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Nathaniel Hawthorne

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Nathaniel Hawthorne

Nathaniel Hawthorne (1804 – 1864), scrittore statunitense.

Citazioni di Nathaniel Hawthorne

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  • La castità di una donna è fatta, come una cipolla, di involucri sovrapposti.[1][2]
  • Nessuno, penso, dovrebbe leggere poesia, o guardare quadri oppure statue, se non riesce a trovarvi molto più di quanto il poeta o l'artista abbia veramente espresso. Il loro merito più alto è la suggestività.[3]
  • Un eroe non può essere eroe se non in un mondo eroico.[1][2]

La lettera scarlatta

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Una folla d'uomini barbuti, dagli abiti scuri e dai grigi cappelloni a punta, e di donne in cappuccio o a testa nuda, stava raccolta davanti a un edificio di legno, la cui porta di quercia massiccia era guarnita con bulloni di ferro.
I fondatori d'una colonia, qualunque Utopia di virtù e felicità umana possano aver divisato in origine, hanno sempre riconosciuto tra le prime necessità pratiche quella di destinare una parte del suolo vergine a cimitero, ed un'altra a prigione. Secondo tal norma, possiamo ritenere con fondamento che i progenitori di Boston avessero costruito a tempo opportuno la prima prigione nelle vicinanze di Cornhill, press'a poco quando tracciarono il primo luogo di sepoltura sul terreno di Isaac Johnson e intorno alla sua fossa, che in seguito divenne il centro di tutti gli avelli raccolti nel vecchio camposanto di King's Chapel.
[Nathaniel Hawthorne, La lettera scarlatta, traduzione di Marcella Bonsanti, Sansoni editore, 1965]

