Niccolò Niccoli

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Manoscritto del Niccoli

Niccolò Niccoli (1365 – 1437), letterato e umanista italiano.

Citazioni di Niccolò Niccoli[modifica]

  • La virtù che ha in sé i mezzi sufficienti per una vita buona e felice, non ha bisogno di nulla, perché è cosa perfetta e in sé compiuta, e nulla cerca fuori di sé per la sua perfezione, e nulla può esserle aggiunto che la renda più virtuosa.[1]

Citazioni su Niccolò Niccoli[modifica]

  • Circondato di cose belle che gli venivano da ogni parte, assorto nei suoi studi, aveva cercato di fare della sua vita un capolavoro d'armonia in quella Firenze, ove tutto sembrava farsi seguendo un'ispirazione estetica, e dove i cancellieri dello stato si sceglievano, non guardando alla loro perizia tecnica, ma alla loro «umanità». (Eugenio Garin)
  • Quando era a tavola, mangiava sempre in vasi antichi bellissimi, e così tutta la sua tavola era piena di vasi di porcellana, o d'altri ornatissimi vasi [...]. A vederlo in tavola, così antico com'era, era una gentilezza. (Vespasiano da Bisticci)
  • Quel Niccoli, lingua feroce e spirito bizzarro, che pur non si può aver sempre sotto gli occhi, quando si pensa all'Umanesimo, nello squisito ritratto lasciato da Vespasiano da Bisticci: «elegantissimo, vestito sempre di bellissimi panni rosati». (Eugenio Garin)

Eugène Müntz[modifica]

  • Curiosa e attraente figura è Niccolò Niccoli, il primo dei Fiorentini che si sia dato alla dolce mania delle collezioni. Acre censore e amico devoto insieme, severo fino all'eccesso ne' giudizi che dava de' contemporanei, e sempre pronto a far loro piacere, destro ad esercitare con le amicizie e i colloquii una efficacia più grande che non gli altri con le scritture, intento a raccogliere e ordinare contemporaneamente e con ardore insuperato serie di manoscritti e serie di epigrafi, serie di gemme e serie di medaglie, il Niccoli è stato uno de' fattori essenziali del gran movimento che stava per trasformare Firenze e l'Italia tutta.
  • Il vestire era per lui un'occupazione grave quanto il raccogliere libri e studiarli: e ogni volta che si poneva in viaggio, affidava all'amico Ambrogio Traversari[2], uomo grande e famoso che fu poi generale dell'ordine dei Camaldolesi, la cura di vigilare sulla buona conservazione delle vesti che lasciava a casa. Né il Traversari, come provano parecchie sue lettere, tralasciò mai di compiere degnamente un ufficio di tanta importanza.
  • L'amore per la scienza non era in lui pari che al disinteresse. Allo scrupolo dell'ordine minuzioso che poneva nel classificare le sue raccolte, faceva riscontro una trascuraggine assoluta pel danaro. E sebbene fosse intimo dei Medici, non sapeva che cosa fosse l'ambizione; a tal segno, che nella città sua, sconvolta da passioni politiche, ebbe la forza di fare della propria casa un convegno neutro, deve le parti si potevano incontrare senza ostilità. Perfino il suo aspetto, d'omettino vivace, pronto a far piaceri e ad adirarsi, era singolare; tanto più perché, sempre ben vestito, prediligeva i colori vistosi, ed era facile riconoscerlo da lontano per l'abito color di rosa che gli strascicava sul suolo.

Note[modifica]

  1. Da De nobilitate, citato in Eugenio Garin, Storia della filosofia italiana, terza ed., Edizione CDE su licenza della Giulio Einaudi editore, Milano, 1989, vol. 1, p. 303.
  2. Conosciuto anche come Ambrogio Camaldolese (1386 – 1439), presbitero, teologo ed umanista italiano; venerato come beato dalla Chiesa cattolica.

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