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John Grisham

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John Grisham nel 2008

John Grisham (1955 – vivente), scrittore statunitense.

Citazioni di John Grisham

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  • Charlottesville non è una città di estrema destra. Tutt'altro. Charlottesville è un luogo di tolleranza, progressista. I nazisti che hanno voluto istigare la violenza di sabato non sono di lì e non hanno nulla a che fare con la mia città. Sono arrivati a migliaia da altri posti dell'America per diffondere il loro odio, per attirare l'attenzione e creare lo scontro.[1]
  • Ma certo molti americani, me incluso, sono scioccati da quanto razzismo sia riesploso con Obama alla Casa Bianca. Il numero di gruppi spuntati negli anni che hanno venduto la loro anima all'odio è cresciuto in maniera impressionante.[1]

Dall'intervista Grisham La parola alla difesa

Di Claudia Morgoglione, la Repubblica, 23 novembre 2019


  • I bianchi ricchi trovano sempre il modo di aggirare il sistema. Per loro le condanne arrivano quando sono colpevoli davvero oltre ogni ragionevole dubbio, e quasi sempre per reati finanziari. Sono i poveri che finiscono nel braccio della morte. Perché non ricevono né garanzie né protezione.
  • Io penso che nei nostri paesi, in Occidente intendo, ci siano i migliori sistemi legali del mondo, soprattutto se paragonati agli altri. Ma ci sono ancora falle, buchi neri. Dobbiamo renderli più civili, soprattutto più equi. Qui negli Stati Uniti, così come in Italia, in Francia, in Gran Bretagna, è frustrante vedere quanto spesso la verità non emerge. Basterebbero piccoli aggiustamenti all’ingranaggio per cambiare rotta: il problema è nella mancanza di volontà politica.
  • Sono cresciuto in una piccola città del Sud, ho letto Il buio oltre la siepe molte volte. Sono diventato avvocato anche grazie al suo messaggio. E perfino in una situazione drammatica come questa che stiamo vivendo, in cui non esistono situazioni facili, non possiamo che fare appello a persone generose, leali, intellettualmente oneste come lui: la parte migliore di noi.

Incipit di alcune opere

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Fuga dal Natale

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L'uscita era affollata di viaggiatori stanchi, per lo più in piedi e accalcati lungo le pareti perché da tempo, ormai, gli scarsi sedili di plastica erano stati occupati. Almeno un'ottantina di passeggeri arrivavano e partivano su ogni aereo, eppure c'era da sedere solo per poche decine.
Sembravano mille le persone in attesa del volo delle diciannove per Miami. Erano infagottati e carichi, e dopo essersi districati nel traffico, al check-in e nell'assembramento dell'atrio apparivano tutti un po' spenti. Era il martedì prima del Ringraziamento, il giorno più caotico dell'anno per i viaggi in aereo e, mentre sgomitavano e venivano compressi in un nodo ancora più stretto a ridosso dell'uscita, molti si chiedevano, non per la prima volta, perché mai avessero scelto quella data per volare.

I Confratelli

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Per la sessione settimanale il giullare di corte indossava come sempre il vecchio pigiama un tempo color vinaccia e un paio di pantofole di spugna color lavanda, senza calze. Non era il solo detenuto a svolgere in pigiama le sue occupazioni quotidiane, ma nessun altro aveva il coraggio di infilare pantofole di quella tinta. Si chiamava T. Karl e in passato era stato banchiere a Boston.
Pigiama e pantofole sconcertavano assai meno della parrucca. Con la riga al centro, ricadeva in una cascata di boccoli, coprendogli le orecchie e pesandogli sulle spalle. Era grigio chiara, quasi bianca, nello stile di quelle dei magistrati inglesi di secoli addietro. Un amico gliel'aveva trovata in un negozio di costumi teatrali di seconda mano al Village di Manhattan.

I contendenti

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Finley & Figg si autoproclamava «studio legale boutique». La poco appropriata definizione veniva inserita con la massima frequenza possibile nelle normali conversazioni e compariva addirittura stampata nelle varie forme di pubblicità studiate dai due soci per attirare clienti. In tal modo si lasciava intendere che Finley & Figg fosse qualcosa di più del tipico studio da due soldi. Boutique, per suggerire uno studio dalle misure ridotte ma pieno di risorse e specializzato in un settore particolare. Boutique, qualcosa di raffinato e chic, come evocato dalla stessa parola francese. Boutique, per indicare uno studio legale felice di essere piccolo, selettivo e prospero.