Citazioni

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  • Tuttavia accade ben piú spesso che, salita la scala, possiate scoprire, nel vestibolo, se d'estate, o nei loro vari uffici, se d'inverno o fa brutto, una fila di venerabili persone, appollaiate sopra sedie fuori moda, in bilico sulle gambe posteriori, e con lo schienale poggiato contro il muro. Il piú sovente dormono, ma talvolta conversano tra loro, con voci che non si capisce se stiano parlando o russando, e con quella mancanza di energia, che contraddistingue gli ospiti di un gerontocomio, e tutti gli esseri che, per il loro sostentamento, dipendono dalla carità o dal lavoro monopolizzato, o da qualunque altra fonte, che non sia la loro attività indipendente. (introduzione a La lettera scarlatta, 1951, p. 9)
  • La nostra salute morale e intellettuale ritrae un gran giovamento quando ci troviamo obbligati a mescolarci con individui del tutto diversi, che non condividono le nostre aspirazioni e posseggono interessi e abilità, che dobbiam fare uno sforzo per poter apprezzare. (introduzione a La lettera scarlatta, 1951, p. 26)
  • Ma è una strana sensazione, per un uomo dotato di qualche orgoglio e sensibilità, quella di sapere che il suo destino dipende da individui che non lo amano né lo capiscono, e dai quali — poiché la scelta è confinata a queste due alternative — preferirebbe subir danni che non ricever favori. (introduzione a La lettera scarlatta, 1951, p. 42)
  • In verità, come io ho cercato di mostrargli, l'onta risiede nella consumazione del peccato, non nella sua confessione. (John Wilson: cap. III, 1951, p. 67)
  • Ma esiste una fatalità, un sentimento cosí irresistibile e inevitabile da assumere la forza di un destino, il quale, quasi invariabilmente, obbliga gli esseri umani ad attardarsi, ad abitar come spettri le prossimità del luogo, dove qualche solenne e indimenticabile evento abbia conferito il suo colore a tutta la loro vita; e questa forza è tanto piú irresistibile quanto piú cupa l'ombra che affligge la vita loro. (cap. V, 1951, pp. 81 sg.)
  • Egli riteneva essenziale, così pareva, conoscere l'uomo prima di tentare di fargli del bene. Quando esistono cuore e intelletto, le malattie dell'organismo fisico sono colorate dai caratteri di quelli. In Arthur Dimmesdale il pensiero e l'immaginazione erano così attivi, e la sensibilità così intensa, che l'infermità corporea doveva trovarvi un terreno d'operazione. Così Roger Chillingworth, uomo abile, medico amorevole e amico, procurava di affondare nel petto del paziente, frugando fra i princìpi di lui, nonché nei ricordi, saggiando tutto con tocco cauto, come un cercatore di tesori in una buia caverna. Pochi segreti possono eludere un indagatore che abbia opportunità e licenza di intraprendere una simile ricerca, nonché l'abilità di seguirla. Un uomo oppresso da un segreto dovrebbe schivare l'intimità del suo medico. Se questi possiede sagacia e un ineffabile elemento in più, chiamiamolo intuito, se egli non mostra un egoismo indiscreto, né caratteri personali spiccatamente sgradevoli, se ha la forza, che gli deve essere innata, di trovare delle affinità con il paziente al punto che questi si trovi ad aver detto ciò che si immagina di avere soltanto pensato; se tali rivelazioni vengono ricevute senza tumulti e riconosciute non tanto da una simpatia dichiarata quanto da un silenzio, da un afflato inarticolato, con una parola gettata qua e là a dimostrare che tutto viene compreso, se a questi requisiti di un confidente si aggiungono i vantaggi forniti dal carattere sociale del medico, allora, ad un istante inevitabile, l'anima del sofferente si scioglierà e sgorgherà in un fiotto oscuro ma trasparente, recando tutto il mistero alla luce del giorno. (cap. IX[4])
  • Il pubblico è dispotico nelle sue reazioni; è capace di negare la piú ovvia giustizia, quando gli sia richiesta con troppa insistenza; ma molto spesso concede piú del giusto, quando la richiesta venga indirizzata, siccome ai despoti piace, interamente alla sua generosità. (cap. XIII, 1951, p. 165)
  • A questo punto si abbia il coraggio di enunciare una ben dura e triste verità: la breccia, che la colpa ha aperto nell'anima umana, non può mai, in questa vita mortale, venir riparata. La si può tener d'occhio, sorvegliare continuamente, tanto che al nemico non riesca di insinuarsi nella cittadella e, in un successivo assalto, debba magari scegliere qualche altro punto di approccio, a preferenza di quello dove è precedentemente penetrato. Ma il muro di difesa resterà sempre rotto, e in prossimità si ode il passo insidioso del nemico, che vorrebbe rinnovare il suo inobliabile trionfo. (cap. XVIII, 1951, pp. 204 sg.)
  • Nessun uomo può, per un tempo considerevole, portare una faccia per sé e un'altra per la moltitudine, senza infine confonderle e non sapere piú quale delle due sia la vera. (cap. XX, 1951, p. 220)
  • È vessata e non risolta questione se l'amore e l'odio non siano in fondo la medesima cosa. Per il suo completo sviluppo ognuna di queste due passioni presuppone un alto grado di intimità e conoscenza del cuore, ognuna rende un individuo dipendente per il cibo dei suoi affetti e della sua vita spirituale da un altro, ognuna lascia l'appassionato amante, o il non meno appassionato odiatore, miserabile e desolato, quando gli venga sottratto l'oggetto delle sue cure. Perciò, considerate dal punto di vista filosofico, le due passioni sembrano intimamente affini, se non per il fatto che l'una si manifesta in una celeste radianza, l'altra in un cupo e sinistro bagliore. (cap. XXIV, 1951, pp. 264 sg.)
