Lara Gut

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Lara Gut (2017)

Lara Gut (1991 – vivente), sciatrice alpina svizzera.

Citazioni di Lara Gut[modifica]

Citazioni in ordine temporale.

  • [«Quando hai iniziato a sciare e perché?»] Per il mio primo compleanno mia zia mi ha regalato un paio di piccoli sci in plastica. [...] Ho poi passato la mia estate in giro per il giardino con gli sci ai piedi e, arrivato l'inverno, era naturale che iniziassi ad usarli pure sulla neve.[1]
  • La fama rimane un'arma a doppio taglio perché offre opportunità incredibili ma costringe a trovare un equilibrio con se stessi: la parte pubblica da un lato e quello che deve rimanere privato dall'altro.[2]
  • Il talento significa anche lavoro, passione, fortuna. A volte fa sembrare le cose più semplici di quanto non siano.[3]

Quel "crac" che mi ha fatto capire chi sono

SportWeek nº 47 (860), 25 novembre 2017, pp. 58-62.

  • Da bambina mi chiamavano sunshine. Ero una bimba sorridente che parlava tutto il tempo, passavo le giornate a leggere e rompevo le scatole a tutti perché ero curiosa.
  • Sono cresciuta sciando ed era una cosa normale per me, come il fatto di andare a scuola. Si faceva e basta. Non mi sono mai chiesta se fosse un dovere, un piacere, una passione. Sciavo, ridevo e tutto andava bene.
  • Ho sempre amato le sfide e tutto ciò che fa andare sempre più veloce. Se si giocava a pallone, meglio con i maschi; sugli sci, meglio con i più grandi e via dicendo.
  • La vita d'atleta è qualcosa di decisamente fuori dagli schemi: vogliamo raggiungere traguardi più alti, vincere di più, essere più performanti, migliorarci costantemente e lavoriamo sempre e solo in una direzione: l'eccellenza. Ma a volte dimentichiamo cosa questo comporta. Io per anni ho scordato di essere una persona: [...] Non mi accontentavo mai, la vittoria di oggi mi serviva solo da trampolino di lancio per scaraventarmi nella gara di domani ed ero affamata, sempre. Davo la priorità alle emozioni legate al mio essere atleta e non notavo che quelle legate alla persona si stavano spegnendo. Spingevo, sopportavo, stringevo i denti, combattevo e andavo avanti risoluta perché le sensazioni che provavo in pista, l'adrenalina nelle vene, la grinta animale che usciva in quei momenti e rendeva tutto facile bastava a farmi andare bene tutto.

La mia vita in discesa e senza social

Intervista di Simone Battaggia, SportWeek nº 48 (1122), 3 dicembre 2022, pp. 28-34.

  • Non ti rendi conto di cosa sia la pressione finché non la vivi. Ricordo di interviste da ragazzina in cui mi veniva chiesto se sentissi la responsabilità del team privato, dei fatto che i miei genitori avevano smesso di lavorare e che ero la responsabile del benessere della famiglia. Dicevo di no, che mi divertivo e basta, e davvero la vivevo così. Adesso mi rendo conto che non ero conscia di sentire la pressione, ma che c'era. Il "dover vincere" da qualche parte nella testa ce l'avevo sempre. Nello sport vendiamo tanto il mito degli eroi e dimentichiamo il lato umano.
  • Ricordo che a 17 anni non volevo parlare dei miei obiettivi. Un giornale svizzero mi massacrò, scrisse che ero una stronza antipatica solo perché a un giornalista, ridendo, avevo chiesto se avesse avuto un'altra domanda. La settimana successiva gareggiai a St. Moritz con la sensazione che per tutta la Svizzera fossi quel tipo di persona, che di me si parlasse in tutte le case. Così entri in un meccanismo di paranoia e tutto questo perché magari il giornalista aveva avuto una settimana pessima ed ero diventata la sua valvola di sfogo.
  • Nello sport c'è così tanta ipocrisia che per una delle tenniste migliori [Naomi Ōsaka] è più importante che rilasci un'intervista piuttosto che scenda in campo. Quando lo sport diventa un lavoro ti dicono che ci sono delle cose che devi fare. Ma chi l'ha deciso? Sei un'atleta e già per allenarti, nutrirti e riposarti c'è una scienza. Poi ci sono le cose attorno che, ti dicono, "fanno parte del gioco". Ok, ma cosa succede se fanno così parte del gioco che non riesco più a fare quel gioco?
  • Nello sport non è facile mostrare le proprie debolezze. Ti crei un'aura di invincibilità, ti mostri sicuro ma dentro sei a pezzi. "Se inizio a dire che sono in difficoltà crolla tutto", pensi, "e gli altri se ne approfitteranno". Ma bisogna fare il processo inverso. Penso che imparare a non sentirsi deboli o in pericolo, se lo si riconosce, sia la chiave per approcciarsi allo sport in modo più "sano".
  • Il problema dello sci è che sei sempre in viaggio, e come donna più passano gli anni e più ti senti isolata. Vivi in un mondo illusorio, chiami amicizie quelle che non lo sono. E tendi a chiamare famiglia il mondo dello sci che di famiglia ha ben poco perché quando smetti nessuno si ricorda più di te, mentre la famiglia è lì dove puoi contare su qualcuno quando sei in crisi. Ci ho messo tanto a rendermene conto: vivevo, sciavo, la vita switchava su "on". A un certo punto sono tornata a casa, ho ricreato un rapporto forte con la mia migliore amica delle Elementari e ho ritrovato la mia famiglia, non solo per parlare di sci ma anche per viverla.

Note[modifica]

  1. Dall'intervista di Luigi Bottecchia, «La mia vita, il mio sci», contropiede.ilgiornale.it, 18 gennaio 2015.
  2. Da un'intervista a Ticino7; citato in "Ho commesso degli errori", gdp.ch, 2 settembre 2016. [collegamento interrotto]
  3. Da un'intervista a NZZ am Sonntag; citato in Lara Gut: "c'è stato un momento in cui....", fantaski.it, 21 novembre 2016.

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