Gualtiero Zanetti
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Gualtiero Zanetti (1922 – 1987), giornalista italiano.
Citazioni di Gualtiero Zanetti
[modifica]Citazioni in ordine temporale.
- [Su Artemio Franchi] Non conduceva battaglie, mirava alle pacificazioni, ai completi convincimenti. Se trovava porte sbarrate, lasciava perdere, per riprendere l'argomento in condizioni più mature. Aveva la vocazione dell'insabbiatore per quei fatti, polemiche, voci, contrasti, sospetti, capaci di guastare l'immagine della federazione, l'unica cosa che gli stava a cuore. E nel contempo era il confessore di tutti: in tal modo nulla gli sfuggiva e sempre aveva pronta – meditatissima – la strategia da seguire per qualsiasi evenienza.[1]
- I brasiliani hanno il difetto di credere che un gol segnato valga ben più di un gol subìto, contando soltanto l'area avversaria: parecchi di loro, ancor oggi ritengono di averci battuto 2-0 nei mondiali, non di aver perduto 2-3.[2]
- [...] la Juventus è la squadra che ha sbagliato di più nel modo di impiegare i nuovi acquisti chiamati a sostituire gli elementi non più idonei alla riconferma. Un esempio per tutti: fuori Brady e dentro Platini, con l'incarico di fare il Brady. Niente di più sbagliato, perché Brady poteva essere sostituito soltanto con un elemento dalle sue caratteristiche e con qualcosa in più nella dotazione tecnica e nel tiro. Infatti, sino a quando è stato imposto a Platini di occupare la zona e appropriarsi degli incarichi di Brady, la Juventus frenava anche in salita.[2]
- Quando ci vennero assegnati i mondiali del 1934 (che poi vincemmo) mio padre era segretario generale della Federcalcio, una piccola organizzazione che allora era sistemata in quattro camere di un vecchio stabile bolognese. Fu mio padre ad avviare la macchina organizzativa. A pochi mesi dall'inizio dei Mondiali, si verificò quella che allora si chiamava un'epurazione. Dai controlli che furono messi in moto, fu appurato che mio padre non era in possesso della tessera del partito fascista. Si badi bene, non per spirito antifascista (che in un secondo tempo avrebbe potuto recargli chissà quali benemerenze), ma solo perché non ci aveva pensato, in quanto si interessava professionalmente di un'attività squisitamente sportiva. Quindi mio padre dovette lasciare il posto quando stava per raccogliere i frutti del proprio lavoro. Venne sostituito da Ottorino Barassi, allora presidente della Lega, e presidente della Federazione fu nominato Giorgio Vaccaro, generale della milizia, uomo di sport come pochi. Mio padre visse momenti molto tristi nel dover stare alla finestra a guardare una cosa sua senza di lui. Barassi era suo amico, agì con estremo stile, ricalcò meticolosamente le sue direttive organizzative e Vaccaro mi mandò un biglietto per assistere alla finale (avevo dodici anni) che mio padre, invece, disertò. Allora non capii l'angoscia di mio padre e fu lo stesso Barassi, dopo tanti anni, in occasione dei Mondiali messicani [del 1970], a raccontarmi tutta la storia [...]. Mio padre non me ne parlò mai.[3]
Note
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