Luigi Bruzza

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Ritratto di Luigi Bruzza

Padre Luigi Maria Bruzza (1813 – 1883), archeologo, epigrafista, insegnante barnabita italiano.

Citazioni di Luigi Bruzza[modifica]

  • [Le istituzioni civili di Vercelli] Fra le quali deve lo storico porre in bella mostra quelle che per opere pietose e cristiane risplendono, e talora notare con quella modesta avvertenza che si fonda sul vero, come la Città in cotali fatti fosse proceduta più innanzi che alcun'altra, chè è anzi negligenza che modestia il tener chiuso ciò che dee porsi in vista, e si fa reo dinanzi alla patria chi potendo non ne palesa tutti i suoi meriti.[1]

Delle lodi della città di Vercelli[modifica]

  • [...] a qual di voi è ignorata l'antichità e la dignità della Chiesa vercellese? E con quale altra d'Italia, dalla Romana in fuori, non può venire a paragone, o sia che si riguardi alla sua origine, sendo che fu ammaestrata nella fede dallo stesso principe degli apostoli, secondo porta l'antichissima tradizione, o si consideri che prima ancora del magno Eusebio fu governata successivamente da Vescovi, mentre gran parte delle italiche città non avevano, e mancarono molti anni ancora di chi le reggesse, e solo da passeggieri annunziatori aveano alcun lume di fede? (pp. 7-8)
  • Io so bene non poter essere chi contraddica alle mie parole, se affermo essere questa città gloriosissima per ciò che è antichissima, e che avanzando ogni età di cui si hanno memorie scritte, è sì per la lunghezza della sua vita degnissima d'ammirazione, sì per la remota sua origine in tanta lontananza di secoli veneranda. Perciocché, chi ben considera, è questo argomento di grandissima felicità, che per mezzo il corso di tanti secoli manomessa da' barbari, travagliata da esterne guerre, lacerata nelle più vitali sue parti per le discordie de' cittadini, possa una città non che stare, avanzarsi, e per infiniti pericoli crescere e prosperare. (p. 9)
  • [...] la condizione delle umane cose è tale che non possono a lungo stare ferme e mantenersi, ma conviene avanzino o rovinino, secondo i fondamenti che loro furono posti. E questo effetto tanto più chiaramente si vede ne' principii, e nelle decadenze degli Stati, essendoché in quelli, per esser le forze ancor sane e piene di vita, conviene che mentre cercano di rassodarsi, congiungersi, stabilirsi vadano crescendo, laddove in queste, mancando agli Stati guasti e corrotti quel vigore, che quasi per vecchiezza venne meno, è necessario che dechinino, ed infine precipitino. Pertanto veggiamo i tempi più gloriosi delle nazioni essere verso il loro principii, e i meno felici quei prossimi al decadimento, tranne quelle che, se riguardi alla durata dell'Impero, sembrano antichissime, ma se consideri le forme interne, e gli esterni accrescimenti, vedi non solo fiorire di tranquilla vita, ma e andar crescendo ed acquistando nuovo vigore, a guisa di corpo, che deposte le infermità della fanciullezza, si fa prosperoso di vera sanità. (pp. 13-14)
  • [Vercelli] [...] passata da colonia a Municipio, prima che Torino ed Aosta, troviamo che gli storici la nominano con egual titolo di lode, che Milano e che uno de' migliori oratori di quel tempo, chiaro per facondia e festività d'ingegno , accetto agli imperatori Vitellio, Vespasiano e Domiziano era il vercellese Vibio Crispo; e se il tempo non ne avesse invidiate le eloquenti orazioni, avrebbe per avventura la superiore parte d'Italia chi contrapporre all'oratore d'Arpino, giacché l'averlo annoverato il severo Tacito tra' primi, e l'essere confermate le sue lodi dagli scrittori de' tempi, è chiaro argomento del merito di quel sommo. E qui pure fiorirono nobilissime famiglie, i cui nomi conservarono i marmi, i quali, se non come ora dispersi, ma per provvido consiglio ordinati fossero e in un sol luogo adunati, avrebbe la Città vostra un parlante argomento di gloria da additare a ' vicini, e manterrebbe vieppiù viva ne' suoi la memoria del suo antico splendore. (p. 15)
  • [...] Vercelli mena vanto che nel Vescovo Attone avesse uno de' primi luminari d'Italia, che qui si aprissero ospedali agl'infermi, che qui si attendesse allo studio de' canoni, che qui fra le mura de' chiostri si mantenessero in vita gli studi, che qui nella Biblioteca Eusebiana s'adunassero codici di sacre e profane lettere: prezioso tesoro che fece maravigliare l'Andres e il P. Bianchini, e trasse più volte a visitarlo i forestieri, e quel lume d'Italia Angelo Mai; che da un qualche monaco si recassero i morali d'Aristotele, e le Tulliane lettere a Lentulo, che avrebbe dopo qui discoperte primo il Petrarca; che qui con opere di scultura e di mosaico s'ornassero i templi. E i viventi i quali non senza dolore ricordano come nella memoria, de' padri loro il più splendido monumento dell'arti di que' tempi, fosse atterrato, mostrerebbero ora nella Basilica fondata da Costantino, restaurata da Teodelinda, consecrata da Eugenio III, celebrata pel Concilio di Leone IX, che anche in mezzo della ignoranza seppero gli antichi loro, e conservare le opere delle arti belle, e di non spregevoli ornamenti arricchirle. (pp. 17-18)
