Mario Lega

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Mario Lega (1949 – vivente), pilota motociclistico italiano.

Citazioni di Mario Lega[modifica]

Citazioni in ordine temporale.

  • Stavamo disputando le prove del Bol d'Or [1979], sul circuito di Paul Ricard. Io scesi dalla moto e dissi che per me andava bene così, Vanes [Francini, il compagno di squadra] allora rispose che per lui non sarebbe stato necessario girare. Fui io a insistere perché facesse un paio di giri. Ci fu un tira e molla e alla fine riuscii a convincerlo. Francini entrò in pista e dopo un paio di giri, in pieno rettilineo, gli si ruppe il cerchio posteriore, forse per un difetto di fusione, e cadde paurosamente, rompendosi la clavicola, non potendo più così prendere parte alla gara. [«Fu la premessa di un weekend di gara decisamente sfortunato»] È vero. Si aggirava nel paddock un pilota, un certo Tost, tedesco che si era messo in mostra al Nurburgring. Fu lui a rimpiazzare Vanes. Al via, la moto non ne voleva sapere di partire e quando finalmente si accese gli altri erano già lontani. Riuscii ad arrivare alla fine del turno in rimonta, circa al ventiduesimo posto. Poi toccò a Tost. Quasi non ero ancora sceso che cadde. Fui richiamato e toccò quasi subito di nuovo a me. Per recuperare di nuovo feci "il corridore", cioè tralasciai le regole di guida misurata, tesa al risparmio delle energie mie e della moto, che erano da osservare nelle gare di durata e che io, essendo un "corridore", come estrazione, stavo assimilando. Poi si allentò una guarnizione del circuito idraulico dei freni. Mi fermai perché la leva arrivava ormai a toccare la manopola. Avevo girato per un turno e mezzo. Quando mi fermai, invece di mangiare mi riempii di liquidi, che nella notte fecero il loro effetto: cominciai ad avere agitazione di stomaco e mi portarono in infermeria. Mi misero una flebo e mi addormentai sul lettino. A svegliarmi venne Farné [Franco, il capomeccanico Ducati], che mi disse che Tost era al limite di guida consentito, che lo vedevano andare a destra e sinistra dalla stanchezza. Mi chiese come stavo. L'ago della flebo era andato fuori vena: avevo un braccio che sembrava quello di Braccio di Ferro, non stavo bene, però andai. Così ripresi a girare. Tost aveva perso molte posizioni e io mi rimboccai le maniche, pensando che, tutto sommato, mi sentivo sempre meglio, girando alla fine a due secondi dal mio tempo di riferimento. Questo finché non arrivai alle spalle di Sauro Pazzaglia, che procedeva lento lungo il percorso con il braccio alzato: aveva rotto. Come lo passai, mi arrivò l'odore dell'olio bruciato, mi si rivoltò lo stomaco! Mi fermai senza avvisare e non ce la feci a continuare. Morale: ci ritirammo. Me ne dissero di tutti i colori, dato che in una delle volte in cui non si rompeva la moto in una gara di 24 ore, mi ero rotto io e così mi presi pure della mezza pugnetta![1]

Intervista a Mario Lega, campione del mondo 1977 classe 250

Fabio Avossa, italiaonroad.it, 27 gennaio 2015.

