Longo Sofista
Longo Sofista (greco Λόγγος) (... – ...), scrittore greco.
Gli Amori pastorali di Dafne e Cloe
[modifica]Nell'isola di Lesbo cacciando, e per lo bosco delle ninfe attraversando, mi si scoperse nel mezzo di esso uno a lor sacro, solitario e venerando tempietto: e già dalla caccia affannato, per alquanto riposarmi e per le dèe visitare entrandovi, mi s'offerse nella prima giunta una vista bellissima, sopra quante ne vedessi giammai. Vidi attaccata alla parete d'incontro una tavola dipinta: la sua dipintura rappresentava una istoria d'amore. Era il bosco ancor esso bellissimo, ombroso, erboso, fiorito e d'acque d'ogn'intorno rigato, e tutti insieme l'erbe, gli alberi e i fiori erano per molti rivi da una fontana sola nutriti. Ma sopra modo piacevolissima si mostrava l'istoria della pittura, copiosa, artificiosa ed amorosa tanto, che molti forestieri, per fama, d'ogni banda vi concorrevano, mossi e dalla devozione delle ninfe e dalla vaghezza della pittura. Il componimento dell'istoria erano donne che partorivano, altre che i lor parti adornavano, e certe che in deserto li gittavano. D'intornovi, pastura d'armenti, occisioni di pastori, giuochi d'innamorati, correrie di predatori, assalti di guerrieri, ed altre cose assai, tutte amorose; le quali io veggendo e meravigliandomi, di meraviglia caduto in diletto, poscia in desio di farne ritratto, procurai di farlami esporre, e secondo che esposta mi fu, mi sono affaticato di scriverne quattro ragionamenti, li quali consacro per dono ad Amore, alle ninfe ed a Pane, per piacere e giovamento a tutti che leggeranno, per rimedio agl'infermi, per conforto agli afflitti, per rimembranza a quelli che hanno amato e per ammaestramento a quelli che ameranno: percioché nessuno fu mai che non amasse, e nessuno sarà che non ami, finché il mondo avrà bellezza e che gli occhi vedranno. A noi doni Dio grazia di viver casti e di scriver gli amori altrui.
Citazioni
[modifica]- Allora cominciava la guerra degli occhi, dove l'uno restava prigione dell'altro. La Cloe, vedendo Dafni ignudo, da tutte le parti del suo corpo le pareva che fioccassero bellezze, a guisa d'un nembo di fiori; e, vagheggiandolo, si consumava a vedere che nessuna menda in nessuno de' suoi membri si ritrovasse. A Dafni, mirando la Cloe, mentre con quel batolo a cinta, con quella ghirlanda in testa, gli porgea a bere, si rappresentava una ninfa, di quelle della grotta, e, guardandola fiso, pigliava godimento delle sue fattezze: poscia le rapiva la corona di testa, e baciandola prima, ancor egli se ne coronava. (da Ragionamento primo)
- – Si dolgono gli innamorati, e noi ci dogliamo; di nulla quasi si curano, e noi non ci curiamo; non possono dormire, e noi che facciamo ora se non vegghiare? sono in continua arsura, e il foco è sempre con noi; e bramano di vedersi, e noi per altro non desideriamo che presto si faccia giorno! È potrebbe essere che questo fosse amore, e che noi fossimo innamorati, e non ce n'avvedessimo; che, se non è amore e noi non siamo innamorati, perché così ci affligghiamo? che vogliamo noi da noi stessi? (da Ragionamento secondo)
- E domandando la Cloe: – Dopo questi baciamenti, questi abbracciamenti e questi coricamenti, che sarà egli di più? Coricati che ci saremo nudo con nuda, che pensi tu d'aver a fare? – Faremo – rispose Dafni – quel che fanno i montoni alle pecore ed i becchi alle capre. (da Ragionamento terzo)
- Rizzandosi dunque il montone con le zampe dinanzi sopra la groppa della pecora, il buon Dafni si levava suso con le mani, e si serrava cotale alla svenevole su la schiena alla Cloe; e quando la bestia alzava uno zampino, egli ritirava una gamba; quando scontorceva il niffolo, egli stralunava gli occhi; quando fiutava, egli annasava; quando colpeggiava, egli batteva tutti i suoi colpi: ma dove il suo maestro colpiva sempre, egli non seppe mai dare nel bersaglio. (da Ragionamento terzo)
- Ma Gnatone, che altro non sapeva far che pappare tanto che recesse, e bere finché ebbro venisse, e che altro non era che mascella e ventre e le parti di sotto al ventre, non ebbe prima il giovinetto capraro adocchiato, che, stranamente piacendogli, vi fece su disegno: e percioché era vago di quello che li cattivi uomini sono, abbattutosi a una bellezza qual non era forse nella città, fece pensiero di affrontarlo, credendo, per essere un capraro, che agevolmente si conquistasse. (da Ragionamento quarto)
Ed intanto che eglino così mugolavano, Dafni e la Cloe, condotti a letto, si coricarono, ed, abbracciandosi e baciandosi insieme, vegghiarono tutta notte a guisa di civette; ed allora primieramente Dafni mise in opera la dottrina di Licenia, e la Cloe s'avvide che i piaceri, che per innanzi per le fratte e per le selve aveano avuti, erano stati più tosto giuochi di pastori che fatti d'amore.
Bibliografia
[modifica]- Longo Sofista, Gli Amori pastorali di Dafne e Cloe, in Opere, vol. I, a cura di Vittorio Turri, traduzione di Annibal Caro, Gius. Laterza e Figli tipografi-editori-librai, Bari, 1912.
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