Il broker

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Nelle ore conclusive di una presidenza destinata a suscitare negli storici un'assenza di interesse senza precedenti, tranne forse quella di William Henry Harryson (durata trentun giorni, dall'entrata in carica del titolare alla sua morte), Arthur Morgan si chiuse nello Studio Ovale con l'ultimo amico rimastogli per riflettere sulle sue decisioni finali. In quel momento ebbe la sensazione di aver fatto sempre scelte sbagliate nei suoi quattro anni di presidenza e non si illudeva di poter raddrizzare la situazione. Non si illudeva nemmeno il suo amico, il quale come al solito non era granché loquace, e le poche cose che diceva erano quelle che il presidente voleva udire.

Il cliente

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Mark aveva undici anni e fumava saltuariamente già da due. Non cercava di smettere ma stava attento a non prendere il vizio. Preferiva le Kool, la marca del suo ex padre, ma sua madre fumava le Virginia Slim, due pacchetti al giorno, e in media Mark riusciva a fregarne dieci o dodici la settimana. Sua madre era una donna molto indaffarata e con molti problemi, magari un po' ingenua quando c'erano di mezzo i suoi figli, e non immaginava neppure lontanamente che il maggiore fumasse a undici anni.

Il momento di uccidere

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Billy Ray Cobb era il più giovane e il più piccolo dei due teppisti. A ventitré anni ne aveva già passati tre nel penitenziario di Parchman. Possesso di droga a scopo di spaccio. Era un piccolo punk, magro e ossuto, sopravvissuto in carcere grazie a un puntuale rifornimento di droghe da vendere o magari regalare ai negri e alle guardie in cambio di protezione. Nell'anno passato dal rilascio aveva continuato a prosperare, e il suo piccolo traffico di stupefacenti l'aveva innalzato alla posizione di uno dei malavitosi più ricchi della Ford County. Era un uomo d'affari, con dipendenti, impegni, accordi... tutto, tranne le tasse.

Il partner

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Lo trovarono a Ponta Porã, una piacevole cittadina brasiliana, a due passi dal Paraguay, in un territorio ancora conosciuto come la Frontiera.
Lo trovarono in un'ombreggiata casa di mattoni in Rua Tiradentes, un ampio viale con una fila d'alberi al centro e ragazzini scalzi che giocano a calcio sull'asfalto rovente.
Lo trovarono solo, per quanto si poté stabilire, anche se negli otto giorni in cui lo avevano sorvegliato di nascosto avevano visto una donna delle pulizie andare e venire nelle ore più disparate. Lo trovarono che conduceva una vita comoda, ma certo non agiata. L'abitazione era modesta, sarebbe potuta appartenere a qualsiasi commerciante locale. L'automobile era un Maggiolino Volkswagen del 1983, fabbricata a São Paulo insieme a milioni di altre. Era rossa e pulita, lucida da scintillare. La prima fotografia gliel'avevano scattata mentre la incerava dietro il cancello della sua proprietà.

Il professionista

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Era un letto d'ospedale, questo almeno sembrava certo, anche se la certezza andava e veniva. Era stretto e duro e lungo i lati, a impedire la fuga, c'erano luccicanti sponde metalliche, dritte come sentinelle. Le lenzuola erano semplici e molto bianche. Sterilizzate. La stanza era buia, ma la luce del sole cercava di infiltrarsi dai bordi delle tende che oscuravano la finestra.

Il rapporto Pelican

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A guardarlo non si sarebbe certo detto che fosse capace di causare un tale trambusto, ma quello che vedeva là sotto era in gran parte imputabile a lui. E andava bene così. Aveva novantun anni, era paralizzato, inchiodato su una sedia a rotelle e collegato a una bombola di ossigeno. Il secondo ictus, sette anni prima, aveva rischiato di ucciderlo, ma Abraham Rosenberg era ancora vivo, e perfino con i tubicini nel naso la sua autorevolezza in campo legale era superiore a quella degli altri otto giudici. Era l'unica leggenda che restava alla Corte, e il fatto che respirasse ancora esasperava gran parte della folla in tumulto.

