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Luigi Natoli

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Luigi Natoli (1857 – 1941), scrittore italiano conosciuto con lo pseudonimo di William Galt.

I Beati Paoli

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– La sera del 12 gennaio 1698, due ore prima dell'Avemaria, la Piazza del Palazzo Reale di Palermo si empiva di una folla immensa, ondeggiante, varia, che si accalcava dietro le file della fanteria spagnola, schierata fra i due bastioni costruiti dal cardinale Trivulzio e il monumento di re Filippo V. Perpendicolarmente alla linea dei soldati, e con le spalle al quartiere militare degli spagnoli, erano ordinati tre squadroni di cavalleria, gente estera raccogliticcia, che, per tradizione, si chiamava dei Borgognoni.
In uno spazio sufficiente lasciato sgombro dinanzi al monumento, sorgeva un palco di legno coperto riccamente di velluto cremisi e verde, e chiuso in cima da una finta balaustrata di legno inargentato, a chiaroscuro.
Il lungo loggiato della ringhiera di ferro, corrente, come esterno corridoio pensile, dinazi agli ampi finestroni del Palazzo Reale, era coperto di arazzi; e arazzi pendevano sul muro, fra un'apertura e l'altra, con effetto bellissimo.

Citazioni

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  • Coriolano, che aveva subito ripreso il dominio di sé, disse qualche complimento che ruppe il ghiaccio di quell'istante e avviò la conversazione. Egli però, come era sua abitudine, osservava, scrutava, analizzava e nulla poteva offrirgli tanta materia di studio, quanto quelle tre anime tormentate e costrette a celare la propria sofferenza.
  • Dalla venuta di Carlo V, nel 1535, fino allora nessuno dei re che si erano succeduti aveva mai posto piede nell'isola; nessuno era stato coronato nell'antico e nobile duomo, con la corona di Ruggero e Federico II: il regno si era sentito quasi mortificato dalla trascuratezza dei suoi monarchi lontani, ai quali pur mandava larghi e generosi donativi.
  • Ecco invece che Vittorio Amedeo rinnovava gli antichi fasti. Egli veniva a farsi coronare dal metropolitano di Palermo, nell'antica sede della monarchia più gloriosa d'Italia; veniva a ridare lustro all'antica reggia dove Federico II aveva accolto il fiore di ogni gentilezza e donde aveva quasi imposto la sua volontà all'Europa. Ce n'era abbastanza per destare palpiti e speranze in tutti, ed eccitare l'orgoglio cittadino dell'antica capitale.
    Tutta Palermo era in festa! Tutta Palermo si apparecchiava.
  • Era uno di quei tramonti in un cielo terso e luminoso, come si vedono soltanto a Palermo. Dietro monte Cuccio acuto e arido, il cielo pareva d'oro, ma su su diventava roseo e dalla parte opposta il roseo moriva in una dolce tinta viola. La punta piramidale di Porta Nuova pareva d'oro, d'oro le quattro torri della Cattedrale e i campanili; nell'aria e nella luce vi era come un tenue riflesso di quell'oro.
  • [Sulla Controversia liparitana] Il papa aveva lanciato l'interdetto, e v'era gran commozione nel clero e un gran turbamento nelle coscienze. E tutto ciò per un pugno di ceci! Ma già era un pretesto per la Curia di Roma, la quale non tollerava, e da lungo tempo, che la chiesa di Sicilia fosse quasi autonoma, per la bolla di Urbano II, che creava i re di Sicilia legati apostolici.
  • La strada di Mezzomonreale, che per oltre tre miglia corre diritta dalle falde del colle Caputo alla Porta Nuova di Palermo, era nel secolo XVIII per un buon tratto, dalla Porta fino al convento dei Cappuccini, fiancheggiata da grandi e ombrosi alberi, fattivi piantare da Marcantonio Colonna durante il suo viceregno. Alcune fontane, delle quali ancora ne avanza qualcuna, ornavano il largo viale, e dei sedili offrivano comodi riposi all'ombra. Di qua e di là, oltre i muri che fiancheggiavano la strada, oltre le case rare, si stendevano orti, prati e agrumeti, sorgevano ville magnifiche, qualche chiesa lanciava sopra il verde il suo campanile svettante, il vetusto e grigio palazzo della Cuba torreggiava, triste e solitario superstite di una grandezza scomparsa, ridotto a caserma di cavalleria. Questo stradale era in quei tempi una delle passeggiate favorite dai cittadini di Palermo, specie nelle ore vespertine e nelle prime ore notturne, nelle quali le ombre avvolgevano di mistero i convegni degli innamorati.
  • Sia per la lunga e aspra discordia con Roma, che turbò le coscienze, sia per il fiscalismo rigido degli agenti di governo, la Sicilia attraversò tale pericolo di strettezze da suscitare un vivo malcontento; tanto che qualcuno dal nome Victorius Amedeus fece l'anagramma Cor eius est avidum, e in un canto popolare il nome di Casa Savoia servì a rappresentare la devastazione e la desolazione: Pari ca cci passò Casa Savoia.
  • Vedrai che l'isola passerà all'imperatore e noi avremo fatto la guerra al Savoiardo per dare comodità al Germanico di pigliarsi la nostra bella isola. Da un padrone all'altro; sempre così.

Coriolano della Floresta

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– Spara! subito!...
La fucilata rimbombò nel silenzio della notte echeggiò tra le rocce della montagna che sorgeva nera e massiccia nella purezza del cielo, dolcemente soffuso del chiarore lunare.
Era una notte di settembre. La luna, alzata e piena, illuminava tutta quanta la chiostra delle montagne che recinge la Conca d'oro palermitana, gittava un velo argenteo su le chiome degli alberi, su le case e le ville sparse qua e là fra i colli, faceva biancheggiare i villaggi distesi sopra le colline, simili ad armenti in riposo.
La fucilata e le grida interruppero la gran pace notturna del paesaggio, che fra aranceti e campi si stendeva fino ai piedi del Monte Grifone.
Dai poderi vicini latrarono i cani: altri cani risposero da lontano per darsi la voce, simili a sentinelle sparse lungo la linea degli avamposti, in un campo di battaglia.
Dall'alto del muro che recingeva la Villa del Ricevitore, un uomo saltò giù e si diede a correre, zoppicando verso il folto di un aranceto, quasi per celarvisi. Poco dopo sulla cresta dello stesso muro apparvero le figure di due uomini, in maniche di camicia, e luccicarono le canne di due schioppi.

Citazioni

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  • I saraceni erano nella memoria del popolo di Sicilia un popolo vissuto in epoche che si perdevano nella notte di un passato senza limiti e al quale si attribuivano edifici, grotte, piantaggioni secolari, di cui il popolo non sapeva determinare l'origine.
  • Cesare non trovò da dire che tre parole:
    – Giovanna vi amo!
    Tre parole antiche quanto il mondo, che migliaia di milioni d'uomini avevano ripetuto in tutte le lingue, e che erano intanto sempre nuove, e vibravano sempre dello stesso suono, dello stesso calore, della stessa vivacità. Erano le parole della gran legge della vita, l'unica, l'eterna, la divina legge per cui tutto si rinnova e si perpetua dal bruco all'uomo; che è alitare di farfalle, canto di uccelli, ruggito di belve, sospiro e poesia dell'uomo, inno multisono di tutte le cose viventi che s'agitano sulla terra immensa.

Bibliografia

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  • William Galt, Coriolano della Floresta, Casa Editrice "La Madonnina", Milano 1949.
  • Luigi Natoli, I Beati Paoli. Grande romanzo storico siciliano, Palermo, Flaccovio Editore, 2003.

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