Sergio Givone

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Sergio Givone (1944 – vivente), filosofo italiano.

Citazioni di Sergio Givone[modifica]

  • [Sul dibattito sull'eutanasia] Siamo di fronte a una strana alleanza tra cultura tecnocratica e cultura religiosa cattolica, entrambe cercano la sopravvivenza a tutti i costi. Ma la cultura cattolica possiede almeno un senso della sofferenza del morente, che è estraneo alla tecnica, interessata soltanto al buon funzionamento dell'apparato.[1]

Da Il Sessantotto ha perso il pensiero

Avvenire, 30 marzo 2011.

  • Della filosofia sessantottesca non è rimasto niente. Semplicemente perché tale filosofia non è mai esistita.
  • Siccome l'ideologia prevaleva di gran lunga sulla critica, a uscirne massacrati furono proprio gli autori che il movimento aveva scelto per maestri, anzi (visto che i maestri erano respinti), per guide.
  • Il Sessantotto non fu né soggetto né oggetto di filosofia. Non ha prodotto un suo pensiero autonomo. E neppure è stato pensato come evento filosofico.
  • La religione è cosa viva.
  • O la religione è viva e necessaria, o non è. Viva in quanto necessaria. Nel senso che ci parla di cose di cui non possiamo fare a meno, ma soprattutto cose di cui solo la religione è in grado di parlare

I sentieri della filosofia[modifica]

  • Ma che cosa significa togliere di mezzo la verità? Significa per esempio che non sarà più il diritto ad aver dalla sua la forza (la forza della verità, che lo legittima), ma la forza (la forza senza verità) ad aver dalla sua il diritto e a farne ciò che vuole: magari legittimando un sopruso sulla base di prove false, inventate, create per fini ideologici e per obiettivi di potere. L'idea che, tolta la verità, si apra finalmente lo spazio di una conversazione civile in cui spontaneamente fiorisce ciò che è degno di essere creduto o ciò che, non creduto, merita di far parte del patrimonio umano, è una bella idea, ma forse l'ermeneutica dovrebbe esercitare su di essa un po' di quell'arte del sospetto che le appartiene.
  • A un suo personaggio, Versilov, Dostoevskij mette in bocca un'idea simile: che basti rinunciare agli assoluti, disfarsi di qualsiasi pretesa all'immortalità, perché gli uomini imparino a riconciliarsi con la terra, cioè con la loro finitezza e la loro fragilità, finalmente amandosi gli uni gli altri, perché non c'è amore se non là dove c'è condivisione d'un destino comune e sentimento di pietà per chi muore, cioè per tutti. Quest'idea nel romanzo dostoevskiano non viene confutata, ma semplicemente messa sulla bocca del diavolo, e smontata col più amaro dei sorrisi. (cap. 5)
  • Dice ancora qualcosa il nome di Dio agli uomini di oggi? Secondo Nietzsche, poco o nulla. Lo stesso annuncio che "Dio è morto" è destinato a cadere nel vuoto. Magari tutti ripetono la frase a proposito di questo o di quello (secolarizzazione, scristianizzazione, pensiero unico, e così via). Ma come se fosse un'ovvietà, una cosa scontata, di cui prendere atto per poi archiviarla senza farsi troppi problemi. Un po' come dire: siamo moderni, emancipati, la fede in Dio appartiene al passato. Dovranno passare secoli – è sempre Nietzsche a sostenerlo – prima che gli uomini tornino a interrogarsi sul senso profondo e misterioso di questa morte.
  • Che la morte di Dio appaia come un evento che è ormai alle nostre spalle e che ci lascia sostanzialmente indifferenti non è ateismo. È nichilismo. (cap. 6)
  • L'ateismo a suo modo tiene ferma l'idea di Dio. Non fosse che per distruggere e negare quest'idea, liquidando al tempo stesso ogni forma di trascendenza: sia la trascendenza della legge morale, sia la trascendenza del senso ultimo della vita. Tutte cose che dal punto di vista dell'ateismo costringerebbero l'uomo in uno stato di sudditanza e gli impedirebbero di realizzare la sua piena umanità. L'ateismo vede in Dio il nemico dell'uomo. Perciò gli muove guerra. (cap. 6)

Note[modifica]

  1. Citato in Quel peccato è un nostro diritto, a cura di Nicola Nosengo, Cinzia Sciuto, Tiziana Moriconi e Roberta Pizzolante, L'espresso, n. 39, anno LII, 5 ottobre 2006.

Bibliografia[modifica]

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