Maria Canins
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Maria Canins (1949 – vivente), ex fondista, ciclista su strada e mountain biker italiana.
Intervista di Marco Bonarrigo, corriere.it, 20 dicembre 2023.
- La prima volta a otto anni, sugli sci da discesa: inverno del 1957, mi sembra. Era una gara tra le scuole elementari della Val Badia: noi di La Villa contro Pedraces, Corvara e San Cassiano. Mi consegnarono una coppa luccicante, capii subito che dello sport mi piacevano due cose: fare di testa mia e vincere.
- [«Pioniera dello sport femminile italiano le piace, Maria?»] Sì, non per le vittorie ma perché ho convinto tante donne a fregarsene dai pregiudizi maschili in tempi in cui abbondavano. Non eravamo adatte a sport faticosi come lo sci di fondo o le maratone, non eravamo belle in bici. Ridicole in pantaloncini e maglietta, non avevamo gambe abbastanza potenti per scalare le montagne. Da ragazzina vivevo i pregiudizi comprensibili dei valligiani: lo sport era considerato una perdita di tempo perché le tue braccia servivano in malga o nei campi. Da adulta ho capito che esistevano anche fuori ed erano odiosi.
- [«Lei è mai stata discriminata?»] Non avrebbero osato: guardata con sufficienza sì, però, anche da molti colleghi maschi. Uno che mi ha sempre rispettata è Moser, nato come me in una famiglia di montanari dove la donna era al centro di tutto. Quando uscivamo in bicicletta Francesco cercava sempre di staccarmi e guardava con la coda dell'occhio se c'era riuscito. [«Ci riusciva?»] No.
- [«È stata la prima italiana a dominare nello sci di fondo»] Sono nata sugli sci quando non si usavano le motoslitte e le piste dovevamo batterle da sole. Ero leggera, forte in salita e con l'aiuto di mio marito sapevo preparare le scioline. Si guadagnava niente ma viaggiavo e vedevo il mondo. Ho vinto la Vasaloppet, la maratona più famosa del mondo senza quasi accorgermene. Alla fine dei 90 chilometri mi premiarono con una falciatrice ma siccome non ci stava nel bagagliaio dell'aereo la barattai con il set di coltelli svedesi del vincitore maschile. Bellissimi.
- In bici ero un'anarchica assoluta. Quando vedo le corse di oggi, i ciclisti che prendono ordini dalle radioline mi sento male. Al Tour del 1986 la tappa finiva sul Puy de Dôme, una delle salite più famose di Francia. C'era in fuga una mia compagna, in teoria avrei dovuto rimanere buona buona in gruppo. Ho resistito cinque minuti e poi sono andata a prenderla e a vincere. La squadra avrebbe dovuto cacciarmi!
- [«Lei si sente ladina?»] Al cento per cento. Parlo, penso e scrivo in ladino, una lingua che imparano anche i foresti per fare comunella con noi al bar. Noi ladini siamo strani: precisione austriaca, accoglienza e cuore italiano, un pizzico di follia che è tutta nostra.
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