Il re dei torti

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Gli spari che piantarono le pallottole nella testa di Pumpkin vennero uditi da non meno di otto persone. Tre istintivamente chiusero le finestre, controllarono le serrature della porta e restarono rintanati nel rifugio sicuro, o almeno appartato, delle loro piccole abitazioni. Altri due, entrambi con una certa esperienza in fatti del genere, abbandonarono precipitosamente la zona correndo quanto se non più dell'uomo con la pistola. Un altro ancora, un fanatico del riciclaggio noto nel quartiere, stava frugando nell'immondizia alla ricerca di lattine di alluminio quando udì provenire da molto vicino le secche detonazioni del fattaccio quotidiano. Si buttò dietro una catasta di scatole di cartone e attese che la pioggia di colpi cessasse, poi entrò con circospezione nel vicolo, dove vide ciò che restava di Pumpkin.

Il ricatto

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Le regole della New Haven Youth League prevedevano che ogni ragazzino entrasse in campo per almeno dieci minuti a partita. Erano ammesse eccezioni nel caso di giocatori che avessero saltato gli allenamenti o violato altre regole. Allora il coach poteva redigere un rapporto prepartita per informare il tavolo dei giudici che il Tal dei Tali avrebbe giocato poco, o magari per niente, a causa di qualche infrazione. Alla lega questo non piaceva granché, dopo tutto si tratta di un'attività ricreativa più che competitiva.

Il socio

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Il socio anziano studiò il curriculum per la centesima volta e per la centesima volta non trovò niente da eccepire riguardo a Mitchell Y. McDeere, almeno sulla carta. Aveva intelligenza, ambizione, bell'aspetto. Ed era affamato: doveva esserlo per forza, con quei precedenti. Era sposato, come d'obbligo. Lo studio legale non aveva mai assunto un avvocato scapolo e disapprovava energicamente il divorzio, il correre dietro alle donne e l'abitudine all'alcol. Il contratto prevedeva un controllo antidroga. Era specializzato in diritto amministrativo, aveva superato l'esame di abilitazione al primo tentativo e aspirava a diventare avvocato fiscalista, il che era ovviamente un requisito importante per uno studio legale specializzato in questioni fiscali.

Il testamento

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Siamo all'ultimo giorno. Anzi, direi all'ultima ora. Sono un vecchio, solo e non amato, malato, sofferente e stanco di vivere. Sono pronto per l'altro mondo: può essere solo migliore di questo.
Sono proprietario del grattacielo di vetro nel quale mi trovo e possiedo il 97 per cento della società che vi ha sede, sotto di me, il terreno che lo circonda per quasi un chilometro in tre direzioni, le duemila persone che ci lavorano e le altre ventimila che non ci lavorano. Possiedo, inoltre, il condotto sotterraneo che porta gas al grattacielo dai miei giacimenti nel Texas e le linee che lo riforniscono di energia elettrica, e sono utente esclusivo del satellite dal quale un tempo, invisibile dall'alto dei cieli, impartivo ordini a un impero personale che si estendeva in ogni angolo del mondo. Il mio patrimonio supera gli undici miliardi di dollari.

Innocente

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Le dolci colline del Sudest dell'Oklahoma, da Norman fino al confine con l'Arkansas, un tempo erano ricche di petrolio. La campagna è punteggiata di vecchi impianti di trivellazione. I pochi ancora in funzione tirano su a fatica quantità così esigue di greggio che passandoci vicino è inevitabile chiedersi se ne valga la pena; molti sono dismessi, strutture di metallo corroso fra il verde a ricordare tempi più prosperi.

