↑Citato in Zenobio, I, 4. «Un certo Lussuone fu ricco e condusse una vita agiata. Il nome tuttavia può anche derivare dall'aggettivo "lussuoso"», scrive Zenobio.
↑Citato in Zenobio, I, 1. «Si racconta che gli abitanti di Abido avessero l'abitudine, dopo il pasto e le libagioni, di condurre i loro fanciulli con le nutrici dai convitati, e che questi provassero molto fastidio per le urla dei piccoli ed il clamore delle nutrici. Si spiega il proverbio anche in riferimento all'abitudine di calunniare gli ospiti da parte degli Abideni; proprio in virtù di ciò Aristofane chiamò il delatore "Abideggiante"», scrive Zenobio. Il dopopranzo era costituito da mandorle, noci o dolcetti (p. 369); la seconda spiegazione, secondo Lelli, è da riferirsi ad un ipotetico proverbio "Sei un Abideno" o "Non fare come Abido" caduto nella trasmissione (p. 369).
↑Citato in Zenobio, I, 2. «Quella dolce, né dura né molle, ma equilibrata ed estremamente piacevole», scrive Zenobio. L'Agatone in questione fu un tragediografo amico di Euripide e Platone, spesso preso in giro da Aristofane per la sua effeminatezza (p. 369).
↑Citato in Zenobio, I, 6. «Narrano infatti che Agamennone scavò pozzi in Aulide e in molti luoghi della Grecia», scrive Zenobio. Il proverbio potrebbe ricollegarsi alla tradizionale siccità dell'Argolide, regione di Agamennone (p. 370).
↑Citato in Zenobio, I, 13. «A Troia, infatti, mentre Agamennone stava per sacrificarlo un bue fuggì e a fatica, dopo essere stato catturato, venne ricondotto nel luogo del sacrificio», scrive Zenobio. Dato che l'episodio non è attestato altrove, secondo Lelli potrebbe essere un'invenzione degli esegeti; è possibile che l'espressione si riferisse al ben più noto sacrificio di Ifigenia, figlia di Agamennone (p. 371).
↑Citato in Zenobio, I, 7. «In Attica vi è una famosa pietra, sulla quale Demetra si sedette, quando cercava la figlia; Plutone infatti, innamorato di Persefone, la rapì di nascosto. Demetra allora andava in giro per ogni dove con le torce, di notte e di giorno, cercando per tutta la terra. Essendo venuta a sapere da Ermione che Plutone l'aveva rapita, adirandosi con gli dèi, abbandonò il cielo ed assunte le sembianze di una donna giunse ad Eleusi; lì si sedette su una pietra chiamata da lei "che non ride"», scrive Zenobio.
↑Citato in Zenobio, I, 5. «I Cercopi furono dei bricconi, che tentarono di ingannare Zeus», scrive Zenobio. Per il valore nell'antica Atene, vedi p. 370.
↑Citato in Zenobio, I, 18. Zenobio descrive il mito di Admeto; il canto indicato nel proverbio è quello funebre intonato da coloro che si trovavano presso Admeto dopo che sua moglie Alcesti aveva deciso di morire al suo posto. L'espressione è oggetto di diverse interpretazioni nelle altre fonti (pp. 371-372).
↑Citato in Zenobio, I, 45. «Tellene infatti, auleta e autore di canti, lasciò motteggi davvero ben armoniosi e divertenti e battute estremamente spiritose», scrive Zenobio. I παίγνια erano versi leggeri e frizzati cantati solitamente nei simposi dell'età classica (p. 377).
↑Citato in Zenobio, I, 20. «Infatti gli scarabei facendole rotolare fanno sparire le uova dell'aquila, poiché le aquile catturano gli scarabei», scrive Zenobio. Il proverbio può essere accostato alla favola L'aquila e lo scarabeo di Esopo (p. 372).
↑Citato in Zenobio, I, 37. «Ibico infatti mentre veniva ucciso da alcuni briganti invocò come testimoni, vedendole, delle gru che volavano sopra di lui. Passato del tempo quei briganti, scorgendo nel teatro alcune gru che volavano, dicevano tra di loro "Le gru di Ibico". E in seguito a questo vennero catturati e furono puniti», scrive Zenobio.
↑Citato in Zenobio, I, 43. «Aiace infatti, preso dal delirio e divenuto pazzo poiché Odisseo gli era stato preferito nell'assegnazione delle armi di Achille, decise di scagliarsi armato contro i Grecia; ma, volto per volere divino contro animali da pascolo, uccise le bestie pensando che fossero gli Achei. Afferrati due grandi arieti pensando che fossero Agamennone e Menelao, dopo averli legati, li frustò e rise, preso dalla follia. Poi, tornato in sé, si uccise», scrive Zenobio.
