Michele Barbi
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Michele Barbi (1867 – 1941), filologo e letterato italiano.
Citazioni di Michele Barbi
[modifica]- [Su Vincenzo Borghini, filologo del Cinquecento] Egli era veramente tal persona che, solo forse nel Cinquecento, poteva darci della Commedia una lezione fedele, quanto era possibile; grande perizia della lingua antica, appresa non su i testi dei maggiori trecentisti guastati dall'imperizia e dall'arbitrio degli editori, ma su molte altre più oscure e più fedeli scritture, che diligentemente andava togliendo alla polvere delle librerie e degli archivi; diligenza rarissima nel confronto dei codici, per cui s'induceva a notare fin le più piccole varianti grafiche; conoscenza delle cause, per cui tanto guasto avevano sofferto i testi; bontà e sicurezza di criteri per procedere nella loro correzione. (citato da Luigi Russo, in La critica letteraria contemporanea, (Michele Barbi e la nuova filologia. Il Barbi filologo nato), Sansoni, 1967, p. 51)
- Questa gloria [di Dante nel Cinquecento] non fu però senza contrasti. La eccessiva affezione di alcuni, avendo per innalzar Dante (e i confronti son sempre odiosi) abbassato altri nobili poeti, fece sorgere contro di lui molte accuse: il restauratore stesso della volgare letteratura; il Bembo, lo ebbe in disdegno, e, preso dalla bella veste esteriore del Canzoniere, gli preferì il Petrarca; i seguaci esagerarono e passarono apertamente al biasimo dell'uno, all'idolatria dell'altro (da Della fortuna di Dante nel secolo XVI, Tipografia T. Nistri e C., Pisa, 1890, p. 3)
Poesia popolare italiana
[modifica]- La storia della poesia popolare non è la storia della canzone epico-lirica e dello strambotto villeresco soltanto: è popolare tutto ciò che il popolo fa suo nelle forme da lui via via accettate e preferite. Ci sono forme più e meno popolari, ci sono canti che rimangono più a lungo e canti che rimangono meno a lungo nella tradizione; ma ciascuna di quelle forme, e ciascuno di quei canti, per quel grado di popolarità che ha avuto, ha diritto d'entrare in una storia della poesia popolare. (da Per la storia della poesia popolare, pp. 36-37)
- Questo fatto della medesima materia che si tramanda, trasforma e rinnova da più secoli mostra quanto sia lontana dal vero l'opinione di chi considera come forma genuina del canto popolare italiano solo quella che appare nei primi secoli, tanto da rappresentare la poesia nostra popolare come un fiume in cui le acque si siano venute a poco a poco intorbidando per infiltramenti e inquinamenti e scaturigini nuove. Non è la poesia popolare italiana un fiume limpido prima e torbido poi: è un fiume che ci nasconde il suo capo (una letteratura popolare, come una nazione, non si può dire che cominci a un dato momento, e da sé), giunge chiaro in terreno italiano, e tale si conserva nel suo corso, pur acquistando, e perdendo acque continuamente; né si vede la sua foce. (da Per la storia della poesia popolare, pp. 43-45)
- Si può ricercare la forma primitiva di un dato canto, ma non la forma primitiva e genuina della poesia popolare che, nel suo complesso, va considerata come un essere in perpetuo stato di trasmutazione. Inquinamenti ci possono essere, ma non nella poesia popolare, sì bene nelle raccolte, e sono le contraffazioni, ossia, per meglio spiegarci, il dare come vivente nella tradizione quello che non è tale, come raccolto dalla viva voce quello che nella tradizione orale non è mai entrato, o non vi è rimasto tanto da produrre qualsiasi elaborazione da parte del popolo (quanti ce ne sono di siffatti canti nella 'raccolta amplissima' del Vigo?); ma la poesia che si canta da un intero popolo, che non conosce limiti né di luoghi né di anni, può avere acquisti nuovi, e anche, se si vuole, infiltramenti, ma inquinamenti no: è un fiume che, come abbiam detto, scorre limpido sempre. (da Per la storia della poesia popolare, pp. 45-46)
Bibliografia
[modifica]- Michele Barbi, Poesia popolare italiana, Sansoni, 1967.
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