Io confesso

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Il custode della chiesa di St Mark aveva appena grattato via dieci centimetri di neve dal marciapiede, quando comparve l'uomo con il bastone. C'era il sole, ma il vento ululava e la temperatura era bloccata sullo zero. L'uomo indossava soltanto dei pantaloni da lavoro di tela, una camicia estiva, un paio di logori scarponcini da trekking e una giacca a vento leggera che poteva opporre ben poca resistenza al gelo. Ma comunque non sembrava soffrire il freddo, e neppure avere fretta. Camminava zoppicando, con una leggera inclinazione a sinistra, il lato su cui si appoggiava al bastone. Avanzò faticosamente lungo il marciapiede accanto alla cappella e si fermò davanti a un ingresso laterale contrassegnato dalla scritta UFFICIO in caratteri rosso scuro. Non bussò e aprì la porta, che non era chiusa a chiave. Entrò proprio mentre un'altra raffica di vento lo colpiva alle spalle.

L'allenatore

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La strada per il Rake Field correva di fianco alla scuola, oltre il vecchio palco dell'orchestra e i campi da tennis, attraverso una galleria di due filari perfetti di aceri rossi e gialli piantati e pagati dai sostenitori. Poi, superando un piccolo dosso, scendeva in una spianata più in basso, sul cui asfalto potevano trovare posto un migliaio di automobili. La strada si fermava davanti a un imponente cancello in ferro battuto, sorretto da due pilastri in mattoni, che annunciava la presenza del Rake Field; al di là del cancello, un reticolato circondava il terreno consacrato.

L'appello

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La decisione di mettere una bomba nello studio dell'ebreo radicale fu presa con relativa facilità. Nell'operazione erano coinvolti in tre. Il primo era quello che ci metteva i soldi. Il secondo era uno del posto che conosceva la zona. E il terzo era un giovane patriota fanatico, esperto di esplosivi e abilissimo nell'arte di scomparire senza lasciar tracce. Dopo l'attentato, fuggì del paese e si nascose per sei anni nell'Irlanda del Nord.

L'avvocato di strada

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L'uomo con gli stivali di gomma entrò in ascensore dietro di me, ma io non lo vidi subito. Ne sentii l'odore, però, l'aspro odore di fumo e vino scadente e vita di strada senza sapone. C'eravamo solo noi nella cabina e quando finalmente gettai uno sguardo dalla sua parte vidi gli stivali, neri, sporchi e molto, troppo grandi. Un trench cencioso gli scendeva fino alle ginocchia. Sotto, vari strati di indumenti sudici lo infagottavano al punto da farlo sembrare grosso, quasi corpulento. Ma non era certo pasciuto; a Washington, d'inverno, gli homeless indossavano praticamente tutto quello che avevano a disposizione.

L'ultimo giurato

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Nel 1970, dopo decenni di costante, incauta gestione e amorevole trascuratezza, il "Ford County Times" fallì. La proprietaria e editrice, Miss Emma Caudle, aveva novantatré anni ed era assicurata a un letto in una casa di riposo per anziani a Tupelo. Il direttore del settimanale, suo figlio Wilson Caudle, era ultrasettantenne e dai tempi della Prima guerra mondiale aveva una placca nella testa. Gliela copriva un perfetto cerchio di cute scura trapiantata in cima alla lunga fronte spiovente, e per tutta la vita adulta si era portato addosso il nomignolo di Spot. Spot fai questo. Spot fai quello. Spot di qua. Spot di là.

L'uomo della pioggia

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La mia decisione di fare l'avvocato diventò irrevocabile quando mi resi conto che mio padre odiava gli avvocati. Ero un adolescente goffo, imbarazzato dalla mia goffaggine, frustrato nei confronti della vita, terrorizzato dalla pubertà e in procinto di venire spedito da mio padre in una scuola militare per insubordinazione. Era un ex marine, convinto che i ragazzi andassero tirati su a frustate. Io avevo dimostrato di avere la lingua svelta e una certa avversione per la disciplina, e la sua soluzione fu mandarmi via. Passarono anni prima che lo perdonassi.

La casa dipinta

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I braccianti delle montagne e i messicani arrivarono lo stesso giorno. Era un mercoledì dell'inizio di settembre del 1952. A tre settimane dalla fine, i Cardinals erano cinque partite sotto rispetto ai Dodgers e la stagione sembrava perduta. Il cotone, più alto di me, arrivava alla cintola di mio padre che prima di cena bisbigliava al nonno parole che sentivo di rado. Sarebbe stato forse un "buon raccolto".