  • [...] quando penso e pongo mente alla sapienza de maggiori vostri, quasi mi sdegno a vedere che tanto bene non abbiano saputo colla concordia mantenere, e che essi medesimi guastassero dopo quello che poche ore innanzi aveano sayiamente ordinato; il che fu non dubbia cagione, perché la Città a maggiore grandezza non pervenisse, e che a guisa d'inferma viziata nelle interne sue parti, fosse costretta a languire. Perciocché se riguardiamo al modo del suo reggimento, e alla sapienza delle sue leggi, vediamo che due principalissimi intenti, donde la prosperità e la pace derivano, si proponeva; l'uno di rafforzarsi in la guisa da non temere de' forestieri, l'altro di mantenersi dentro tranquilla. (pp. 20-21)
  • Adunque per ciò che spetta ai diritti, e perché non fosse corrotta la giustizia, ordinarono che inviolabili fossero le vite de' Vercellesi; che la facoltà del far leggi non fosse in chi teneva il supremo potere; che il podestà, sempre forestiero acciocché non si movesse per affetto di parte, fosse esecutore, non giudice; che nel principio del suo governo giurasse di mantenere la pace, obbligato ad esser pronto di giorno e di notte alle richieste de' cittadini; che con eguale misura si ponessero le taglie a' castellani, a' nobili e a'cittadini; che i giudici non si eleggessero comunque , ma quei soli che i poveri, le vedove, e gli orfani avessero un giudice particolare che senza spesą rendesse loro ragione; che i beni degl'infermi e degli ospedali e i diritti loro da uffiziali del comune si curassero; che questi fossero privi d'uffizio se in qualche modo ricevessero doni, o si fossero posti alle mense dei cittadini, e che tutti al termine dell'uffizio loro si ponessero a sindacato. Il che era e saviamente ordinato e con grandissima parte di pubblico bene mantenuto; poiché dall'offesa giustizia nascono assai frequente que' turbamenti che tornano a danno comune, quando i privati non hanno modo di ristorarsi, e gli offenditori hanno speranza d'impunità. (pp. 26-27)
  • Ma queste leggi [suntuarie] che di tanta luce di sapienza risplendono, dove e al comune e a' privati opportunamente è provveduto, e che qual monumento di vera gloria, di cui potrebbe vantarsi qualunque delle italiane città, possono additarsi agli stranieri e ai vicini, sarebbero tuttavia rimaste imperfette nel conseguimento dell'effetto loro, se non avessero eziandio procurato che gli animi de' cittadini ingentilendosi per oneste ed utili discipline, smettessero alquanto di quella rozzezza ch'era effetto dei secoli precedenti, e a più facile e cittadinesco vivere s'adusassero. Videro questo i savi fattori delle leggi , e vi ripararono: ed in vero gode l'animo a leggere in quegli antichi statuti come colla vercellese università degli studi s'avvisassero di nobilitare la patria; nè lo saprei con più degne parole, se non se colle loro, rappresentare quanto illuminata carità di patria mostrassero. Imperciocchè non contenti che dalla sapienza de' padri loro si fosse aggiunta a questa Città la chiarezza e lo splendore delle lettere, ordinando che fossero quattordici cattedre, dove i professori dello studio di Padova leggessero il diritto civile e canonico, la fisica, la dialettica e la rettorica, vollero dopo, che per legge del comune fosse l'università mantenuta e conservata. «Perché niente, diceano, v'ha di più utile e bello, che applicar l'animo alla cognizione delle lettere e degli studi del diritto, della medicina, e di quelle arti e discipline per le quali gli uomini vengono in nobiltà, e i poveri arricchiscono; e perché le città e i luoghi ogni altro s'illustrano, e di buoni cittadini per varie guise s'accrescono, come per la stessa efficacissima esperienza de' fatti si manifesta; ed essendo ancora che le spese fatte pe’ dottori, e il denaro che loro si dà, e quello degli scolari rimane in città e spargesi fra cittadini; e che l'entrate e rendite del comune per essi aumentano e crescono, perciò è deliberato che inviolabilmente e perpetuamente si curi, che nella città di Vercelli, dove già fu ab antico, sia e sempre debba essere lo studio generale, e che a procurarlo sia strettamente obbligato qualunque Podestà, e che a spese del comune continuamente leggano i professori: e inoltre siavi chi di tutte le scienze abbia opere correttissime, per accomodarne tutti che vogliano leggere o rifarne esemplari.» Colle quali parole, ch'io volli riferire le stesse, voi ben vedete quale provvidenza mostrassero i maggiori vostri nel curare le utilità della patria, e qual diligenza nel procurare che in quell'avara penuria di libri, gli studiosi avessero facoltà di facilmente attendere agli studi, e comodità di facilmente percorrerli. Del che per avventura furono pochi esempi in Italia [...]. (pp. 28-30)
  • Queste furono le arti di pace con che la sapienza degli antichi Vercellesi fondò e mantenne quasi due secoli una università: istituzione e per sé lodevolissima, ma per rispetto de' tempi degna d'ogni maggiore lode, mentre che l'Italia appena risorta dalle tenebre vedeva alcun lume di lettere, e queste che altrove più per opera de privati, che per pubblica volontà rifiorivano, qui non solamente desideravansi, ma ricercavansi, non benignamente ricevute, ma cupidissimamente abbracciate, non di qualche grazia privilegiate, ma dal pubblico con denaro e con opera conservate e sostenute. Tanto era in quegli animi generosi l'amore del vero e del bello! Né potranno recarselo a male i convicini popoli subalpini, se colla scorta de' documenti certissimi della storia, io dico, che da Vercelli vide il Piemonte uscire primieramente quella luce che della passata infelicità l'ammoniva, e con migliori speranze avvisava di quanto sarebbe un giorno glorioso. (p. 31)

