Ron Goulart

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Ron Goulart, 2009

Ron Goulart (1933 – 2022), scrittore statunitense.

Incipit di alcune opere[modifica]

I sexrobot di Linda Swain[modifica]

Quando lo trovarono, rideva.
Contento come una pasqua, coperto di sangue e di olio per androidi, camminava su una delle rampe pedonali soprelevate della Comune di Boston. Rideva e sghignazzava, e aveva ancora in mano il fulminatore.
Continuò a ridere anche dopo che l'ebbero preso. Per la prima volta da più di due anni, Doug Weinbower era felice.

L'arma dei Walbrook[modifica]

Angela Campana[modifica]

Lo sbirro meccanico avanzò nella grande stanza al nono piano dell'Hotel Plaza, agitando il manganello elettrico. — Il tempo è scaduto — disse, e punzecchiò l'occupante di una branda di plastica, poi quello della successiva.
Un'alba grigiastra cominciava a rischiarare debolmente il riquadro delle finestre dietro le pesanti sbarre. La pioggia continuava a cadere, greve e monotona.
[Ron Goulart, L'arma dei Walbrook, traduzione di Angela Campana, Mondadori, 1976]

Fruttero & Lucentini[modifica]

Il piedipiatti meccanico entrò nello stanzone al nono piano dell'Hotel Plaza agitando il manganello elettrico. «Alzarsi! Il tempo è scaduto!» disse. E punzecchiò col suo strumento l'occupante di una branda di plastica, poi quelli delle successive.
«Ma io ho ancora un'ora!» protestò un tale indicando il contatore della propria branda.
[Ron Goulart, L'arma dei Walbrook, citato in Fruttero & Lucentini, Íncipit, Mondadori, 1993]

L'automauto[modifica]

La cameriera urlò (il solito difetto del personale umano) ed agitò in aria il braccio proteso. Stu Clemens si spostò di lato nel separé e scrutò, attraverso la finestra dai vetri verdi, il parcheggio. Un uomo coi capelli corvini, sulla trentina, stava precipitando sulle ginocchia, muovendo freneticamente le mani sui fianchi. In silenzio, l'automauto di polizia uscì dal rettangolo dov'era parcheggiata e si avvicinò all'uomo riverso. — Su quella macchina non c'è nessuno — disse la cameriera, e rovesciò una tazza di caffè.

L'Imperatore degli Ultimi Giorni[modifica]

L'uomo piombò giù passando davanti all'unica finestra di cui disponeva Dan Farleigh.
«Ehi!» Dan stava chiacchierando col suo computer centrale. Colse appena, con la coda dell'occhio, una velocissima immagine dell'uomo; la bocca era spalancata in un grido inudibile.
«È solo uno che vuol fare l'olandese volante» disse l'altoparlante del computer. «Non c'è di che...»
«Deve esser caduto giù da un ufficio direttamente sopra il nostro.» Dan corse verso la plexifinestra ovale.

La grande clessidra[modifica]

La macchina del tempo se ne stava con le gambe allungate sulla scrivania. Pezzetti di fango secco si staccavano dai piedi metallici e cadevano nel pannello di controllo.
Sam Brimmer si chiuse la porta alle spalle e avanzò camminando silenziosamente sul pavimento in pseudoschiuma del suo ufficio. Poi raccolse un pezzo di fango, lo sbriciolò tra il pollice e l'indice. — Grecia antica — sentenziò, dopo essersi annusato le dita. — Trecento avanti Cristo, più o meno. Hai ricominciato i tuoi salti nel tempo? Sei andato a rompere le scatole ad Aristotele?

Paura del successo[modifica]

Subito dopo l'annuncio che aveva vinto il premio Nobel, si infilò i suoi abiti più vecchi e salì su un autobus scassato diretto a Pittsburgh. Ned Browner sperava di riuscire a perdersi in uno dei vecchi quartieri diroccati della città, ma l'autobus si capovolse prima ancora di uscire dal Connecticut. Browner salvò la vita alla giovane donna che era seduta accanto a lui, trascinando al sicuro il suo corpo inerte proprio un attimo prima che l'autobus prendesse fuoco ed esplodesse. Si rivelò poi essere una giovane ereditiera di un'industria di cosmetici, data per scomparsa e sofferente di amnesia temporanea.

Prez[modifica]

La deliziosa bionda lanciò il vestito di carta nel caminetto, si tirò indietro e restò a guardarlo bruciare, le mani appoggiate sul sedere perfetto.
— È molto intimo, vero? — disse da sopra le spalle. — C'è qualcosa di enormemente piacevole nel bruciare vestiti in una gelida giornata d'inverno, non trovi?

Uomini macchine e guai[modifica]

Il damo[modifica]

Come Bruce Tumey mise piede nel salone dove erano esposti gli androidi, la valigetta del campionario cominciò a cantare. Bruce la buttò per terra, vicino a una pubblicità luminosa, e le assestò due poderose pedate. Dentro, altri dischi-guida si unirono al coro. In maggior parte cantavano la canzonetta che illustrava lo zoo di St. Louis, gli altri quella del giro guidato di West Point. Bruce riafferrò la valigetta e la sbatté con forza sul pavimento di norilplastica del grande magazzino.

