Nino Haratischwili
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Nino Haratischwili (1983 – vivente), scrittrice e drammaturga tedesca di origine georgiana.
Citazioni di Nino Haratischwili
[modifica]Intervista di Alessandro Zaccuri, avvenire.it, 10 settembre 2020.
- [«L'arte può portare al perdono?»] Forse, anche se resto dell'idea che non sia tanto semplice. Se veramente l'arte avesse proprietà terapeutiche, l'umanità avrebbe già smesso di farsi la guerra o, almeno, avrebbe imparato di più dalla storia. L'arte può invece costruire legami tra le persone, suggerire un'altra visuale, favorire la comprensione reciproca e in questo modo, sì, mettere un po' di pace con il passato.
- A differenza di quanto è accaduto in Germania, per esempio, in Georgia non si sono mai fatti i conti con il passato, non lo si è analizzato come sarebbe stato necessario. Negli ultimi trent’anni il Paese è stato troppo impegnato nella sopravvivenza tra una crisi e l’altra. Di sicuro, in un clima tanto fallimentare, la memoria storica non è considerata una priorità. Oggi i giovani sono decisamente critici verso l’era sovietica e numerosi artisti dedicano la loro attenzione a quel periodo, ma nell’opinione pubblica resta ancora molto da fare. Basti pensare al fatto che l’allestimento del museo dedicato a Stalin è rimasto immutato dagli anni Cinquanta a oggi.
- Considero un grande dono questa opportunità di frequentare altre lingue e altre culture, fino a renderle mie. In Georgia c'è un detto in proposito: più lingue parli, più persone puoi essere. Ed è proprio così, il passaggio da una lingua all'altra offre davvero prospettive inattese.
Intervista di Eleonora Barbieri, ilgiornale.it, 15 settembre 2023.
- [«Nino Haratischwili, da dove ha tratto ispirazione per La luce che manca?»] Non ho avuto bisogno di ispirazione: racconto della mia giovinezza e della mia infanzia. Benché non si tratti di autofiction, e i personaggi siano inventati, è la mia esperienza: è il periodo in cui sono cresciuta, un'epoca molto significativa, e molto oscura, nella storia della Georgia.
- È difficile spiegare quell'epoca, così politica e caotica insieme, ai lettori occidentali: è stata la fine di un'era, il crollo dell'Urss, della sua società e dei suoi valori. Nel Paese abbiamo vissuto una crisi enorme, durata oltre dieci anni. Ma, per raccontare tutto questo e come ci si sia arrivati, è necessario anche andare indietro nel tempo.
- [Sul massacro di Tbilisi] Già alla fine degli anni '80 erano iniziate proteste e rivolte, come in altri Paesi dell'area sovietica. Poi è avvenuto il massacro del 9 aprile '89, in cui ventuno persone sono state uccise: per noi, in Georgia, è il giorno del dolore. Ma il sangue e le violenze non si sono fermate, anzi, sono proseguite: ingenuamente, noi pensavamo che con l'indipendenza i nostri problemi sarebbero stati risolti, mentre è stato proprio dopo l'indipendenza che ne sono cominciati di nuovi.
- Tutto, nell'Unione sovietica, era una bugia. Era una dittatura, un regime crudele, in cui le persone erano oppresse e nessuno viveva la vita che voleva davvero vivere; e, nel contempo, si fingeva che fossimo tutti fratelli e sorelle e fossimo tutti felici, mentre nessuno lo era. Gli ideali e i valori sostenuti dalla Rivoluzione sono stati tutti traditi e milioni di persone sono morte: è stato un regime non meno sanguinario di quello nazista. Anche se la percezione dell'Occidente è spesso diversa, ma chi vuole sapere...
- Restano molti problemi, su tutti la relazione con la Russia, molto problematica, visto che il venti per cento del territorio georgiano è ancora occupato. Però la nuova generazione, nata nell'indipendenza, è più aperta mentalmente, più europea e più consapevole della società civile: una parola, quest'ultima, che non esisteva nemmeno nell'Urss, perché non esisteva l'idea che si potesse volere qualcosa per sé o che si potesse condurre una vita propria, al di fuori del partito.
- [«Perché quattro amiche come protagoniste?»] Per me era importante scrivere di un'amicizia femminile: all'epoca il sistema era molto patriarcale e violento ma, se siamo sopravvissuti a quel grande caos, è stato soprattutto grazie alle donne. E poi volevo raccontare la Storia da una prospettiva molto personale: attraversare la storia di queste donne per mostrare come l'essere testimoni degli eventi e gli eventi stessi ci plasmino.
- Tutti concordiamo sul fatto che [la libertà] sia uno dei beni più preziosi, soprattutto ora che c'è una guerra nel cuore dell'Europa. Ma, in certi luoghi, le persone sono ancora costrette a pagare un prezzo molto alto per la libertà: e questo è ancora ben chiaro sotto i nostri occhi in Georgia. Quanto la libertà sia importante è dimostrato dalla minaccia della Russia, che è reale.
Intervista di Martina Napolitano, balcanicaucaso.org, 19 settembre 2023.
- Ho iniziato a imparare il tedesco molto presto, durante la scuola a Tbilisi. In città frequentavo un gruppo teatrale dove molti insegnanti erano di madrelingua tedesca, venivano dalla Germania, dalla Svizzera e dall’Austria. Venivano organizzati degli scambi di studio e un gruppo teatrale di Brema venne a Tbilisi; mi incoraggiarono a scrivere una mia prima opera teatrale in tedesco. Così è iniziato tutto.