Epistolario[modifica]

Lettera del Bruzza a corrispondente non pervenuto, Roma, 27 settembre 1879

  • Gli ultimi sette giorni li passai stando quattro e cinque ore a cavallo ogni giorno per esplorare i villaggi anche sulle cime di monti altissimi. Dovunque trovai iscrizioni antiche da calcare. Io mi meraviglia di me stesso di essere divenuto cavallerizzo. E questo moto mi fece un gran bene ed ora mi trovo aver fatto una buona provvista di salute. È questa la medicina che mi conveniva ed ascrivo a un riguardo speciale alla Provvidenza che mi procurò l'occasione di potermene prevalere. Feci anche uno scavo dove trovai monete greche, figuline figurate, ed aes rude [...][2].


Lettera del Bruzza a Camillo Leone, Roma, 3 ottobre 1877

  • È stato ben fortunato a ritrovare una copia della Dissertazione sul Campanello, perché anche di questa ne sono rimasto senza. La moda che in seguito a quella dissertazione nacque fra le signore di portare un campanello, che in alcune città ed in Napoli fu grandissima, e dove ora si attacca alla catenella degli ombrelli, me ne fece richiedere da tutte le parti; ma avendone fatte tirare solo 100 copie, ne restai affatto sproveduto. Ne teneva alcune copie in riserva per darle a persone amiche e alle quali potesse importare per lo studio, ma che vuole?[3]


  • Nel tempo che io era in Piemonte vennero altre domande da fuori e i Padri miei di questa cosa non sapendo che quelle poche, erano quattro, fossero le ultime che io avessi le distribuirono e due di esse so che vennero a Torino ma non so a chi. Chi sa che una di queste non sia quella che toccò a Lei? Ne sarei contento. In tutta questa faccenda dei campanelli gli orefici fecero denari, un solo di Roma ne vendette tanti per otto mila lire, ed io non facendomi pagare da alcuno, e dando tutte le copie in regalo, vi giuntai una sommetta che se ora l'avessi non mi sarebbe discora[4].


