Lilian Silburn
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Lilian Silburn (1908 – 1993), indologa francese.
La Kuṇḍalinī o L'energia del profondo
[modifica]- Śiva, essenza unica di ogni esistenza, è dunque il Signore della danza (naṭarāja). Con una delle sue molte mani tiene il tamburo le cui vibrazioni sonore generano il tempo e lo spazio provocando l'emanazione dell'universo; con un'altra brandisce il fuoco del riassorbimento. Il movimento della danza nasconde la sua essenza, avvolgendolo nelle fiamme della manifestazione, mentre il fuoco del riassorbimento, spazzando via tutto, la rivela; egli rimane immobile al centro di questa duplice attività, fonte di ogni potenza e ostentando impassibile le energie più feroci, i movimenti più opposti; l'emanazione e il riassorbimento, l'oscuramento e la grazia, la ritrazione e il dispiegamento. (pp. 25-26)
- Poiché tutti gli aspetti del reale non sono di fatto che i ritmi dell'energia divina e la sua vibrazione onnipervadente, i sistemi Trika e Kaula non contrappongono la materia allo spirito, il corpo all'anima, il microcosmo al macrocosmo, ma riconoscono un solo ritmo originario che si propaga liberamente di livello in livello. (p. 29)
- Il serpente, temibile per il suo veleno, simboleggia tutte le forze malefiche; allo stesso modo la kuṇḍalinī, finché riposa inerte in noi, corrisponde alle nostre energie inconsce, oscure, allo stesso tempo avvelenate e velenose. Inversamente, queste stesse energie, risvegliate e dominate, diventano efficienti e conferiscono una potenza reale. (p. 39)
- [Sui chakra] Queste ruote non sono affatto centri fisiologici e statici del corpo grossolano, ma centri di forza che appartengono al corpo sottile, centri che solo lo yogin, nel corso della manifestazione della kuṇḍalinī, localizza con altrettanta precisione che se appartenessero al corpo.
- Quando colpite con un bastone un serpente, esso diventa dritto e rigido come un bastone. E così che dovete vedere [la kuṇḍalinī] quando il maestro la risveglia. (p. 95)
- Esperienze mistiche e fenomeni significativi si succedono rapidamente via via che i centri corrispondenti vengono toccati e che l'energia kuṇḍalinī invade tutta la persona dello yogin. Quando essa riempie interamente il corpo, la felicità è totale, ma finché si limita a un centro, la via non è libera, e si producono alcuni fenomeni. Di fatto, lo yogin sopporta con difficoltà le vibrazioni che essa genera e ciascun centro reagisce a modo proprio. (pp. 111-112)
- In questa tappa, lo yogin perde la coscienza del mondo oggettivo. Quando la kuṇḍalinī giunge alla volta palatina (tālu), egli prova una sorta di assopimento (nidrā) che santa Teresa d'Ávila chiamava «sonno delle potenze». Il corpo, la volontà e la conoscenza ordinari sono intorpiditi, ma il cuore veglia. (pp. 114-115)
- Parecchi secoli più tardi, Abhinavagupta interpreta l'offerta vedica in modo specificamente mistico. Anch'egli la chiama «oblazione plenaria» (pūrṇāhuti), ma non riconosce altro fuoco divino capace di consumare tutta la dualità che la kuṇḍalinī, né altra offerta da versare nel fuoco che la penetrazione del maestro nel soffio del discepolo, nel quale si risveglia il fuoco divino e sale la fiamma della kuṇḍalinī. (pp. 130-131)
- Il Tantrismo mostra così come l'esperienza suprema includa tutti i livelli della realtà, come l'unità sorga nel luogo stesso della dualità. Per il Tantrismo, infatti, l'unificazione deve instaurarsi durante le esperienze della vita ordinaria, di qualunque genere siano, e, grazie alla purificazione provocata dalla kuṇḍalinī ogni energia può essere trasformata in energia di pura Coscienza. (p. 190)
- Se, spogliato della possessività amorosa, kāma, il dio del desiderio, consumato dal terzo occhio di Śiva, che è l'energia kuṇḍalinī, cede il passo alla tenerezza amorosa, nutrita di venerazione; o se, al di là della conoscenza e del conosciuto, il desiderio diventa un puro slancio d'amore impersonale (icchā), la sua nuda intensità anima il corpo e quest'ultimo, liberato dai limiti individuali, opera liberamente, permettendo allo yogin di rimanere alla fonte dell'energia, nell'emozione del primo sguardo. (p. 193)
- La pratica sessuale in questione non è un'attività lasciva, avida di godimento, non tende né al piacere né alla procreazione, ma si presenta come uno yoga, una disciplina, un atto sacro che ha lo scopo di realizzare l'essenza del Sé, l'identificazione con Śiva; è dunque essenzialmente legata a una condotta eroica. (p. 211)
- Se si considerano le numerose norme restrittive da cui era circondato, Abhinavagupta è allora più ammirevole per la sua audacia e libertà di spirito. [...] Egli non ha riguardi per i brahmani che, sottomessi ai dilemmi del puro e dell'impuro, non sono in grado di percepire tutte le cose all'interno di una stessa e unica chiarezza. (p. 222)
Bibliografia
[modifica]- Lilian Silburn, La Kuṇḍalinī o L'energia del profondo, traduzione di Francesco Sferra, Adelphi, 1997.
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