Rodolfo il Glabro

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Rodolfo il Glabro, in latino Rodulphus o Radulphus Glaber, in francese Raoul Glaber o Raoul le Chauve (985 circa – 1047 circa), monaco e cronista medievale.

Cronache dell'anno mille[modifica]

Incipit[modifica]

Mi ha stimolato il giusto rammarico più volte espresso da dotti confratelli, e talora da voi stesso, perché all'epoca nostra non si è trovato nessuno in grado di tramandare ai posteri, sotto qualunque veste formale, le varie vicende, degne di memoria, che riguardano sia le chiese di Dio sia i popoli; tanto più perché, secondo la parola del Salvatore, insieme col Padre e coadiuvato dallo Spirito Santo, egli opererà nel mondo cose nuove fino all'ultima ora dell'ultimo giorno.[1]

Citazioni[modifica]

  • All'avvicinarsi dell'anno 1033 dall'Incarnazione di Cristo, cioè il millesimo dalla passione di Cristo Salvatore, morirono uomini celeberrimi nel mondo latino (...) In seguito la fame cominciò a diffondersi in ogni parte del mondo, minacciando di morte quasi tutta l'umanità. Le condizioni climatiche erano così sconvolte, che non arrivava mai il momento opportuno per nessuna semina né il tempo utile per la mietitura, soprattutto a causa delle inondazioni. Pareva che gli elementi lottassero tra loro in reciproco conflitto, mentre è certo che infliggevano una punizione alla superbia degli uomini. Ogni strato della popolazione fu colpito dalla penuria di cibo; ricchi e meno ricchi diventavano smorti per la fame quanto i poveri […] Frattanto, dopo essersi cibata di quadrupedi e uccelli, la gente, sotto i morsi tremendi della fame, cominciò a prendere per nutrimento ogni sorta di carne, anche di bestie morte, e altre cose schifose. Taluni cercarono di sfuggire alla morte mangiando radici silvestri e piante acquatiche, ma inutilmente: non si trova scampo all'ira vendicatrice di Dio, se non rivolgendosi a sé stessi. Si inorridisce a descrivere le perversioni cui l'umanità andò soggetta. In quel tempo — oh sventura! — la furia della fame costrinse gli uomini a divorare carne umana. I viandanti venivano ghermiti da uomini più forti di loro, squartati, cotti sul forno e divorati. Molti tra coloro che migravano da un luogo a un altro per sfuggire all'inedia furono sgozzati di notte nelle case dove venivano accolti e diedero nutrimento ai loro ospiti. Moltissimi adescavano i bambini con un frutto o un uovo, li inducevano a seguirli in posti appartati, li trucidavano e li divoravano. In innumerevoli luoghi perfino i cadaveri furono dissepolti e usati per calmare la fame. Tanto dilagò quell'insano furore, da lasciare più al sicuro dal rischio di sequestri il bestiame abbandonato che l'uomo. Come se ormai stesse diventando un fatto abituale il mangiare carni umane, un tale ne portò di cotte per metterle in vendita sul mercato di Tournus, quasi si trattasse di comune carne animale. (IV, 9-10)[2]
  • Fatti del genere sono avvenuti molte volte proprio a me, per volere di Dio, in tempi anche assai recenti. Quando dimoravo nel monastero del Beato martire Leodegario a Champeaux, una notte, prima dell'ora del mattutino, mi apparve ai piedi del letto una figura di omiciattolo dall'aspetto tenebroso. Per quanto mi fu possibile distinguere, aveva modesta statura, collo esile, volto smunto, occhi nerissimi, fronte increspata da rughe, naso schiacciato, bocca sporgente, labbra gonfie, mento stretto e affilato, barba caprina, orecchie irsute e a punta, capelli ritti e scarmigliati, dentatura canina, cranio allungato, petto sporgente, dorso a gobba, natiche che si scuotevano, panni sudici; era affannato e con tutto il corpo in agitazione. Afferrò un capo del pagliericcio dove giacevo e scosse il letto con terribile violenza; poi parlò: "Tu non resterai oltre in questo luogo". Nel risvegliarmi di soprassalto, come a volte capita, per lo spavento, vidi l'essere che ho descritto. Digrignando i denti, ripeté più volte: «Non resterai qui oltre». A precipizio balzai dal letto e corsi nel monastero, dove, gettatomi ai piedi dell'altare del santissimo padre Benedetto, rimasi a lungo terrorizzato. Cercavo con la massima attenzione di richiamare alla mente tutte le malefatte e le colpe gravi che volontariamente o per trascuratezza avevo commesso fin dalla fanciullezza. E poiché né timore né amore di Dio mi avevano mai indotto alla penitenza né alla riparazione per tutto questo, giacevo sofferente e smarrito e non mi veniva altro di meglio da dire che queste semplici parole: "Signore Gesù, che sei venuto per la salvezza dei peccatori, in virtù della tua immensa misericordia abbi pietà di me!" (V, 2)[3]

Note[modifica]

  1. Citato in Giacomo Papi, Federica Presutto, Riccardo Renzi, Antonio Stella, Incipit, Skira, 2018. ISBN 9788857238937
  2. Citato da Umberto Eco in Storia della bruttezza, p. 81 Bompiani. ISBN 978-88-452-7389-6
  3. Citato da Umberto Eco in Storia della bruttezza, p. 93 Bompiani. ISBN 978-88-452-7389-6

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