Lettera del Bruzza a Camillo Leone, Roma, 2 ottobre 1878

  • Il Cav. Collobiano non mi ha ancora risposto, perché forse non ha ancora ritrovato in famiglia un oggetto antico assai curioso, che però non è uno specchio, che io vorrei dare in disegno, come il suo arnese campanellesco, nel Supplemento alle Iscrizioni di Vercelli. Gli ho scritto pure riguardo al museo, ma ancora non so quale effetto abbia avuta la mia lettera. A forza di pungere e di spingere arriveremo alla meta[5].


  • Caro Signor Leone importa assai che di tutti gli oggetti che ha, ne faccia un catalogo generale nel quale sia indicato il luogo dove furono trovati, o almeno dove gli ha comprati. Creda che col tempo è immensa l'utilità di questi cataloghi per la scienza[6].


  • Ella deve fare conoscenza col Sacerdote Casalone che è maestro in Seminario. Vi vada a nome mio e si faccia indicare i luogo preciso del bosco dei platani, dove è un gran deposito di figuline, la maggior parte scritte. Quando lo sappia, potrebbe mandarvi, come feci io, qualche ragazzo a frugare e vedrà quante ne avrà in poche volte. Visiti anche il luogo ove era, e forse dove è ancora, la fornace fuori di porta Casale. Quivi io ritrovai più di cento oggetti, specialmente lungo la sponda che è sopra il canale. Se ancora vi si fanno mattoni, ogni giorno, come a tempo mio, nel muovere la terra per impastarla, deve trovarsi qualche cosa. Vegli anche sul luogo che è prossimo alle Cascine Binelle, sulla strada di Trino, pecche di quivi uscivano molte cose [...]. Tanti saluti all'amico Caccianotti e mi abbia suo amico D. Luigi Bruzza B[7].


Lettera del Bruzza a Camillo Leone, Roma, 28 novembre 1878

  • Carissimo amico, sono proprio contento e pieno di giubilo vedendomi così bene servito da Lei. Ella ha fatto assai più di quello che domandava e bisognerebbe ch'Ella mi vedesse nel cuore per conoscere quanto le sia grato del favore che mi ha fatto, mandandomi i disegni e le notizie di ciascun pezzo di antichità. Io godo veramente di aver trovato in Lei un cooperatore ardentissimo per aiutarmi a fare onore a Vercelli [...] Nell'anfora con HISP le due lettere ch'Ella vi ha letto GF mi danno in uno un filo di molta importanza [...]. Il collo di quest'anfora vorrei darlo inciso, perciò ne ho bisogno di una copia che sia esattissima. Il miglior modo è che prenda un pezzo di carta vegetale o trasparente, e collocandolo su tutto il collo, passi sopra il lapis su tutte le lettere e segni anche sui più piccoli apici, affinché ne venga un fan simile esattissimo, da servire a suo tempo per l'incisore[8].


Lettera del Bruzza a Camillo Leone, Roma, 8 marzo 1880

  • Caro amico [...] la ringrazio delle belle notizie circa l'esito felicissimo della sottoscrizione al monumento del Caccianotti. Della intenzione che Ella e Tea hanno di onorarlo in altro modo, non ne ho parlato con nessuno, ed anzi è cosa ben curiosa che il Guala non mi parò affatto del nostro caro amico defunto. Penso spesso al suo museo e godo che fra poco sarà tutto collocato al suo posto dove cittadini e forestieri potranno ammirarlo. Così Vercelli avrà un nuovo ed importante ornamento. Anch'io sarei desideroso di vederlo, ma siamo troppo lontani. Tuttavia chi sa? Sono i monti che non s'incontrano [...]. Mi abbia semper per suo amico aff.mo D. Luigi Bruzza B.[9].


Lettera del Bruzza a Camillo Leone Roma, 5 febbraio 1879

  • Mio caro Signor Camillo [...] mi ha fatto grandissimo piacere il tronco di piramide in terracotta, con due buchi e con la lettera X, ma dove fu trovato? Generalmente si trovano nei sepolcri [...]. Fa molto bene a mandarmi tre o quattro calchi delle figuline; questa molteplicità mi ha fatto leggere nomi che non avrei letti sopra uno o due calchi. Ma debbo avvisarlo che nel fare i calchi insista di più sulle estremità che non sono sempre ben marcate. Del resto i suoi calchi riescono bene, e mi servono più di tutte le descrizioni, perché ho il monumento innanzi agli occhi. Io le raccomando di vigilare sugli scavi tutti che in occasione di fabbriche si fanno in città, come faceva io, perché fra le terre io trovai varie figuline, anse e fondi di vasi, che altrimenti sarebbero stati perduti. è una seccatura, ma bisogna prendersela, ed anche conviene fare amicizia con gli scavatori e istruirli mostrando loro qualche oggetto affinché imparino a conoscergli e a porvi attenzione. Quando avrò finito il lavoro le restituirò tutti i disegni che mi ha mandati [...][10].