  • La spiritosaggine dei vecchi ha in apparenza molto da spartire con la festevolezza dei bambini: l'intelletto non c'entra, non più di quanto c'entri un profondo senso dell'umorismo; in entrambi, si tratta di un luccichio che guizza scherzoso in superficie e dà un aspetto solare e gaio sia ai rimani verdi che ai tronchi grigi carichi i muffe. Però nel primo caso è veramente sola, nell'altro assomiglia di più a quei fuochi fatui generati dal legno che marcisce. (p. 484)
  • Alla salute morale e intellettiva di un uomo contribuisce in grande misura stabilire rapporti di collaborazione con diversi individui diversi da lui, che non tengono nel minimo conto le sue mete ideali e hanno capacità e interessi incomprensibili per lui se non riesce a uscire da sé stesso. (p. 493)
  • Per un uomo che ha sognato di assurgere alla fama letteraria e di meritarsi con tali mezzi un posto fra i grandi di questo mondo è una buona lezione – spesso una lezione dura – fare un passo fuori dall'angusto circolo in cui le sue aspirazioni sono riconosciute come degne e giuste, e scoprire che fuori da quel circolo tutto ciò che ha ottenuto e tutto ciò che ha desiderato non hanno il benché minimo valore. (p. 496)
  • Nella nostra natura c'è però una meravigliosa, e caritatevole, valvola di sicurezza per cui chi soffre non si rende mai conto con piena intensità di ciò che sta soffrendo nel momento stesso della tortura, ma solo dopo, quando lo raggiunge la fitta del ricordo. (p. 527)
  • Ma esiste un senso del destino, un fatalismo tanto irresistibile e inevitabile che ha la forza di una maledizione e finisce quasi sempre per costringere gli esseri umani a gironzolare come spettri che si attardano attorno al posto dove qualche importante e significativo avvenimento ha segnato con il suo colore la loro vita, tanto più irresistibile quanto più nera è la tinta che la affligge. (p. 552)
  • Ovunque ci siano un cuore e una mente, i malanni del corpo si tingono delle loro particolarità. (p. 599)
  • Quando una massa ignorante si mette a voler vedere con i propri occhi, è fin troppo facile che veda lucciole per lanterne. Però quando formula i suoi giudizi, come di solito fa, con l'intuito del suo grande e generoso cuore, le conclusioni a cui arriva sono spesso tanto profonde e tanto giuste da posseder gli stessi caratteri delle verità rivelate per via soprannaturale. (p. 602)
  • Per l'uomo falso, tutto l'universo non è vero, e quando cerchi di afferrarlo stringi un pugno di mosche: è impalpabile. E lui stesso, fino a quando si mostrerà sotto una luce falsa, sarà un'ombra, una cosa che non esiste più. (p. 622)
  • Bisogna riconoscere un merito alla natura umana: quando non è in gioco l'interesse personale, è molto più pronta ad amare che a odiare. E anche l'odio, attraverso un processo graduale e silenzioso, si può trasformare in amore, a meno che il cambiamento sia impedito da una continua recrudescenza di nuovi stimoli che vadano a irritare l'originaria ostilità. (p. 637)
Deve essere ascritto a credito dell'umana natura che, quando nulla venga a turbare il suo egoismo, essa è piú incline ad amare che a odiare. Per un graduale e silenzioso processo l'odio stesso si trasforma in amore, a meno che questo mutamento non venga impedito da una sempre nuova irritazione dell'originale sentimento di ostilità. (cap. XIII, 1951, p. 163)
  • L'opinione pubblica ha un carattere dispotico: è capace di negare il più banale atto di giustizia, se le viene chiesto con troppa ostinazione come un diritto; ma altrettanto spesso concede molto più di quel che è giusto, purché si faccia appello, come tutti i despoti adorano che si faccia, esclusivamente alla sua generosità. (p. 639)
  • Spesso questo è il destino, e questi sono i tragici sviluppi, della femminilità fisica e mentale, quando una donna incontra, e attraversa, un'esperienza di particolare crudeltà. Se la donna è tutta tenerezza, muore. Se sopravvive, la tenerezza o le viene scostata di dosso oppure – e l'effetto all'esterno è lo stesso – le si incrosta così profondamente dentro il cuore che non si lascerà mai più vedere. (p. 641)
  • È curioso, ma le persone che hanno le idee più audaci spesso sono quelle che più tranquillamente si adeguano alle regole di comportamento vigenti nella società. A loro basta il pensiero, e non sentono il bisogno di investirlo nel sangue e nella carne dell'azione. (p. 642)
  • È sempre così: un male fatto, simboleggiato da qualcosa o no, diventa una maledizione. (p. 691)
  • Nessuno può indossare troppo a lungo una faccia in privato un'altra davanti alla gente senza trovarsi alla fine a non sapere più quale è quella vera. (p. 695)
  • E invece, curiosamente, spesso passa un sacco di tempo prima che le parole incarnino le cose: due persone che scelgono di evitare un certo argomento possono avvicinarglisi fin quasi a toccarlo e ritirarsi in tutta sicurezza senza destare la belva che dorme. (p. 704)
  • I bambini partecipano sempre, per istinto mimetico, al nervosismo di chi sta con loro; e in particolare avvertono sempre ogni turbamento o ogni sovversione imminente, di qualunque genere, nella situazione familiare. (p. 708)
  • Gli uomini di intelligenza non comune che coltivano la morbosità possiedono questo occasionale potere di fare sforzi straordinari, i cui bruciano l'energia vitale di molti giorni, restano poi come morti per altrettanti giorni. (p. 720)
  • Non dobbiamo parlar sempre nella piazza del mercato di ciò che ci accade nel bosco. (1965, p. 320)

