Stefano Cafaggi

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Stefano Cafaggi (1970 – vivente), scrittore italiano.

Citazioni di Stefano Cafaggi[modifica]

  • Era solo polvere quella che incrostava i ricordi imprigionati tra i muri dall'intonaco cadente. Le dita tremanti di Anna avevano abbassato la maniglia della porta di ingresso, ogni cigolio un anno del passato, un tempo remoto, dieci o quindici anni. La porta incerta sui cardini aveva guaito strisciando sul pavimento. La scarpa di vernice rossa aveva sollevato una nuvola. Il divano dalla tela marcita nel tempo, il tavolo azzoppato, qualche sedia, i quadri precipitati al suolo: dipinti senza valore di nature morte... (da La Memoria dei Cani)
  • Una bambina dai lunghi capelli biondi e ricci, occhi azzurri, indossa una maglietta bianca e le mutandine con i fiocchetti ai lati, è magra e ride. Dice che sbaglio pietre. Tra le mani tiene uno walkman, io non ce l'ho il registratore per le cassette, ma papà me lo compra se mi promuovono all'esame di quinta elementare. Dovrò aspettare un anno intero. La musica non mi piace, mi piace lo walkman e la calcolatrice. Papà aveva una calcolatrice ma io non potevo toccarla perché altrimenti l'avrei rotta. Un giorno papà ci si è seduto sopra e da allora non ha più funzionato. Adesso ho una calcolatrice ma non si vedono i numeri. La ragazzina mi sta vicino e lancia pietre che rimbalzano sull'acqua. Mi porge un sasso piatto e mi dice di provare. La odio. Le strappo il sasso dalla mano, mi sbilancio all'indietro, come Robert Redford, io sono bello come lui, la nonna dice che sono bellissimo e che sembro Redford. Il mio braccio sinistro è teso in avanti, il destro è dietro la schiena. Lancio. Il sasso affonda nell'acqua. La ricciola ride. Perché la mamma non mi chiama? Perché papà non viene a prendermi?... (da Troppo Vicina)
  • Il bar nella metropolitana è un'oasi di caldo nei gelidi inverni ed una sauna nelle torride estati. Il locale si distingue per sporcizia, cibo scadente e clientela improbabile, degna di un talk show incentrato sui casi umani.
    Dietro la cassa bivacca Giorgio il proprietario, un sessantenne unto e grasso che spaccia caffé, biglietti della metro, cibo maleodorante e sigarette anche ai minori di sedici anni. Dietro al bancone staziona, Gino, detto Pongo, nessuno sa perché. Pongo forse non ha trent'anni, è stempiato ma vanta una lunga coda cavallina, denti storti, gialli, e in numero inferiore al dovuto, le ascelle pezzate dal sudore in qualsiasi stagione. Poco più in là c'è Ezio, barista sui quaranta, tarchiato, capelli folti e costantemente arati da un pettine e tenuti in carraggiata da ettolitri di brillantina... (da Metrobar)
  • Una fotografia. Ritrae due ragazzi, maschio e femmina, abbracciati e sorridenti, indossano stupide magliette con Snoopy disegnato sulla pancia. Avranno al massimo diciassette anni, felici in maniera imbarazzante. I lunghi capelli neri di lei sono mossi dal vento, lentiggini e occhi azzurri, sullo sfondo un mare blu. La ragazza non so chi sia, una volto sconosciuto. Il viso del ragazzo è familiare. Il taglio degli occhi, il mento aguzzo, il naso che tende a sinistra: sono io, almeno venti chili prima di oggi. Non riesco a ricordare la ragazza; mentre il rasoio passa sulle mie guance intuisco nel viso solcato dalle rughe la pelle liscia del ragazzo nella fotografia. Stringo il nodo della cravatta e so che quella maglietta di Snoopy era l'indumento migliore della mia adolescenza. Con la fotografia in tasca, il vento tra i capelli radi, spingo l'acceleratore dell'Alfa spider verso l'ufficio... (da L'appartamento)


Senza Ritorno[modifica]

Incipit[modifica]