Lettera del Bruzza ad un corrispondente non pervenuto, Roma, 30 gennaio 1879

  • [...] Ora pertanto intesi che a tre miglia e a mezzogiorno di Rovasenda, vicino alla cascina Colombier, in uno spazio di terra color nero, si trovarono con varie monete d'oro, circa 17, alcune ghiande missili di piombo. I contadini le raccolsero, le portarono la mercato, non so quale, ma non avendo trovato compratori, le gittarono via. Il ritrovamento di queste ghiande è prova certa di una battaglia quivi avvenuta, e questa non può essere che quella dei Cimbri[11].


  • Lo scavo di Palazzolo procede bene. Ho notizia settimanale di tutto quello che si scopre. Di lapidi nessuna finora, ma molti sono gli oggetti che si trovano, fra i quali ieri ebbi notizia di un piatto d'argento, di una figura con vari puttini intorno, pure d'argento, cose rarissime[12].


Lettera del Bruzza a Camillo Leone, Roma, 30 settembre 1882

  • Ho inteso del suo acquisto di cinquanta ghiande missili. Sarebbe cosa di molta importanza e degna di studio, ma tenendo per sicuro che le abbia acquistate da un negoziante dubito della loro sincerità, perché deve sapere che in questi anni se ne sono fatte migliaia di false e che furono sparse da per tutto[13].


  • In generale sappia che ora in Roma, in Firenze, in Napoli, vi sono fabbriche nelle quali si falsificano vetri, piombi, ossi, ori, argenti, ogni cosa, e che questi oggetti passano da un negoziante all'altro e qui si fanno con tanta perfezione, che vi restano ingannati anche i più esperti [...]. Qui i falsari, per meglio ingannare, si vestono da contadini e colle loro chiacchiere e bugie ingannano molti che non hanno pratica delle cose antiche [...]. Non so, se avendo ora settant'anni mi sarà dato di più rivedere Vercelli, alla quale penso ogni giorno, ma dalla quale ho delle rare notizie, anzi posso dire che so quasi nulla[14].


Lettera del Bruzza a Camillo Leone, Roma, 10 luglio 1878

  • Desiderando che in Vercelli si cominciasse a formare un nucleo pel museo patrio, consigliai che unita alla Biblioteca si facesse una vetrina ove si custodissero quei pochi oggetti che già ha il Municipio e quelli che a mano a mano venissero fuori[15].

Note[modifica]

  1. Da Sugli storici inediti Vercellesi. Ragionamento letto il giorno XII decembre nella solenne distribuzione dei premi agli allievi del Regio Collegio di San Cristoforo dal Padre D. Luigi Brezza barnabita, Tipi De-Gaudenzi, Vercelli, 1844, p. 33.
  2. Dall'epistolario bruzziano, Archivio Museo Leone, lettera originale
  3. Dall'epistolario bruzziano, Archivio Museo Leone, lettera originale
  4. Dall'epistolario bruzziano, Archivio Museo Leone, lettera originale
  5. Dall'epistolario bruzziano, Archivio Museo Leone, lettera originale
  6. Dall'epistolario bruzziano, Archivio Museo Leone, lettera originale
  7. Dall'epistolario bruzziano, Archivio Museo Leone, lettera originale
  8. Dall'epistolario bruzziano, Archivio Museo Leone, lettera originale
  9. Dall'epistolario bruzziano, Archivio Museo Leone, lettera originale
  10. Dall'epistolario bruzziano, Archivio Museo Leone, lettera originale
  11. Dall'epistolario bruzziano, Archivio Museo Leone, lettera originale
  12. Dall'epistolario bruzziano, Archivio Museo Leone, lettera originale
  13. Dall'epistolario bruzziano, Archivio Museo Leone, lettera originale
  14. Dall'epistolario bruzziano, Archivio Museo Leone, lettera originale
  15. Dall'epistolario bruzziano, Archivio Museo Leone, lettera originale

Bibliografia[modifica]

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