La convocazione

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Giunse per posta, servizio ordinario alla vecchia maniera, perché il Giudice aveva quasi ottant'anni e diffidava dei nuovi sistemi. Niente e-mail o fax. Non usava una segreteria telefonica e non aveva mai amato il telefono. Batteva le sue lettere con i due indici, un tasto alla volta, curvo sulla sua vecchia Underwood appoggiata sopra una scrivania a serranda sotto il ritratto di Nathan Bedford Forrest. Suo nonno aveva combattuto con Forrest a Shiloh e in tutto il profondo Sud e per il Giudice non c'era figura storica più venerata. Per trentadue anni aveva elegantemente evitato di tenere udienze il 13 luglio, giorno del compleanno di Forrest.

La giuria

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Per metà il volto di Nicholas Easter era coperto dai telefoni cellulari che riempivano una vetrina. I suoi occhi non guardavano verso la macchina fotografica nascosta ed erano invece rivolti un po' a sinistra, forse su un cliente o forse sul gruppo di ragazzi raccolti davanti al banco dov'erano esposti i più recenti giochi elettronici di produzione asiatica. Scattata a una distanza di quaranta metri da un uomo ostacolato dall'intenso viavai di visitatori e acquirenti, la foto era riuscita lo stesso nitida e mostrava un bel volto giovane dai tratti marcati. Easter aveva ventisette anni, come risultava da informazioni già in loro possesso. Niente occhiali da vista. Niente anello al naso o bizzarro taglio dei capelli. Niente a indicare che appartenesse alla solita schiera di giovani computeromani commessi di negozio a cinque dollari l'ora. Secondo il questionario era lì da quattro mesi. Sosteneva anche di essere uno studente-lavoratore, ma nell'arco di trecento miglia non era stata trovata iscrizione a nessun college. Almeno su questo mentiva, ne erano certi.

La prima indagine di Theodore Boone

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Theodore Boone era figlio unico e per questo di solito faceva colazione da solo. Suo padre, un avvocato sempre molto impegnato, aveva l'abitudine di uscire presto e incontrare gli amici per un caffè e qualche chiacchiera al solito bar del centro, ogni mattina alle sette. La madre di Theo, anche lei un'avvocatessa molto impegnata, cercava di perdere cinque chili da almeno dieci anni e per questo si era convinta che la colazione non doveva prevedere altro che caffè e giornale. E così lui mangiava in solitudine cereali freddi e succo d'arancia al tavolo della cucina, con un occhio all'orologio. In casa Boone c'erano orologi dappertutto, un chiaro segno del fatto che era abitata da persone organizzate.

Theodore Boone. L'accusato

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L'imputato era un riccone di nome Pete Duffy, e il suo presunto crimine l'omicidio. Secondo la polizia e gli avvocati dell'accusa, il signor Duffy aveva strangolato la bella moglie nella splendida casa di loro proprietà, attigua all'area della sesta buca di un campo da golf dove quel giorno lui, l'imputato, giocava da solo. Se fosse stato giudicato colpevole, Duffy avrebbe trascorso il resto della propria vita in prigione. Se fosse stato assolto, avrebbe lasciato l'aula del tribunale da uomo libero. A conti fatti, la giuria non lo aveva riconosciuto colpevole. Né innocente.

Theodore Boone. La ragazza scomparsa

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Il rapimento di April Finnemore era avvenuto nel cuore della notte, tra le nove e un quarto di sera, ora in cui la ragazza aveva parlato al telefono con Theo Boone, e le tre e mezzo del mattino, quando sua madre era entrata in camera da letto e si era resa conto che la figlia non c'era.

Ultima sentenza

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La giuria era pronta.
Dopo quarantadue ore di discussioni a seguito di un processo di settantun giorni, che aveva comportato cinquecentotrenta ore di deposizioni rese da una quarantina di testimoni, e dopo una vita intera trascorsa a sedere in silenzio mentre gli avvocati cavillavano, il giudice pontificava e gli spettatori scrutavano come falchi in cerca di segnali rivelatori, i giurati erano pronti. Chiusi a chiave nella saletta riservata, isolati e in totale sicurezza, dieci di loro firmarono orgogliosi il verdetto, mentre gli altri due se ne stavano rabbuiati nei rispettivi angoli, distaccati e scontenti nel loro dissenso. Ci furono abbracci, sorrisi e non poche congratulazioni reciproche perché erano riusciti a sopravvivere a quella piccola guerra e ora potevano rientrare con fierezza nell'arena con una decisione a cui erano arrivati per pura forza di volontà e testarda ricerca del compromesso. La dura prova era finita, il dovere civico adempiuto. Avevano servito al meglio delle loro capacità. Erano pronti.

