Raffaele Andreoli
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Raffaele Andreoli (1823 – 1891), letterato italiano.
Cose di Napoli
[modifica]- L'istinto tirannesco serviva ai Borboni assai meglio che non serva a voi la vostra finezza. Rappresentanti del disordine morale, del pervertimento della pubblica coscienza, del trionfo della forza brutale e dell'astuzia volpina sulla disarmata bonarietà del diritto, essi non erano che briganti in grande, né potevano non simpatizzare con quelli che lo fossero in piccolo. Da ciò la fiacca e svogliata persecuzione che permise al canchero del brigantaggio di perpetuarsi in quelle provincie: da ciò la propensione agli accordi, per cui un Re, capo di centomila soldati, come Ferdinando II, non ischifava di stipular pensione a un capo di una ventina di briganti come Talarico[1], da ciò la facilità ad accettare briganti per soldati e i loro capi per generali, come tante volte dal 99[2] fin oggi. (Un anno di brigantaggio, p. 30)
- Una lunga traccia di sangue, d'incendi, d'ogni maniera d'infamie, segna il cammino tenuto da ciascuna delle bande [di briganti] introdottesi dalla frontiera romana[3]. Peroché questa nuova razza di crociati, assai più cari a' preti che gli antichi, sono pur sempre le più feroci a un tempo e le più sozze belve che siensi mai viste in figura di uomini. Le loro gesta anche in questo ultimo anno sono state tali, che la semplice uccisione degli uomini, l'arsione di semplici villaggi, le storsioni[4] non accompagnate da straordinarie sevizie, non portano più il pregio di venir ricordate. (Un anno di brigantaggio, p. 45)
- Famoso tra' nomi de' più feroci capibanda è quello di Domenico Fuoco di S. Pietro in Fine, che riposatosi dalle precedenti imprese tutto il verno a Roma, infesta ora di nuovo la natìa provincia. Emulo di Giona La Gala nel vezzo di mozzare orecchi, egli ne aggiunge la ragione, ed è perché possa al bisogno riconoscere coloro che manda a procacciare il proprio riscatto. Ma quello che particolarmente lo distingue, è il suo umore giustiziere, che lo dimostra proprio un boia sbagliato. A vari de' trucidati da lui si è trovato sulla fronte, nel berretto, o dappresso, una scritta siffatta: «Traditore di Borbone, ti ha giustiziato Domenico Fuoco. Chi fa questo male è giustiziato così». Ma nel marzo testé decorso, egli si permise una variante a questa leggenda, nell'interesse suo proprio. Mettendo a sacco, a fuoco ed a sangue i territori di Mignano e di Roccamonfina, caso o ricerca gli pose tra le mani una donna, Vittoria Mattazzi, rea veramente di avere amato un tal mostro, ma ch'egli trovava rea di non aver durato ad amarlo. E la sgozzò di sua mano, e sulla fronte le lasciò scritto di averla giustiziata egli, come al solito, ma per punirla della sua infedeltà. (Un anno di brigantaggio, pp. 45-46)
- È questi [Francesco de Bourcard] napoletano quanti altri mai di sentimenti non men che di nascita, ma oriundo, se ben rammento, di Svizzera, e questa circostanza avrebbe ben potuto contribuire a quella mirabile tenacità di proposito ch'egli ha mostrata nel condurre a fine la sua bella intrapresa [l'opera Usi e costumi di Napoli e contorni descritti e dipinti] attraverso una bagatella di diciotto anni di cure, di ricerche, di lotte e di spese. Tantae molis erat non più il fondare la gente romana ma solamente descrivere la napoletana! Ma chi non si è mai trovato a condurre di siffatte imprese, specialmente in Italia, e soprattutto poi a Napoli, non può farsene la pur menoma idea. Figuriamoci un povero galantuomo a lottare ogni giorno con una schiera di scrittori giustamente svogliati di un mestiere in cui c'era ben poco da guadagnare e moltissimo da perdere per un nonnulla che sonasse male alle orecchie dei padroni; con gli stampatori poco disposti a scrupoleggiare in un'arte a mala pena tenuta per lecita; co' modelli da raccattare tra le ultime file del popolo; con gli artisti bisbetici e bizzarri per professione; con incisori non frenati da sufficiente concorrenza; soprattutto poi con la propria borsa insofferente di uno smungimento quotidiano; ed avremo appena un'immagine de' tormenti volontariamente sofferti da questo povero martire. (Usi e costumi di Napoli, pp. 57-58)
- Il solo, per quanto io ricordi, che si levasse e di molto sopra siffatta plebe [di mediocri illustratori], fu Gaetano Dura, spiritoso disegnatore e poeta; e m'è ancora presente quel tempo, quand'io lasciavo passare l'ora della scuola incantato a guardare ala porta della sua bottega i bizzarri episodi di una gita al Vesuvio, i ricchi contorni della lavandaia del Vomero indiscretamente delineati dal vento soffiante di dietro, e l'abbondante dose di educazione impartita da una popolana sulle nude chiappe del suo strillante marmocchio. (Usi e costumi di Napoli, p. 60)
Note
[modifica]Bibliografia
[modifica]- Raffaele Andreoli, Cose di Napoli offerte ai suoi amici, Tipografia Elzeviriana, Roma, 1875.
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