Patrizia Zappa Mulas

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Patrizia Zappa Mulas (1956 – vivente), attrice e scrittrice italiana.

La Vita e la Forma

Intervista di Giulia Tellini, drammaturgia.fupress.net, 24 settembre 2010.

  • Sono nata in una famiglia di artisti. Mio zio è stato un grande fotografo, Ugo Mulas. E fotografi sono i suoi fratelli, tra cui mia madre. Sono nata in una casa dove c'era una camera oscura. Il soggiorno era una sala posa. Sono cresciuta fra pellicole, acidi, taglierine: insomma in una bottega d'arte. Dove ho conosciuto molti artisti, i pittori e gli scrittori che frequentavano mio zio, e mia madre. Milano, negli anni Settanta, era ancora uno straordinario centro culturale. La nostra casa era sempre aperta, le nostre cene sempre affollate di discussioni vigorose. Ho imparato molte cose così, come si apprende la lingua materna. È stata quella la mia formazione - nel gusto del vivere, nella sapienza dei giudizi, nello spirito dissacrante di quegli uomini e donne liberi – soprattutto nella vitalità.  
  • A dieci anni mi sono presentata all'esame di selezione della Scuola di danza della Scala, l'ho passata e per tre anni ho fatto il soldatino della danza classica. Ho anche debuttato alla Scala, nello Schiaccianoci di Rudolf Nurejev: nella parte della bambina nella danza di Natale e del topo. Pur essendo stata promossa, alla fine del corso mi sono ritirata. Avevo capito che non avrei potuto vivere per sempre usando solo i muscoli e le articolazioni. La danza era meravigliosa ma avevo bisogno delle parole. Dalla Scala si esce solo bocciati, non di propria iniziativa. Hanno dovuto inventare una procedura apposta per il mio ritiro, perché non esisteva (ride). Ho cominciato fin da piccola a creare sconcerto.
  • Sono specializzata in pazze. La pazza è un personaggio difficile. Un personaggio che esige una scomposizione interna, un'acrobazia interiore. Inoltre, cerco di usare il corpo, in scena, non solo tradizione italiana e soprattutto vocale: ci sono grandi attori che cantano, il loro corpo è poco più di un armadio in scena (più o meno come quello di quasi tutti i cantanti lirici). Molto diversa è per esempio la tradizione anglosassone. Ma quello che mi ha sempre guidato – prima inconsapevolmente – è il narratore dentro di me che dice «adesso accade questo, adesso accade quest'altro». Fu Gian Maria Volontè a spiegarmi che l'attore deve essere burattino ma anche burattinaio.
  • Scrivere è entrare in contatto profondo col senso, con la luce. È dare senso al dolore, alle esperienze che dopo anni riemergono in un racconto. Allora mi dico: «ecco perché le ho vissute». Allora mi sembrava solo di subirle, adesso so che erano un alimento. Se non avessi vissuto, non avrei niente da raccontare. 

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