Jhumpa Lahiri
Aspetto
Jhumpa Lahiri (1967 – vivente), scrittrice statunitense.
Citazioni di Jhumpa Lahiri
[modifica]- C’è una canzone di Dylan in particolare che ogni volta mi commuove e il cui senso mi sfugge sempre un po’. S’intitola Isis. Dylan l’ha scritta con Jacques Levy nel 1975, e l’ha inserita nel suo album Desire, pubblicato un anno più tardi. Parla — attraverso un io narrante — di un matrimonio e (subito) di una separazione; il marito fugge via (o è lei che lo ha cacciato?) e insieme a un tipo un po’ misterioso va alla ricerca di un tesoro, ma le cose si mettono male: ci sono una morte, una sepoltura, molti rimpianti, e poi un ritorno e una riconciliazione.[1]
- Chi non appartiene a nessun posto specifico non può tornare, in realtà, da nessuna parte.[2]
- Il silenzio attorno allo Ius soli va squarciato. È cruciale riprendere il discorso e conferire, alla seconda generazione, la cittadinanza italiana. Saranno loro a rinnovare l'Italia, a spingere il Paese verso il futuro. Saranno loro a costruire quel ponte. Con il silenzio, invece, questi ragazzi, lasciati fuori da un'identità nazionale, corrono il rischio di avvertire un senso di estraneità continua e pericolosa. Sprovvisti di cittadinanza, si sentiranno trascurati, vulnerabili. Anche silenziati.[3]
- In un certo senso la scrittura è un omaggio prolungato all'imperfezione.[4]
- Più vado avanti più mi torna in mente l'immagine che usava mia madre, bengalese trapiantata negli Stati Uniti: stare con un piede in una barca e l'altro piede nell'altra. Sotto, però c'è l'acqua e devi tenerti in equilibrio. Più vado avanti, più mi accorgo di replicare quella metafora. Che forse è anche una postura di vita.[5]
In altre parole
[modifica]Voglio attraversare un piccolo lago. È veramente piccolo, eppure l’altra sponda mi sembra troppo distante, oltre le mie capacità. So che il lago è molto profondo nel mezzo, e anche se so nuotare ho paura di trovarmi nell’acqua da sola, senza nessun sostegno.
Citazioni
[modifica]- Sulla prima pagina, a un certo punto, scrivo: «provare a = cercare di».
Questo frammento casuale, questa equazione grammaticale, può essere una metafora dell'amore che provo per l'italiano. Una cosa che, alla fine, non è altro che un ostinato tentativo, una prova continua. (p. 18) - L'italiano sembra già dentro di me e, al tempo stesso, del tutto esterno. (p. 22)
- Non avrei un vero bisogno di conoscere questa lingua. Non vivo in Italia, non ho amici italiani. Ho solo il desiderio. Ma alla fine un desiderio non è altro che un bisogno folle. Come in tanti rapporti passionali, la mia infatuazione diventerà una devozione, un’ossessione. Ci sarà sempre qualcosa di squilibrato, di non corrisposto. Mi sono innamorata, ma ciò che amo resta indifferente. La lingua non avrà mai bisogno di me. (p. 23)
A est del Tolly Club, dopo che Deshapran Sashmal Road si biforca, c'è una piccola moschea.[6]
Note
[modifica]- ↑ Da Le lacune di Dante e Dylan esaltano il «non detto», La Lettura, suppl. del Corriere della Sera, 13 agosto 2017, pp. 46-47.
- ↑ Da Il secondo esilio, Internazionale n. 1053, 30 maggio 2014, p. 99.
- ↑ Da Il silenzio sullo Ius soli, rep.repubblica.it, 3 ottobre 2018.
- ↑ Da L'imperfetto, Internazionale n. 1051, 16 maggio 2014, p. 93.
- ↑ Dall'intervista di Conchita Sannino, Jhumpa Lahiri: "Vorrei potere dire che la Ferrante sono io", rep.repubblica.it, 19 dicembre 2018.
- ↑ Citato in Giacomo Papi, Federica Presutto, Riccardo Renzi, Antonio Stella, Incipit, Skira, 2018. ISBN 9788857238937
Bibliografia
[modifica]- Jhumpa Lahiri, In altre parole, Guanda, 2016. ISBN 978-8823513457
Altri progetti
[modifica]- Wikipedia contiene una voce riguardante Jhumpa Lahiri
- Commons contiene immagini o altri file su Jhumpa Lahiri