Guido Guarda

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Guido Guarda (1922 – 1991), scrittore e giornalista italiano.

La televisione[modifica]

Incipit[modifica]

Questo è anche un libro di documentazione, ma mi dispiace esordire proprio con una data: 17 giugno 1429. Tutti noi siamo un po' schiavi delle date sin dai banchi di scuola, dove ci insegnano la vita attraverso le guerre, i concili, le nascite e le morti di uomini illustri. Il nostro «tempo» storico ha un modulo che si chiama secolo, scorre attraverso due o tremila anni al massimo e limita il suo esame a quanto avviene su un quarto pressappoco della superficie terrestre.
Soltanto più tardi, quando è ormai impossibile ricominciare tutto daccapo, ci accorgiamo che mentre i Greci incendiavano Troia, la flotta del faraone Niku II circumnavigava il continente africano e percorre all'inverso la via conquistata da Vasco de Gama ventidue secoli dopo. Veniamo a sapere che Francesco Petrarca avrebbe potuto controllare l'ora dei suoi appuntamenti con Laura sul quadrante di uno di quegli orologi da tasca che già a quell'epoca un artigiano di Norimberga, Pietro Henlein, fabbricava. Scopriamo che le pitture rupestri del Sahara algerino e della Scandinavia precorrono di diecimila anni Giotto e i «primitivi», i quali riescono a dipingere assai peggio degli antenati tuaregh e dei vichinghi. La scuola crea dei miti, come l'oriente, che è soltanto uno dei punti cardinali (per gli abitanti di Pechino, infatti, il paese del sol levante, se così essi lo chiamassero, sarebbe l'America); e rinuncia a spiegarci perché nei «colleges» di Philadelphia o di San Francisco non si studiano i classici Maya, che sono contemporanei di quelli greci, mentr'invece sullo scorcio del XIV secolo l'aretino Leonardo Bruni sentì il bisogno di tradurre i Dialoghi di Platone.

Citazioni[modifica]

  • Taluno afferma che il cinema è troppo legato ad un certo meccanicismo, per non richiedere a chi lo fa l'attirudine di un artigiano, sia pur raffinato. Ma forse che il teatro non è anch'esso una macchina? Il pittore e lo scultore sono artisti che anzitutto hanno imparato una tecnica. Certo, la tecnica del cinema è più appariscente. Il dipinto ad olio della Gioconda di Leonardo, il marmo scolpito del Mosè di Michelangelo, il bronzo fuso del Pèrseo di Cellini, non fanno pensare al duro mestiere dei loro artefici imbrattati di biacca, le mani doloranti alle prese con martello e scalpello in un'aria pregna di polvere, i polmoni intossicati dalle esalazioni del crogiuolo. Invece la «macchina» del cinema è lì, presente, nell'atto stesso dello spettacolo, è un elemento del suo linguaggio: schermo, proiezione, diffusione dei suoni, il fascio di lue che attraversa la sala... Tuttavia, se La strada di Federico Fellini è cinema, La figlia di Iorio di Arturo Ambrosio (1911) è un bell'esempio di tragedia filmata: un «surrogato» del cinematografo. (p. 179)

Bibliografia[modifica]

  • Guido Guarda, La televisione, Casa Editrice Dr. Francesco Vallardi, 1959.