Pietro Bilancini
Pietro Bilancini (1864 – 1895), poeta e critico letterario italiano.
Giambattista Giraldi e la tragedia italiana nel sec. XVI
[modifica]Il teatro in Italia ha avuto storicamente due indirizzi diversi, tra loro separati né minimamente influenti l'uno su l'altro, in modo da produrre due diverse forme d'arte: un indirizzo popolare spontaneo, che, cominciato nel medio-evo coi misteri, finisce nella comedia dell'arte da cui doveva sorgere l'unica forma viva del nostro teatro, la comedia goldoniana; – un secondo indirizzo classico d'imitazione, che con forma dantesca si potrebbe anche dire aulico o cortigiano, il quale, cominciato nella comedia coll'imitazione di Plauto e Terenzio, nella tragedia coll'imitazione di Seneca e dei Greci, finì per esaurimento per mancanza di vitalità, soffocato dallo stesso principio d'imitazione che l'aveva prodotto.
Citazioni
[modifica]- La tragedia italiana vera e propria, fin dal suo primo apparire, è latina non solo nella forma, ma nella tessitura nell'organismo intiero: cosicché questo genere portava con sé nel nascere il germe dell'imitazione, e questo germe che l'aveva prodotto, doveva (mi piace confessarlo fin dal principio) essere la causa principale della sua vita stentata e meschina. (cap. I, p. 8)
- In queste condizioni di povertà di produzioni – giacché queste che abbiam nominate son tutte le tragedie volgari che si produssero in Italia nei primi quarant'anni del secolo XVI, – in questo stato di esagerata imitazione dai modelli greci, si trovava il teatro italiano, quando comparve nell'arringo tragico Giambattista Giraldi ferrarese, il quale colla ricca opera sua doveva dare al teatro un nuovo indirizzo e tale un impulso, da fargli attribuire il vanto, che in dieci anni, dacché si era posto all'opera, erano apparse in Italia più tragedie che non nei trecento anni già scorsi dell'italiana letteratura. E la storia del teatro tragico in Italia conferma pienamente il vanto. (cap. I, pp. 18-19)
- Non si concepisce veramente come l'arte [delle tragedie] di Seneca potesse esser presa come esempio di morale, quando egli colla fredda impassibilità di uno stoico fa l'apologia del suicidio, descrive amori senza pudore, desiderî senza freno, vendette orribili; quando rappresenta un mondo di passioni straordinarie ed esagerate, virtù sfrenate, audacie gigantesche, il dolore che bestemmia, la vendetta atroce, l'orgoglio immane. Ma tutto ciò è ricoperto da un manto di sentenze così gravi, di detti così profondi; ma i suoi personaggi declamano così bene degli squarci di filosofia, che, perdonandosi a lui e trascurando ciò che nelle sue tragedie v'era per efficacia dei suoi tempi, furono potute prendere come modello di gravità tragica e di moralità. (cap. II, pp. 38-39)
- Né dopo l'esame che abbiamo fatto di tutte e nove le tragedie si vorrà ripetere ancora che il carattere fondamentale del teatro del Giraldi sia l'amore all'orribile: v'è questo elemento, purtroppo comune a quei tempi anche nella vita, di cui il Giraldi ha subito l'efficacia, come, prima di lui, l'aveva subita lo stesso Rucellai[1] nella Rosmonda[2], come la subirono i tragici di tutti i teatri d'allora specialmente lo spagnolo e l'inglese; ma non possiamo dire che ne sia la qualità caratteristica. Anzi il teatro del Giraldi così per gli argomenti come per i personaggi che vi agiscono ha per carattere precipuo la varietà, mescolando l'orribile al patetico, il crudele al delicato il vizio più infame accanto alla virtù più pura, il tragico al comico, come mai si era fatto in Italia da alcun poeta: e per questo soprattutto può dirsi l'unico che coll'opera sua preludesse a quello che si disse drama romantico. (cap. IV, p. 106)
Note
[modifica]Bibliografia
[modifica]- Pietro Bilancini, Giambattista Giraldi e la tragedia italiana nel sec. XVI. Studio critico, Premiata tip. di B. Vecchioni, Aquila, 1890.
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