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Lazzaro Spallanzani

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Lazzaro Spallanzani

Lazzaro Spallanzani (1729 – 1779), presbitero, biologo e accademico italiano.

Citazioni di Lazzaro Spallanzani

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  • Se mi impongo di dimostrare qualcosa non sono un vero scienziato. Devo imparare a seguire la strada che mi indicano i fatti e a combattere i pregiudizi.[1]

Viaggi alle Due Sicilie e in alcune parti dell'Appennino

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Quell'interesse e quello zelo, che mi ha sempre mosso e animato a contribuire, come per me si poteva, ai progressi del pubblico I. Museo di Storia naturale della R. Università di Pavia, coll'accrescerlo di nuove, e importanti produzioni, procacciate in diversi viaggi da me intrapresi dentro all'Italia, e fuori, mi stimolò a viaggiare nelle estive e autunnali vacanze del 1788 alle Due Sicilie. Quanto questo R. Stabilimento è dovizioso in altri generi di naturali prodotti, altrettanto era penurioso di cose vulcaniche, riducendosi elleno a poche ignobili scorie del Vesuvio, e a non so quante volgarissime lave del medesimo luogo, che per essere state ridottte in tavolette, e queste pulite e lustrate, perduto avevano i sensibili caratteri, che le distinguono, e per conseguente quell'occhio d'istruzione tanto necessario ai naturali Musei consecrati allo studio, e all'insegnamento dei Giovani.

Citazioni

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  • Allorchè li 24. Luglio del 1788. io giunsi a Napoli, sebbene questo Vulcano non fosse in uno stato d'inazione, pure i suoi accendimenti non movevano la curiosità de' Napoletani, i quali per la contratta abitudine di averlo sempre dinanzi agli occhi, non sogliono mettersi in voglia di visitarlo, se non nelle grandi, e rovinose eruzioni. Vedevasi egli allora continuamente fumicare di giorno, e dagli elevati fumi generavasi un bianco nuvolo, che copriva il sommo del Monte, e che da' venti di nord-est spinto, e assottigliato stendevasi in larghe fila sino all'Isola di Capri. (vol. 1, pp. 2-3)
  • La bellissima Napoli si asside tutta sopra materie vulcaniche. Fra queste domina il tufo, il quale anzi concorre in parte alla costruzione di molti Edificj. Al nord, e all'ouest sollevasi in grandi ammassamenti, e forma spaziose colline. Il forestiere Osservatore, che entra in questa Dominante, e che vede l'immensa congerie di una sostanza, che in lui risveglia l'idea del fuoco, non può non esser tocco da meraviglia, e non cercar pensieroso, quale ne sia stata l'origine. Si sa che intorno a un tal punto i Naturalisti sono divisi. Certi opinano che il tufo vulcanico generato siasi dentro al Mare, quando bagnava il piede delle Montagne infiammate. Taluno pensa, che le ceneri vomitate dal fuoco, col lento volger degli anni rassodate si sieno in questa specie di pietre per il feltramento dell'acque piovane. Altri in fine inchinano a credere che il tufo tragga l'origine da ceneri fangose, e fluide, mandate fuora dai Vulcani in qualcuna di loro eruzioni. (vol. 1, pp. 39-40)
  • Veduta la Solfatara, e le rupi, che le fanno corona, e continuata la mia direzione all'ouest, non mi fu d'uopo di lungo viaggio, per giungere alla Grotta del Cane. Non evvi erudito che ignori, così denominarsi una picciola caverna, posta tra Napoli, e Pozzuolo, perchè fattovi entrare un cane, e forzatolo a starsi col muso rasente terra, comincia a respirar con affanno, indi tramortisce, e ancora lascia di vivere, se sollecitamente levatolo da quel luogo, non venga trasferito all'aria aperta, e sfogata. (vol. 1, p. 84)
  • Il sormontare la repente, e grand'erta del cono dell'Etna, quantunque in dirittura non più lunga d'un miglio, mi costò, siccome accennai, tre ore della più penosa fatica. Non è a dirsi della maggiore brevità del tempo impiegato nel discender da lei: ma cotal brevità superò di molto la mia espettazione. Mi accorsi, che a fare quella discesa null'altro si richiedeva, che il fermare stabilmente il piede su qualche grosso pezzo di scoria, e il sostenersi diritto, ed equilibrato della persona, poichè quel pezzo al più picciolo urto all'ingiù che riceveva dal mio corpo, sdrucciolando velocemente per la china, mi trasportava a notabil distanza; arrestatosi poscia tra via da altre scorie che avanti cacciava, e che in gran numero si accumulavano attorno di esso. (vol. 1, pp. 266-267)
  • Coteste Isole del Mediterraneo situate tra la Sicilia, e l'Italia, denominate Eolie, da Eolo riputato loro Re, e più universalmente appellate di Lipari, dalla principale e più grande, che gode tal nome, quantunque dall'Antichità sieno state riconosciute per vulcaniche, e perciò stesso si dicano anche vulcanie, solo però in questi ultimi tempi la loro vulcanizzazione si è considerata come uno degli oggetti idonei ad interessare le ricerche del Fisico, e a promuovere lo studio della natura. (vol. 2, pp. 5-6)
Prospetto del castello di Lipari, in Viaggi alle Due Sicilie e in alcune parti dell'Appennino
  • A ben conoscere l'interno di un montuoso Paese vulcanizzato, il miglior partito, per quanto a me ne paja, si è quello di salir primamente il Monte più elevato, e dopo l'averne esaminata la cima, volgere al basso lo sguardo, e osservare la schiera de' monticelli che attorno lo accerchiano. (vol. 3, p. 9)
  • La mattina dunque dei 7. Ottobre salpai da Lipari per Felicuda, discosta 23. miglia, facendo in 4. ore questa breve velata di mare. Ella non è corredata di Porto, ha però due seni, uno al sud, l'altro al nord-est bastanti a dar ricovero ai piccioli bastimenti, e quando il vento contrasta l'ingresso in un seno, si può agevolmente entrare nell'altro, e ciascuno è difeso abbastanza, per trovarsi a ridosso della montagna. (vol. 3, pp. 84-85)
  • Felicuda ha 9. miglia di circonferenza alla base, ne cominciai il giro esaminando le lave circondanti il seno, dove approdai. Hanno per base il feldspato, che è di pasta squamosa grigio-bianchiccia, non molto compatta, sfavillante però alcun poco all'acciajo, ed attraente l'ago magnetico. (vol. 3, pp. 85-86)
  • I terribili e spaventosi quadri di globi di fiamme, e di sassi infocati a grandi altezze vibrati, di montagne per l'ardor cocentissimo illiquidite, e di fiumi di lave incendiarie, che in ogni tempo sono appariti agli uomini, hanno indotto i più nella credenza, che la possanza di questi fuochi devastatori sia superiore alle idee che abbiamo del fuoco nostro. (vol. 4, pp. 8-9)
  • Questa Città [Messina] dalla parte opposta al mare è circondata dal granito, ed è facile che sia una continuazione di quello di Melazzo. Mi si affacciò questa roccia appena ch'io escj dall'abitati per la Porta de' Legni, e ch'io mi trovava a venti piedi circa di altezza sopra il livello del mare. Quivi essa comincia a distendersi in un amplo ammasso formante all'ouest uno scosceso pendìo, su cui è edificata una porzione delle antichissime mura di Messina. (vol. 5, pp. 7-8)
  • Nel dopo pranzo dei 10. Agosto dell'istesso anno [1788] partj da Fanano per il Cimone, e la sera mi ricoverai in un tugurio di pastori nel sito che chiamano i Faggi, per cominciar ivi la zona di questi alberi. Sorto dal letto un ora dopo la mezza notte proseguj il mio viaggio col favore d'un bellissimo chiaro di luna, determinato di trovarmi su l'eminenza del Monte prima del giorno, per poter di lassù vagheggiare il sole nascente. (vol. 5, p. 88)