  • [Sul motomondiale 1977, «[...] iniziasti la stagione da "semplice" privato poi un infortunio al pilota titolare, Pileri, ti portò in sella alla Morbidelli che poi tu stesso conducesti al titolo»] Paolo Pileri si infortunò a Salzburgring, con la Morbidelli 350, la gara successiva era a Imola e lo sponsor desiderava che la moto girasse almeno nella tappa italiana. Decisero di cercare un sostituto momentaneo per tre gare, dando così la possibilità a Pileri di guarire. Lo stesso Pileri fece il mio nome, e io, che ero senza moto accettai. Ricordo che Giancarlo mi raggiunse telefonicamente e mi chiese a bruciapelo se avessi voluto guidare le sue moto a Imola: io mi lasciai cadere in ginocchio e cominciai a balbettare che si, avrei anche potuto farlo. Esordii con due secondi posti (350 e 250); la gara successiva a Jarama in Spagna agguantai il 5º posto, mentre in Francia al Paul Richard mi classificai 4º. Finita la convalescenza di Pileri mi sarei dovuto fare da parte, ma la gara di Abbazia era così vicina che decisero di farmi fare pure quella. Quella la vinsi e balzai al comando della classifica mondiale: non si può lasciare a casa il capoclassifica così mi tennero fino alla fine, e Paolo si adoperò in mio favore senza che nessuno glielo chiedesse ufficialmente. Credo sia stato il più felice del mio risultato finale, dopo di me.
  • [«Delle varie moto che hai guidato nella tua vita, quali di queste ti hanno emozionato o ricordato un grande evento. Quale metteresti ai primi 3 posti e perché?»] La prima Yamaha TD2 che acquistai per esordire tra i professionisti nel 1972 mi diede grande emozione; appena arrivata salii subito in sella, sembrava fatta sulle mie misure, avevo il sangue in ebollizione già sul cavalletto. Il secondo posto spetta alla Morbidelli 250; quando la presi in mano a approcciai il comando del gas facendola salire di giri, ecco, la risposta del motore era rapidissima, mai provato una reazione simile con nessun altra moto, anche in quell'occasione dentro mi sentivo come quando si agita una Coca Cola e le bollicine vogliono far saltare il tappo... dai, dai quando si parte? Infine la Yamaha 750 con la quale partecipai solo ad alcune gare; litigai con la ruota anteriore che saltava come una capra facendo comunque registrare tempi competitivi, scoprimmo solo dopo diverso tempo di avere una gomma difettosa, ovalizzata. Una volta cambiato lo pneumatico il problema scomparve e i miei tempi migliorarono di un paio di secondi. Grande rammarico perché avrei potuto mettermi in mostra e partecipare alle gare della massima cilindrata, prolungando la mia carriera in modo diverso.
  • Di aneddoti ne ho svariati, però mi piace ricordare quello di Spa '77. Paolo Pileri era abituato, come me, a dormire prima della gara ma quel giorno, a pochi minuti dalla partenza, Paolo non si trovava. Stavamo già scaldando i motori quando il buon Paolo fece capolino dalla cabina del nostro furgone e con aria sorpresa disse: è già ora? Tutti si adoperarono per vestirlo e metterlo in sella più rapidamente possibile ma Paolo arrivò tardi e gli chiusero il cancello davanti al muso. Noi tutti partimmo per il giro di ricognizione e quando riaprirono il cancello Pileri entrò. Il direttore di gara fece "l'appello" e si accorse che Pileri non aveva fatto il warm up e gli intimò di uscire dallo schieramento. Paolo fece lo gnorri e non si spostò di un millimetro; intanto la procedura andava avanti, fuori i meccanici, 30 secondi, partiti! Al primo giro passando sul traguardo esposero la bandiera nera a Pileri, quindi aveva tre giri prima di fermarsi obbligatoriamente. Paolo, allora giocò d'astuzia. Io ero dietro a Villa e Katayama, Paolo si incollò alla mia ruota e nel punto più difficile, all'uscita di Malmedy un velocissimo curvone in salita, alzò il braccio segnalando che avrebbe rallentato per fermarsi, così facendo, però, fece perdere la scia dei battistrada a tutto il gruppo assicurandomi di fatto il terzo posto, cosa che si verificò puntualmente: quando si dice un compagno di squadra!
  • [«Vuoi esprimerci il tuo parere sulla differenza tra il motomondiale di 40 anni fa e quello attuale? Che evoluzione ha avuto?»] L'ambiente sembra peggiorato notevolmente, noi eravamo avversari in pista, ma più amici di ora fuori. Giocavamo a pallone, ci inventavamo scherzi e sfide di ogni tipo: divertimento puro. Tecnicamente. Di cavalli, quando le cilindrate erano le classiche erano raddoppiati, le gomme e i telai permettevano tempi inimmaginabili per noi, ora l'elettronica è l'altro elemento che fa la differenza. Si è perso un po' il concetto del pilota che riesce a domare i cavalli, invece l'elettronica permette anche ad un buon pilota di sembrare un fuoriclasse: tutto in nome della sicurezza.
  • [...] tutti dovrebbero poter correre in moto, non solo i ricchi o gli sponsorizzati. Ai miei tempi si comperava una moto usata e si iniziava a correre senza doversi svenare; si provava e se non funzionava si vendeva armi e bagagli e si faceva altro. Questo per dire che i costi sono talmente lievitati che un genitore per vedere se in casa ha un Valentino Rossi si deve indebitare fino al collo, senza avere certezze.

Citazioni non datate[modifica]

Intervista a Mario Lega

motoemozione.it.

[Sul Gran Premio motociclistico di Cecoslovacchia 1977]