Note

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  1. a b Dalla intervista di Antonello Guerrera, John Grisham: "La mia Charlottesville violata e infangata dai nazisti", Repubblica.it, 14 agosto 2017.

Bibliografia

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  • John Grisham, Fuga dal Natale, traduzione di Tullio Dobner, Mondadori, 2005. ISBN 8804536799
  • John Grisham, I Confratelli, traduzione di Tullio Dobner, Mondadori, 2001. ISBN 8804492163
  • John Grisham, I contendenti, traduzione di Nicoletta Lamberti, Mondadori, 2011. ISBN 978880461287
  • John Grisham, Il broker, traduzione di Renato Pera, Mondadori, Milano 2005.
  • John Grisham, Il cliente, traduzione di Roberta Rambelli, Mondadori, 1995. ISBN 8804400102
  • John Grisham, Il momento di uccidere, traduzione di Roberta Rambelli, Mondadori, 1992. ISBN 9788804506935
  • John Grisham, Il partner, traduzione di Tullio Dobner, Mondadori, 1998.
  • John Grisham, Il professionista, traduzione di Nicoletta Lamberti, Mondadori, 2007. ISBN ISBN 9788804573487
  • John Grisham, Il rapporto Pelican, traduzione di R. Rambelli, Mondadori, 1992.
  • John Grisham, Il re dei torti, traduzione di Tullio Dobner, Mondadori, 2004.
  • John Grisham, Il ricatto, traduzione di Nicoletta Lamberti, Mondadori, 2010. ISBN 9788804598282
  • John Grisham, Il socio, traduzione di R. Rambelli, Mondadori, 1997. ISBN 8804384581
  • John Grisham, Il testamento, traduzione di Tullio Dobner, Mondadori, 1999. ISBN 8804466170
  • John Grisham, Innocente. Una storia vera, traduzione di Annamaria Biavasco, Mondadori, 2007.
  • John Grisham, Io confesso, traduzione di Nicoletta Lamberti, Mondadori, 2010. ISBN 9788804608868
  • John Grisham, L'allenatore, traduzione di Tullio Dobner, Mondadori, 2003. ISBN 8804524235
  • John Grisham, L'appello, traduzione di Roberta Rambelli, Mondadori, 1995. ISBN 8804407220
  • John Grisham, L'avvocato di strada, traduzione di Tullio Dobner, Mondadori, 1999. ISBN 8804471905
  • John Grisham, L'ultimo giurato, traduzione di Tullio Dobner, Mondadori, 2005. ISBN 8804545461
  • John Grisham, L'uomo della pioggia, traduzione di Roberta Rambelli, Mondadori, 1997. ISBN 9788804423010
  • John Grisham, La casa dipinta, traduzione di Tullio Dobner, Mondadori, 2002. ISBN 9788804505280
  • John Grisham, La convocazione, traduzione di Tullio Dobner, Mondadori, 2003.
  • John Grisham, La giuria, traduzione di Tullio Dobner, Mondadori, 1996. ISBN 8804408634
  • John Grisham, La prima indagine di Theodore Boone, traduzione di Fabio Paracchini, Mondadori, 2011. ISBN 9788804614609
  • John Grisham, Theodore Boone. L'accusato, traduzione di Simona Brogli, Mondadori, 2012. ISBN 9788804618799
  • John Grisham, Theodore Boone. La ragazza scomparsa, traduzione di Nicoletta Lamberti, Mondadori, 2011. ISBN 9788804613343
  • John Grisham, Ultima sentenza, traduzione di Nicoletta Lamberti, Arnoldo Mondadori Editore, 2008.

Filmografia

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Altri progetti

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Opere

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