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Jorge Manrique

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Jorge Manrique (ritratto di Juan de Borgoña)

Jorge Manrique (1440 – 1479), poeta spagnolo.

Stanza per la morte del padre

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  • Ti risveglia, ti ravviva, | alma ignava, e ti rammenta | che fugace | questa vita corre a riva; | che la morte non è lenta; | viene e tace. | Il piacere ha corte l'ali; | lo ricordano con sospiro | tosto i cori; | sempre agli occhi de' mortali | le giornate che fuggiro | fur migliori. || È la vita come un'onda | avviata all'Oceàno, | ch'è la tomba; | ogni pompa che circonda | lusingando il fasto umano, | laggiù piomba. | Là discende col gran fiume | lo spregevole ruscello | piccioletto; | chi dormia su ricche piume | ha laggiù col poverello | solo un letto. || Questo mondo è breve calle | verso l'altro ch'è dimora | sempiterna; | camminiam per buia valle, | fin che il lume dell'aurora | si discerna. | Parte l'uomo dalle fasce; | corre d'una in un'altra prova | tutte l'ore; | tocca al termine dell'ambasce, | e la pace sol ritrova | quando muore.[1]
  • Dite, dite: i bei colori | della cara giovinezza, | dove vanno? | Delle guance i freschi fiori, | quando giunge la vecchiezza, | che si fanno? | Questo sangue e questa forza | giovanil, cui torna ogn'opra | piana e lieve, | non è foco che si ammorza | quando il tempo il crin ne copre | di sua neve? || Le ricchezze, i regi ammanti | quando in essi ben si affina | la veduta, | niun dirà che sian costanti; | doni son d'una regina | che si muta: | doni son della fortuna, | che rivolge la sua rota | con gran fretta; | non riposa in parte alcuna, | fuggitiva, a niun devota, | niuno aspetta. || E sia pur che i possessori | sino a morte il molto argento | fido segna; | sian pur stabili i tesori; | ma la vita, come vento, | non dilegua?[1] (pp. 17-18)
  • Mondo infido! Un giorno solo | è la vita: fosse almeno | vita vera! | Ma per tempo abbonda il duolo; | quando il cielo par sereno, | fassi sera. | È la vita un grande serto | ove molte son le spine, | pochi i fiori, | di caligine coperto, | pien di rischi e di ruine | pe' migliori. || Si comincia lagrimando; | mal agevole è degli anni | la salita; | si discende sospirando: | più si vive e più d'affanni | dà la vita. | Raro il bene e non l'ottiene | chi con lena e con l'istento | non v'aspira. | Presto il male sopravviene; | ma ritroso, a passo lento | si ritira.[1] (pp. 18-19)
  • [Rodrigo Manrique in cospetto della Morte che si rivolge a lui:] «Buon cavaliero, | ti prepara al dì sereno | di tua festa: | lascia il mondo menzognero; | l'alto cor, che porti in seno | manifesta. | Se la vita posta hai spesso | in terribili cimenti | per la fama, | di costanza l'arma adesso; | né la voce ti sgomenti | che ti chiama. || «Non ti sia l'uscita amara; | né la pugna ti spauri | che t'attende; | la tua gloria si rischiara | e ne' secoli futuri si distende, | questa vita dell'onore, | benché labile e mortale, | passi anch'essa, | della vita è ben migliore | che al caduco vostro frale | vien concessa. || «Una vita in ciel rimane: | dal potente non si merca | con tesori; | né l'ottien chi in gioie vane | l'età sua perdendo cerca | solo i fiori; | ma l'ottiene con preghiere | nella tacita spelonca | l'eremita; e l'ottiene | il cavaliere | cui dal Mauro ferro tronca | fu la vita. || «Or tu nobile campione, | che cotanto sangue hai sparso | d'infedeli, | ti rallegra, un guiderdone | a' tuoi merti non più scarso | danno i cieli. | Con la Speme e con la Fede, | cui sacrasti ognor dell'alma | gli alti affetti, | sali incontro alla mercede, | sali al trono ed alla palma | degli Eletti». || «Bella Morte, io non indugio; | affannato il cor ti chiama | con desio; | il Signore è mio rifugio; | quel che farsi Ei di me brama, | bramo anch'io. | Il mio spirito con gioia | della creta, ov'è sepolto, | si dispoglia; | quando Dio vuol che si muoia | voler vivere è d'uom stolto | pazza voglia. || Tu che in terra per lavarne | dalla colpa pellegrino | discendesti, | e col vel di nostra carne | il principio tuo divino | nascondesti; | tu che pendi, il fianco aperto | dalla lancia, sovra il legno | sanguinoso, | non guardare al nostro merto; | ma per grazia al servo indegno | sii pietoso». || Tal pregava il guerrier forte | e moria, l'usato aspetto | non mutando.[1], (pp. 20-22)

Note

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  1. a b c d In Lorenzo Misuraca, Antologia della poesia religiosa spagnola: con alcuni saggi di poesia ispano-americana, traduzione di Lorenzo Misuraca, Edizioni Paoline, Roma, stampa 1962; traduzione per questa Stanza di Giacomo Zanella.

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