Viaggio all'Etna

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  • Il monte Etna all'incontro, preso alle radici, volge attorno cento ottanta miglia, e la sua elevatezza sul mare oltrepassa d'assai le due miglia. Su' fianchi dell'Etna levansi altri monti minori, quasi suoi figli, talun de' quali il vesuviano agguaglia in ampiezza. Le lave più estese di questo monte non superano in lunghezza le sette miglia, e quelle dell'altro s'innoltrano al quindicesimo e al ventesimo miglio, e taluna è giunta fino al trentesimo. (p. 220)
Veduta dell'Etna dalla parte di Catania, in Viaggio all'Etna
  • Prima di recarmi in Sicilia, letto aveva l'onoratissima menzione fatta dal Borch al principe di Biscari, fra l'altre ragioni, perché allora erasi accinto a fare cangiar faccia fuor di Catania alla lava del 1669, col lodevolissimo pensiero di trasmutare quell'ingratissimo suolo nel più ridente giardino. Giunto sul luogo vidi e ammirai gli sforzi dell'arte. In più siti per via di mine è stato squarciato il seno alla durissima lava. In più altri mirasi rotta minutissimamente, e ragunata in ricettacoli, dove affidare diverse qualità di utili piante. Ma ella è disgrazia che sieno sempre perite, non ostante l'avervele replicantemente piantate. Alcune pochissime ritrovai vive, come qualche melagrano e qualche mandorlo, ma tisicucce e languenti, quantunque la sminuzzata lava, dove gettate avevano le radici, rimescolata fosse a terra ferace. I soli fichi opunzia (cactus opuntia, Linn.) lussureggiavano copiosamente. (pp. 229-230)
  • Tre ore prima del giorno escito co' miei compagni dalla Grotta delle Capre, che fornito mi aveva bensì un ricovero, ma un letto insieme dei più duri e dei più disgustosi, per aver dovuto restarmi sdrajato sul pavimento di lave di pochissime secche foglie di quercia ricoverto, continuai il mio viaggio all'Etna; e il cielo ch'era sereno mi faceva sperare che tale fosse nel vegnente giorno, senza di che non mi sarebbe stato conceduto di godere la vista di quell'elevatissimo giogo, quasi sempre offuscato da nebbie, ove nuvolosa sia quella parte di cielo. (p. 245)

Note

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  1. Citato in AA.VV., Il libro della biologia, traduzione di Anna Fontebuoni, Gribaudo, 2022, p. 59. ISBN 9788858039595

Bibliografia

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Altri progetti

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