La cimice nella pelle[modifica]

Quando l'agente del governo lo trovò, Les Flanner discuteva con un gabinetto.
— Un dollaro e mezzo per usarne uno chiuso? — strepitava, pestando pugni sulla porta bianca ammaccata. — E da quando?

L'innocenza di Padre Bangs[modifica]

Ogni volta che tentava di far atterrare l'ufficio mobile sul tetto della sede della Rete d'Informazione Unificata, dieci rapinatori cubani si mettevano a saltare per abbordarlo. Rowland Downey, trentenne, alto e di bell'aspetto, sospirò e batté sui tasti di perforazione il programma di quota.

Ferrovecchio[modifica]

Non si aspettava che ci fosse un robot ad aspettarlo alla stazione del treno. E invece eccone uno, col corpo lucente imbacuccato in un giaccone rosso peloso e un berretto giallo a maglia, che si sporgeva da una slitta e lo chiamava. Il treno ripartì arrancando dalla piccola, autentica stazione di Brimstone, e Thad Demby raccolse la sua unica valigia e scese i tre scalini di legno che portavano in strada. Una neve leggera cadeva mollemente e il pomeriggio già imbruniva per diventare sera. — Credevo che sarebbe venuta la signorina Torridor a prendermi, col suo elicottero — disse Thad.

Programmatore scambi sessuali[modifica]

Non aveva abbastanza spiccioli da infilare nel baby-sitter. Diede qualche colpetto sul davanti cromato del robot fermo sulla porta d'ingresso e si scostò. — Vado a prendere il tesserino e segniamo l'importo — disse. — Entra, intanto.

Meglio un asino vivo[modifica]

Quando sua moglie prese fuoco, Roger Minton era nel suo angolo di lavoro col tavolo ingombro di bobine di dati. Si accertò prima che la tazza di caffè solubile non potesse rovesciarsi su niente d'importante, poi attraversò la stanza centrale dell'appartamento di due locali e si precipitò nel cucinino.

Il grande Whistler[modifica]

Il suo agente apparve sullo schermo del videotelefono e gli chiese: — Avresti qualche idea brillante per della carta da parati?
Mel Felson era al tavolo da disegno e stava messo tutto di sbieco verso sinistra. Era un ventinovenne bruno e abbastanza ben piantato, in tuta tuttofare verde. — Che novità è? — chiese, dando una sbirciata al telefono sullo sgabello e tornando subito a guardare la sua casa a cupola in stile coloniale che sorgeva a una cinquantina di metri dalla cupola studio.

Dare e avere[modifica]

La porta secondaria della Prigione dei Debitori si spalancò, e Gabe Fenner uscì, libero. Tutt'attorno a lui quel giorno la Grande Los Angeles risorse nitida e maestosa. Stavolta era stato dentro solo sette settimane, e i rumori della città non lo colpirono con la solita violenza. Prese una pipa di carta dalla tasca del vestito nuovo e avviandosi se l'accese. Erano quasi le dieci del mattino. Carol doveva essere al lavoro, e il bambino al Complesso Terza Elementare nel Settore 24. Decise di tornare a casa a piedi. Lo faceva spesso.

Festival Folk[modifica]

Gli uomini-lucertola del gruppo sassofoni lo guardavano fisso, tutt'e tre. Y. A. Foley si toccò le false basette color zenzero, che si erano impigliate nella pettorina della tuta di polietilene, e scoccò alle lucertole dell'orchestra swing quello che voleva essere un sorriso meccanico. Per sovrappiù le salutò alzando il cappello di pseudopaglia.

Finalmente libero[modifica]

Sua moglie stramazzò sulla soglia, finì in ginocchio e ruzzolò per la rampa. Aveva la gonna di neotex a brandelli e un pezzo di catena di veceferro attorno a una gamba. Atterrò sul pavimento termico del salotto picchiando il mento e i gomiti e, con un lieve sospiro, si abbandonò inerte di fianco a un tavolino pensile.

Ding-dong[modifica]

Stava seduto all'ombra, fuori dalla mischia, sulla veranda di legno scolpito di un alberghetto lungo la strada. Un agente segreto comparve nel sole sfolgorante e gli tese la mano. John Wesley Sand guardò l'uomo grassoccio e la mano tesa, che aveva una cicatrice appena visibile tutt'attorno al polso. — Ciao, Mort — disse.

Bibliografia[modifica]

  • Ron Goulart, I sexrobot di Linda Swain, traduzione di Vittorio Curtoni, Mondadori, 1984.
  • Ron Goulart, L'arma dei Walbrook, traduzione di Angela Campana, Mondadori, 1976.
  • Ron Goulart, L'automauto, traduzione di Vittorio Curtoni, Mondadori, 1982.
  • Ron Goulart, L'Imperatore degli Ultimi Giorni, traduzione di Vittorio Curtoni, Mondadori, 1979.
  • Ron Goulart, La grande clessidra, traduzione di Vittorio Curtoni, Mondadori, 1978.
  • Ron Goulart, Paura del successo, in "Millemondinverno 1993", traduzione di Daniela Rossi, Mondadori, 1993.
  • Ron Goulart, Prez, traduzione di Vittorio Curtoni, Mondadori, 1982.
  • Ron Goulart, Uomini macchine e guai, traduzione di Angela Campana, Mondadori, 1977.

Altri progetti[modifica]

Opere[modifica]