  • Prima del titolo mondiale [1977] correvo grazie al gruppo storico di amici che mi supportava tecnicamente e in tutte le trasferte. In più c'era la scuderia DM che mi aveva preso sotto le sue ali ed ero come dire... un privato di lusso, non avevamo moto ufficiali ma non ci mancava niente, dalle trasferte ai pernottamenti negli hotel fino alla cucina. Posso dire che siamo stati i primi ad avere una sorta di hospitality in cui l'autista faceva anche da cuoco ed i giornalisti, che non si interessavano mai a noi perché non avevamo risultati eclatanti, a mezzogiorno ci venivamo a trovare e chiedevano "salve come va?" e si facevano allungare un piatto di pasta.
  • [«[...] arrivando terzo e conquistando così il titolo mondiale hai mandato a quel paese tutti. Fu un modo di sfogare la tensione [...] o c'era altro?»] [...] Il fatto principale è da ricondursi nella trasferta dalla Finlandia alla Cecoslovacchia che imponeva di attraversare il confine con la Germania dell'Est. Durante questo trasferimento il camionista si addormentò finendo con il furgone fuori strada [...]. Il terrore immediato fu per il padre di Bianchi che sfondò il vetro del camion e rotolò fuori facendo temere per una paralisi. Tieni presente che allora l'est era est, dovemmo far ricoverare il padre di Bianchi nel loro ospedale [...]. Constatato che [...] non era in pericolo serio, dovemmo [...] cercare un camion per caricare il nostro furgone e terminare il viaggio. Potete immaginare la difficoltà di far passare un camion tedesco con sopra un furgone italiano alla frontiera con la Cecoslovacchia. Quando dopo le interminabili operazioni arrivammo a Brno, in centro, il camionista ci disse che dovevamo scaricare il furgone in fretta [...]. Ma come scaricarlo? [...] Fu così che l'estro italiano emerse, il mio meccanico, Sergio Baroncini che [...] di professione faceva il soccorritore Aci, si ingegnò nel far rinculare il camion vicino ad un monumento scalinato e con delle assi facemmo scivolare il furgone su quella improvvisata rampa. [...] Ma quando aprimmo il furgone, era tutto a soqquadro. Le moto si erano distaccate dal supporto e si erano urtate tra loro, le leve avevano bucato i serbatoi e si erano rotte insieme alle carene. Presi dallo sconforto e dalla stanchezza decidemmo di andare a riposare, tutti tranne Sergio che durante la notte fece un mix tra le moto. Pileri diede la disponibilità ad usare i pezzi della sua moto per sostituire i miei pezzi disastrati. Fu così che alla mattina successiva ci presentammo alle qualifiche con una moto piena di bozze e assemblata alla bella e meglio. Era quella moto che doveva supportarmi per il titolo mondiale.
  • [...] a me bastava il terzo posto ed essere matematicamente campione con una gara d'anticipo. Per essere sicuro della tenuta del motore chiesi al team "mettiamo un pistone fresco" in quanto non avremmo in ogni caso potuto sostenere la trasferta all'ultima gara a Silverstone. I meccanici negarono l'esigenza, sostenendo che quello montato andava benissimo perchè aveva pochi chilometri. Io mi impuntai e lo feci sostituire, dopo pochi giri di qualifica il motore grippò. Per la gara dovetti partire con una moto che veniva da un grippaggio e la disistima di tutto il team. [...] mi preparai alla gara che mi avrebbe potuto dare il titolo mondiale con la consapevolezza che non potevo fallire in quanto era l'unica possibilità a disposizione perchè con la moto in quelle condizioni e senza furgone non avremmo potuto partecipare all'ultima trasferta.
  • Partito in testa dopo poco mi superarono Villa e Uncini, a me andava bene il terzo e non volevo forzare, però a metà gara Mick Grant mi sorpassò e da terzo campione del mondo virtuale mi trovai quarto non essendolo più. Per fortuna Grant ebbe una perdita dal serbatoio e si ritirò ed io tornai virtualmente campione. L'alternanza di emozioni era gravosa. Katayama mi stava inseguendo, guadagnava terreno su di me. Ricordo che c'era un punto, dopo una curva con delle balle di paglia, in cui mi giravo per controllare la situazione per vedere se arrivava [...]: prima non lo vedevo, poi vedovo la sua ruota, poi tutta la figura intera, ero spacciato! Alla fine anche Takazumi Katayama ruppe. Ora ero rilassato, tutti dal box mi dicevano di andar piano. Vado piano, vado piano... rispondevo muovendo il casco in un vistoso cenno di assenso. Forse troppo piano, perché Ballington, Fernandez e Tom Herron non stavano andando piano ma mi stavano venendo a prendere [...]. A quel punto le mani che prima mi dicevano piano piano, ora dicevano vai vai. Cambiare il ritmo durante in gara non è cosa facile, uno stress non da poco. Ma alla fine ce le feci: arrivai terzo con una ventina di metri su loro, ed ero campione del mondo, ma con tanta sofferenza. Quando tagliai il traguardo sbottai con l'italico gesto dicendo dentro di me: "ma... andate tutti a fare delle pugnette!". Sul podio ero serio come se l'avessi perso perché non riuscivo a togliermi questa tranche agonistica [...]. Solo durante la premiazione sul podio, il fido Baroncini mi disse "dai ridi... sei campione del mondo"... lì la bolla in cui ero rinchiuso scoppiò e sorrisi timidamente.

Note[modifica]

  1. Da un'intervista del 2010; citato in Andrea Tessieri, Mario Lega e le prove di endurance in sella alla Ducati 900 SS, cuoredesmo.com, 19 dicembre 2020.

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