↑Citato in Zenobio, I, 48. «Infatti gli abitanti di Egio, che in Acaia avevano vinto gli Etoli, chiesero alla Pizia chi fossero i più forti dei Greci, e quella rispose: "Voi abitanti di Egio né terzi né quarti"», scrive Zenobio. Egio era identificata con la città achea di Egie da Mnasea nel Sugli oracoli, mentre secondo altre fonti si trattava di Megara; l'oracolo, che elencava anche le virtù di altre città greche, risale certamente all'età arcaica, ma i fatti menzionati da Zenobio sembrano essere successivi (p. 377).
↑Citato in Zenobio, I, 51. «Poiché le cicale di Acanto non cantano», scrive Zenobio. Acanto può riferirsi sia alla città di Acanto in Calcidica, sia ad una particolare specie di cicale, sia alla convinzione che le cicale posate su rovi o piante spinose non riuscissero a cantare (p. 378).
↑Citato in Zenobio, I, 49. «Questi "giardini di Adone", seminati in vasi di coccio, sono fatti crescere solo fino a che l'erba è verde; ma poi sono colti e gettati nel fiume, a imitazione della morte del dio», scrive Zenobio. Questa usanza era diffusa ad Atene: le donne piantavano delle piante di breve durata nei vasi, a simboleggiare la breve vita del dio, , e quando appassivano le gettavano in mare (pp. 377-378).
↑Citato in Zenobio, I, 56. «Costoro infatti realizzarono per primi il peplo di Atena Poliade: Acesio era di Patara ed Elicone di Caristo», scrive Zenobio. Le fonti discordano sul luogo di nascita dei due tessitori (p. 380).
↑Citato in Zenobio, I, 52. «Aristofane nei tetrametri lo riporta dicendo "Acesia gli ha curato il sedere". Acesia infatti fu un medico incapace, che curò in modo sbagliato il piede di un malato», scrive Zenobio. Acesia può essere inteso come "nome parlante" nel senso di "colui che guarisce", quindi come personaggio fittizio inventato dai comici o dall'immaginazione popolare, oppure come nome di un medico realmente esistito, visto che spesso i medici avevano "nomi parlanti"; l'Aristofane citato è probabilmente il commediografo ateniese, il fatto che la parodia non sia in tetrametri sembra dovuto ad una corruzione del testo (pp. 378-379).
↑ abCitato in Zenobio, I, 21. «Per una vita agevole, a portata di mano, che non affatica», scrive Zenobio. L'interpretazione della Suda vede nel riferimento al pane una contrapposizione coll'età primitiva in cui l'uomo, non avendo ancora questo alimento, si cibava di ghiande; sembra però più probabile l'interpretazione di "vita facilitata", sul modello del proverbio italiano "avere la pappa pronta" (p. 372).
↑Citato in Zenobio, I, 79. «Infatti gli abitanti di Libetria sono una popolazione della Pieria, che non ha cognizione né di semplici canti né di opera poetica. Si dice che fossero davvero molto rozzi, poiché presso di loro aveva trovato la morte Orfeo», scrive Zenobio.
↑Citato in Zenobio, I, 99. «Perché il vento genera ed accresce ogni cosa, ma non frutta nulla, o dà in cambio solo polvere», scrive Zenobio.
↑Citato in Orazio, Satire, II, 3, 83; 166; Ovidio, Epistulae ex Ponto, IV, 3, 53; Giovenale, Satire, XIII, 97.
↑Citato in Zenobio, I, 94. «Infatti si dice che le cicogne assistano i genitori invecchiati, e che li portino sul dorso quando non possono più volare», scrive Zenobio. Questo comportamento della cicogna è citato anche in varie opere scientifiche e da Aristofane, che vi aveva costruito un'intera commedia dal titolo Le cicogne, di cui restano alcuni frammenti; fecero riferimento a questo comportamento anche una legge di Solone riguardante l'obbligo per i figli di mantenere i genitori anziani indigenti, un'analoga legge romana detta lex ciconiaria, il frontone del tempio della Pietas nel Foro olitorio, dove erano rappresentate due cicogne, e alcune monete romane in cui questo animale viene paragonato ad Enea che porta sulle spalle Anchise; l'esempio della cicogna fu ripreso anche dai cristiani (p. 385).
↑Citato in Zenobio, I, 32. «Poiché Sciro è rocciosa e sterile», scrive Zenobio.
↑Citato in Zenobio, I, 40. «Deriva metaforicamente da chi compie riti sacri. Infatti c'era consuetudine di fare ad Estia le prime offerte del sacrificio», scrive Zenobio. Essendo attestata anche la consuetudine di fare le prime offerte a Zeus, era attestata anche l'espressione "ἐκ Διὸς ἀρχώμεθα", "cominciamo da Zeus" (p. 376).