Maria Rosaria Valentini
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Maria Rosaria Valentini (1963 – vivente), scrittrice e poetessa italiana.
Marco Vitale, insulaeuropea.eu, 24 aprile 2018.
- Sono nata in un piccolissimo centro della Val Comino che si chiama San Biagio Saracinisco e che quasi nessuno conosce. Ho frequentato lì le elementari e in seguito le medie ad Arpino: piccola cittadina invece ben nota per aver dato i natali a Cicerone. La mia infanzia si è nutrita di profumi e di sfumature suggeriti da una natura potente, selvatica a tratti. In quello spicchio di mondo mi sono per sempre innamorata di rami, radici, sassi, di dirupi e prati. E del silenzio, soprattutto. Ho poi continuato gli studi a Roma frequentando dapprima il liceo linguistico, poi la scuola per traduttori e infine l'università. Ritengo di essere stata davvero fortunata negli spostamenti poiché ho potuto vivere e fiutare lo spirito che anima comunità minute per poi confrontarle con Roma che trovo immensa, meravigliosa ovunque: nel profilo da cartolina come pure nella sua innegabile sciatteria. L'arrivo in Svizzera – francamente – è stato casuale. Dopo aver vinto una borsa di studio in storia dell'arte pensavo di poter andare in Germania, ma venni assegnata all'Università di Berna. Oggi abito a Lugano. Sono "una travasata". Forse proprio perché non vivo più in Italia (anche se il confine è a due passi) i paesaggi della mia infanzia e della mia giovinezza tornano con particolare spessore tra le mie pagine e al loro interno lievitano fino a suggerire anse, trafori, nuovi usci.
- La mia scrittura è diventata nel contempo sempre più concreta e sempre più astratta. Si costruisce per contrapposizioni. Da un lato tende a scarnificarsi e ad assottigliarsi, dall'altra reclama spazio e si dilata fiancheggiando talvolta approcci visionari. Dunque le parole diventano strumento di indagine per accostare parametri e contesti che a prima vista potrebbero risultare distanti o addirittura inconciliabili. La lingua italiana – nella sua generosità – mi concede movimenti ampi all'interno di aggettivazioni, metafore e descrizioni che disegnano il timbro delle mie narrazioni. Forse nella mia scrittura sono mutati gli argini, mentre il letto conserva le originarie ragioni del suo moto.
- Sono molto attratta dalle figure fragili, traballanti, rosicchiate dal dubbio. Da sempre vengo catturata da percorsi al margine. Le periferie mi abbagliano poiché da esse ci si muove alla ricerca di un centro. Molto più raramente accade il contrario: difficile che il centro si muova verso le periferie. Per questi motivi accolgo nel mio inchiostro esseri umani sradicati, costretti dalla sorte a identificare e stanare sé stessi, a inventare indizi e orme all'interno di geologie inattese, sorprendenti.
- Le prime idee di romanzo fermentano a lungo nei miei pensieri, poi trovano riparo in tanti piccoli taccuini sparsi un po' ovunque in casa. In una fase successiva passo alla stesura con utilizzo del computer. E dopo aver scritto, leggo e rileggo lavorando di sottrazione: lascio voce agli spazi bianchi, coltivo con passione il non detto. Mi dedico alla storia, ma soprattutto alla lingua che sempre mi sorprende per la sua duttilità, per le sonorità che sprigiona, per la bellezza che racchiude.
- Tra scrittura narrativa e poesia c'è commistione, i due campi si contaminano, si spiano e direi anche che si pedinano. La poesia è a mio avviso una sorta di perforazione che va a indagare le nostre intime terre al fine di ricondurre alla superficie bagliori di grazia. Nella narrativa, con andamento diverso, forse più ondulatorio che sussultorio, si va alla ricerca di alfabeti che possano aiutarci a decodificare le nostre impronte. Dunque, inevitabilmente, la poesia e la scrittura si incontrano, si osservano e talvolta convivono.
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