La casa dei sette abbaini

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Marcella Bonsanti

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L'ANTICA FAMIGLIA PYNCHEON
In una delle nostre città della Nuova Inghilterra, a metà d'una strada secondaria, sorge una logora casa di legno con sette abbaini dalle cime aguzze che guardano diversi punti della bussola, e un fascio di grossi comignoli al centro. La strada è via Pyncheon; la casa è la vecchia Casa Pyncheon; e un olmo d'ampia circonferenza che vegeta davanti alla soglia, è familiare a ogni figlio della città col nome d'Olmo dei Pyncheon. Nelle mie visite occasionali al luogo suddetto, tralascio raramente d'imboccare Via Pyncheon, al fine di passar sotto l'ombra di queste due antichità: il grande olmo e l'edificio provato dall'intemperie.
[Nathaniel Hawthorne, La casa dei sette abbaini, traduzione di Marcella Bonsanti, I Capolavori Sansoni, 1972]

Fruttero & Lucentini

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In una delle nostre cittadine del New England, verso la metà di una certa strada laterale, c'è un'antiquata casa di legno con sette frontoni aguzzi, diversamente orientati, e un alto e massiccio comignolo nel mezzo.
[Nathaniel Hawthorne, La casa dai sette frontoni, citato in Fruttero & Lucentini, Íncipit, Mondadori, 1993]

Citazioni

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  • La vita è fatta di marmo e di fango.[2]
  • Se ciascuna generazione fosse tenuta a costruirsi le proprie abitazioni, quest'unico cambiamento, relativamente così poco importante di per sé, implicherebbe quasi ogni riforma della cui mancanza soffre la società odierna. (p. 168)

Incipit di alcune opere

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Egotismo

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«Eccolo!» gridavano i ragazzi lungo la strada. «Ecco che arriva l'uomo con un serpente nel petto!»[5]

Il dolce fanciullo

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Nel corso dell'anno 1656 fecero la loro comparsa nel New England parecchi di coloro che sono chiamati Quaccheri, spinti, a loro dire, da un intimo impulso dell'animo.[6]

