione delle differenze. Tuttavia, mi hanno sempre interessato i corpi che eludono le norme, i corpi originali, ribelli. Lo vedo come un ritorno alla percezione naturale, libera da concetti imposti.
Il corpo in cui sono nata
[modifica]Sono nata con un neo bianco, che gli altri chiamano voglia, sulla cornea dell'occhio destro. Sarebbe stata una cosa del tutto irrilevante se la macchia in questione non si fosse trovata nel bel mezzo dell'iride, cioè proprio sulla pupilla, da dove la luce penetra fino in fondo al cervello. All'epoca i trapianti di cornea sui bambini appena nati non si eseguivano ancora: il neo era condannato a rimanere lì per diversi anni. L'ostruzione della pupilla favorì lo sviluppo graduale di una cataratta, così come un tunnel privo di ventilazione si riempie di muffa. L'unica consolazione che in quel momento i medici poterono dare ai miei genitori fu l'attesa. Di sicuro, quando la loro figlia avesse terminato la fase di crescita, la medicina sarebbe progredita abbastanza da poter offrire la soluzione che allora mancava. Nel frattempo consigliarono di sottopormi a una serie di fastidiosi esercizi per sviluppare, nei limiti del possibile, l'occhio pigro. Ciò avveniva con movimenti oculari simili a quelli proposti da Aldous Huxley ne L'arte di vedere ma anche – ed è la cosa che ricordo meglio – con un cerotto che mi tappava l'occhio sinistro per mezza giornata. Era un pezzo di tela con i bordi da incollare come un adesivo. Il cerotto era color carne e mi copriva il viso dalla parte superiore della palpebra all'inizio dello zigomo. A prima vista sembrava che al posto del bulbo oculare avessi soltanto una superficie liscia. Portare quel cerotto provocava in me una sensazione di oppressione e d'ingiustizia; era difficile accettare di farmelo mettere ogni mattina e che nessun nascondiglio o pianto potesse sottrarmi a quel supplizio. Credo di aver opposto resistenza ogni giorno. Sarebbe stati così facile aspettare di essere lasciata davanti alla scuola per strapparmelo, con la stessa noncuranza di quando mi staccavo le croste dalle ginocchia. Eppure, per ragioni che ancora non capisco, non ho mai tentato di levarmelo.
Quando finisce l'inverno
[modifica]Claudio
Il mio appartamento si trova sopra l'Ottantasettesima strada dell'Upper West Side, nella città di New York. È un corridoio di pietra molto simile a una segreta. Non ho piante. Ogni roba viva mi provoca un orrore inspiegabile, come quello che alcune persone provano di fronte a un nido di ragni. La roba viva mi fa sentire minacciato, bisogna occuparsene o muore. In poche parole, sottrae attenzione e tempo, e io non ne ho certo da vendere. Benché qualche volta riesca a godermela, questa città, se glielo permetti, può anche farti impazzire. Per difendermi dal caos, nella mia vita quotidiana ho introdotto una serie di abitudini e di restrizioni molto rigide. Tra queste, l'assoluta privacy della mia tana. Da quando ho traslocato, nessuno al di fuori di me ha messo piede nell'appartamento. La sola idea che qualcun altro cammini su questo pavimento mi fa uscire di senno. Non sempre sono orgoglioso del mio modo di essere. Ci sono giorni in cui vorrei una famiglia, una donna silenziosa e discreta, un bambino muto, preferibilmente. La settimana in cui mi trasferii qui parlai con i vicini – per lo più immigrati – in modo da mettere in chiaro le regole. Chiesi loro con educazione, e una sfumatura di minaccia, di evitare ogni rumore dopo le nove di sera, ora in cui di solito torno dal lavoro. Finora il mio divieto è stato rispettato. Nei due anni che ho trascorso nel palazzo non c'è mai stata una festa. Ma questa mia esigenza mi costringe ad assumermi alcune responsabilità. Mi ha imposto, per esempio, l'abitudine di ascoltare la musica soltanto in cuffia, o di sussurrare se parlo con qualcuno al telefono, che tengo sempre senza suoneria, cosí come la segreteria. Una volta al giorno controllo a un volume quasi impercettibile i messaggi, in genere piuttosto scarsi. La maggior parte delle volte sono di Ruth, benché le abbia chiesto, più volte, di non chiamarmi mai e di aspettare che sia io a farlo.
Note
[modifica]- ↑ Da Gabriella Grasso, La maternità è un universo: intervista intima alla scrittrice Guadalupe Nettel, elle.com, 22 febbraio 2021.
- ↑ Dall'intervista di Nunzio Bellassai, A tu per tu con Guadalupe Nettel, lindiependente.it, 10 gennaio 2022.
- ↑ a b Da Debora Lambruschini, La scrittura è una dimensione collettiva, intervista a Guadalupe Nettel, osservatoriocattedrale.com, 30 ottobre 2023.
Bibliografia
[modifica]- Guadalupe Nettel, Il corpo in cui sono nata (El cuerpo en que nací, 2011), traduzione di Federica Niola, La Nuova Frontiera, Roma, 2022. ISBN 978-88-83-73413-7
- Guadalupe Nettel, Quando finisce l'inverno (Después del invierno, 2014), traduzione di Federica Niola, Einaudi, Torino, 2016. ISBN 9788806226749
Altri progetti
[modifica]- Wikipedia contiene una voce riguardante Guadalupe Nettel
- Commons contiene immagini o altri file su Guadalupe Nettel