- Un bel giorno mi sono resa conto che non avevo scritto in georgiano per anni e ho avuto paura. È chiaro che parlo georgiano, vado spesso in Georgia, parlo con i miei figli in georgiano e così via, ma la scrittura è per me del tutto legata alla lingua tedesca.
- Ogni tanto mi viene in mente che dovrei spiegare qualcosa un poco di più al lettore. Tuttavia, mi fido molto dei lettori e della loro intelligenza. Oggi è così semplice, puoi cercare tutto su Google. Spesso poi credo che risulti comprensibile dal contesto. Per me è lo stesso quando leggo libri legati ad altre culture e paesi: non capisco forse tutto, ma se ho un dubbio posso cercare online o farmi un’idea dal contesto generale.
- Nel mio libro precedente, L’ottava vita, si parla molto della storia della Georgia; si tratta di una saga famigliare che si dipana nel corso di un secolo. All’inizio non prevedevo di scrivere di un intero secolo, ma poi mentre scrivevo mi accorgevo che i lettori occidentali non avrebbero capito se non fossi andata indietro nel tempo e se non avessi spiegato di più.
- Nel caso de La luce che manca ho pensato che se a qualche lettore non risulterà chiaro qualche elemento storico relativo agli anni Novanta potrà cercarlo su Google. Per questo non mi sono preoccupata molto della possibile ricezione del libro.
- Nel caso de L’ottava vita so che molti lettori poi sono voluti andare a fare un viaggio in Georgia e questo mi rende felice, chiaramente; tuttavia, non so sinceramente se qualcuno dopo aver letto La luce che manca avrà voglia di andare in Georgia.
- Mi sono arrivate molte lettere [dai lettori georgiani], le persone mi scrivono sui social media o tramite l’editore. I lettori prendono il libro molto sul personale, soprattutto le generazioni nate tra gli anni Sessanta e Ottanta per le quali gli anni Novanta sono legati all’infanzia e giovinezza, periodi intensi della loro vita in cui hanno dovuto pagare un prezzo molto alto, specialmente quelli nati negli anni Settanta. Tutti hanno memorie vivide di quel periodo. Molti mi hanno detto che il libro ha risvegliato dei ricordi sopiti.
- C’è stato un periodo in cui leggevo libri georgiani e pensavo: “Ma che diavolo! Questi autori cercano di adattarsi al mercato occidentale, scrivono cose che non sono autentiche, si sente che è tutto molto artificiale”. Per me non è un buon libro quando si sente che l’autore parla di cose che non lo toccano direttamente, ma scrive così perché pensa di vendere meglio. Mi pare che questa tendenza ora stia cambiando.
- Ora la situazione politica in Georgia è tremenda, ma dopotutto è la norma nella storia georgiana: si fanno due passi avanti e poi tre indietro. Ora abbiamo fatto di nuovo quei tre passi indietro, ma spero che a breve si torni a fare quei due passi avanti.
- Io come persona direi che sono georgiana, molto georgiana, perché più vivo in Germania più divento georgiana, è molto curioso ma è così; chiaramente, però, mi sento a casa nella lingua tedesca.
Intervista di Francesco Mannoni, cdt.ch, 24 novembre 2024.
- I russi hanno ancora un approccio imperialista e colonialista identico a quello del passato. E loro si sentono come investiti da una carica che li pone in cima ad ogni tipo di potere. Molti russi, ad esempio, sono convinti che l’Ucraina sia russa e che la Georgia sia un posto dove possono venire ancora da padroni come hanno fatto durante le guerre cecene occupando il 20% del nostro territorio.
- [Su Jurij Budanov] Rimasi scioccata nel leggere del comportamento di un generale con una ragazza cecena. Era il potere espresso con l’arroganza di sempre, il predatore che agguantava le sue vittime con una voracità innata e una totale indifferenza per il dolore e le sofferenze altrui. [...] Fu un caso piuttosto scandaloso, ma non incise più di tanto. Forse la gente aveva già fatto il callo alle crudeltà degli occupanti considerando anche il fatto che a metà degli anni Novanta in Russia regnava un’anarchia totale. Il terrorismo islamico cominciava a prendere forma, il concetto di nemico era ancora vago e quindi abbastanza facile da manipolare. Il Generale, che aveva combattuto nella prima guerra cecena, - ma nel 1995 si era autosospeso dal servizio militare -, da tempo possedeva aziende e immobili in Occidente, anche in Germania, dov’era a capo di diversi progetti edilizi. Ormai era un oligarca a tutti gli effetti, un potente che con il denaro poteva esercitare condizionamenti.
- [Sull'operazione Lentil] Già nel 1944 mezzo milione di ceceni furono deportati in Kazakistan e sono potuti tornare solo dopo la morte di Stalin. I russi si sono presi ciò che era dei ceceni, si sono insediati, ci hanno fatto credere fossero gente di seconda categoria, e i ceceni pur essendo un popolo di guerrieri ci hanno messo un po’ prima di capire che questa condizione era insopportabile.
- [...] ogni passo che facciamo verso il progresso sembra debba essere ripagato con tre passi indietro. Però c’è ancora speranza soprattutto se guardo ai giovani, alle dimostrazioni che ci sono nel Paese al desiderio molto forte per andare verso il futuro e non ripiombare nel passato.
Note
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