Il giovane Goodman Brown

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Grazia Alineri

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Tramontava il sole quando il giovane Goodman Brown uscì nella strada del villaggio di Salem; piegò la testa all'indietro, dopo avere superato la soglia, per scambiare un bacio d'addio con la sua giovane moglie. E Faith, come opportunamente si chiamava la moglie, mise la graziosa testa fuori, lasciando che il vento giocasse con i nastri rosa della sua cuffietta.
[Nathaniel Hawthorne, Il giovane Goodman Brown, traduzione di Grazia Alineri, in "Il colore del male. I capolavori dei maestri dell'horror", a cura di David G. Hartwell, Armenia Editore, 1989. ISBN 8834404068]

Gianni Pilo

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Nel villaggio di Salem, al tramonto, il giovane Onesto Brown uscì di casa; ma rimise dentro la testa, appena passata la soglia, per scambiare il bacio del congedo con la sua giovane sposa. E Fede, poiché così si chiamava giustamente la moglie, sporse fuori la graziosa testolina, lasciando che il vento giocasse con i nastri rosa della cuffia, mentre parlava al suo Onesto Brown.
[Nathaniel Hawthorne, Il giovane Onesto Brown, traduzione di Gianni Pilo, in "Storie di streghe", a cura di Gianni Pilo, Newton & Compton, 1996. ISBN 8881834480]

Testadipiuma

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«Dickon», chiamò Mamma Rigby, «brace per la mia pipa!»
La vecchia signora teneva la pipa in bocca, mentre diceva queste pa­role. L'aveva già riempita di tabacco, ma senza chinarsi ad accenderla sul camino, dove d'altronde sembrava che nessuno avesse acceso il fuoco quella mattina. Nondimeno, appena dato questo ordine, ci fu im­mediatamente un intenso chiarore rosso nel fornello della pipa, e uno sbuffo di fumo dalle labbra di Mamma Rigby. Da dove fosse venuta la brace, e come fosse stata portata lì da una mano invisibile, non sono mai stato capace di scoprirlo.

Note

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  1. a b Dai Diari
  2. a b c Citato in Elena Spagnol, Enciclopedia delle citazioni, Garzanti, Milano, 2009. ISBN 9788811504894
  3. Da Il fauno di marmo, traduzione di Fiorenzo Fantaccini, Giunti, Firenze-Milano, 2010. ISBN 9788809753747
  4. Citato in Elémire Zolla, La cura psicanalitica, s. t., 2 novembre 1960.
  5. Citato in Fruttero & Lucentini, Íncipit, Mondadori, 1993.
  6. Citato in Giacomo Papi, Federica Presutto, Riccardo Renzi, Antonio Stella, Incipit, Skira, 2018. ISBN 9788857238937

Bibliografia

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  • Nathaniel Hawthorne, Il giovane Goodman Brown, traduzione di Grazia Alineri, in Il colore del male. I capolavori dei maestri dell'horror, a cura di David G. Hartwell, Armenia Editore, 1989. ISBN 8834404068
  • Nathaniel Hawthorne, Il giovane Onesto Brown, traduzione di Gianni Pilo, in Storie di streghe, a cura di Gianni Pilo, Newton & Compton, 1996. ISBN 8881834480
  • Nathaniel Hawthorne, La casa dei sette abbaini, traduzione di Marcella Bonsanti, I Capolavori Sansoni, 1972.
  • Nathaniel Hawthorne, La lettera scarlatta (The Scarlet Letter, 1850), introduzione di Henry James, traduzione di Enzo Giachino, Einaudi, Torino, 1951. ISBN 9788806196943
  • Nathaniel Hawthorne, La lettera scarlatta, in Opere scelte, traduzione di Aldo Busi e Carmen Covito, Meridiani Mondadori, Milano, 1994. ISBN 8804365536.
  • Nathaniel Hawthorne, La lettera scarlatta, traduzione di Marcella Bonsanti, Sansoni editore, 1965.
  • Nathaniel Hawthorne, Testadipiuma, traduzione di Gianni Pilo, in "Storie di streghe", a cura di Gianni Pilo, Newton & Compton, 1996. ISBN 8881834480

Altri progetti

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Opere

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