Rovente. In quella mattina di luglio le pale del ventilatore smuovevano afa melmosa sui libri sepolti dalla polvere. Un ragno tesseva un tela tra un angolo della libreria e tre antichi volumi della Commedia rilegati in pelle marrone. La prima pagina de l'Unità, inchiodata alla parete, mostrava una grande fotografia di Enrico Berlinguer sorridente sotto il titolo "Addio". Gli occhi in bianco e nero del leader incontrarono le palpebre di XN che tentavano di schiudersi, lottando con i sogni di un'altra notte tormentata. Il volto di Enrico ghignava deformato in una smorfia attraverso il vetro della bottiglia vuota. Un'altra notte passata a bere e dormire sulla poltrona dello studio. Le undici e mezzo del mattino, una doccia e poi avrebbe acquistato un'altra bottiglia di Old Glennfoolish: whisky per disperati non abbienti. La lingua cercava di staccare dal palato l'appiccicoso sapore della disperazione. La mano strisciava tra le carte sparpagliate sul piano di legno per cercare il pacchetto di sigarette. Uno sbuffo di fumo si attorcigliò alle pale del ventilatore, XN si dondolò sulla poltrona basculante, lo sguardo perso nell'interminabile ruotare sul soffitto. Ormai era solo un ubriacone, un beone solitario...

Citazioni[modifica]

  • La donna che gli aprì la porta era una polposa sessantenne, un inventario di curve che culminavano in una cascata di boccoli eccessivamente biondi. In mezza alla criniera, un frivolo nasino all'insù sormontava un sorriso scintillante incorniciato da due gommoni dipinti di rosso. La donna lo invitò ad accomodarsi in un salottino dal gusto vagamente retrò, stile impero, forse liberty. Nonostante l'età, l'ammaliante vegliarda scivolava per casa su tacchi da quindici centimetri, la minigonna le conferiva un aspetto decisamente equivoco. La signora Daniela stappò una bottiglia di Moet & Chandon ed invitò il visitatore a brindare in flute di cristallo di Boemia. XN non capiva quale fosse l'occasione da festeggiare, ma non aveva motivi per rifiutare quella gazzosa per ricchi...
  • XN tornò al mondo contingente, che presentava una realtà fenomenica di questo tipo: un ufficiale della Repubblica era lì per interrogarlo sulla morte di Marta Brindelli, alias Daniela Testa Della Torre, diplomata a Brera, professione meretrice, già attrice in pellicole di dubbia moralità, ultimo visitatore notato alla porta della vittima: XN; Marta Brindelli, attualmente in attesa di autopsia all'ospedale Niguarda, in quel momento stesa su un lettino d'acciaio con il formoso corpo trapassato da tre coltellate: cuore, carotide e stomaco. Un fiume di sangue, una vita spezzata; quattro persone in una stanza a trentacinque gradi centigradi che non si erano mai viste prima, cinque e cinquanta: l'alba. Se c'era una cosa che XN odiava erano le ore che andavano dalle tre alle sette del mattino. Un lasso di tempo che non era previsto per la vita, ma solo per il sonno che, fatal quiete, sempre scende invocato. Una sola certezza: la giornata cominciava in anticipo, iniziava con i peggiori auspici degli dei. Marescalchi terminò il resoconto con un letale: – Da questo casino non ti tirerebbe fuori nemmeno Perry Mason...
  • Nel mezzo del cammino della sua vita, XN vagava senza meta da una bottiglia all'altra, senza soldi ed un futuro di solitudine all'orizzonte..
  • Alle due e mezzo del mattino XN varcò il confine di Milano. Le notti milanesi, file di luci rosse e bianche delle auto, crocchi di persone lungo i marciapiedi, solitari nottambuli in cerca di una meta. Ad ogni metro di asfalto, le insegne dei locali offrono antidoti alla depressione, cocktail di solitudine a prezzi da boutique. In via Brera, per cinquanta euro, l'uomo barbuto vende un futuro migliore in un mazzo di carte. L'auto di XN arranca davanti al Piccolo Teatro, l'Arena e poi finalmente l'ultima spiaggia di un uomo disperato: negrolandia. Una terra di nessuno, popolata da volti scuri invisibili nella notte, risuona di una lingua babelica, in quelle strade il passaporto con l'italico stellone è un miraggio, un lasciapassare per schiudere le porte dell'inferno. In quelle vie incombono paure ancestrali, leggende, esseri mitologici. XN cercava proprio uno di quegli uomini dal passato epico, un uomo che ha attraversato i mari e la storia di due mondi: Omero. Le luci della pizzeria cinese Mergellina, vedi Shangai e poi muori, illuminavano di un'opaca luce rossa una decina di uomini dai colori esotici. Il gruppetto bivaccava sul marciapiede, individui seduti a terra con le gambe incrociate fumavano sigarette, bevevano vino da scatole di tetrapack, gli occhi fissi verso il cantore. Omero seduto, come sempre, sul gradino della vetrina illuminata narrava leggende. Impartiva lezioni di letteratura avanzata ad individui che non possedevano nemmeno l'idea astratta di libro, insegnava a scrivere e leggere: almeno quanto bastava per compilare i moduli della questura. XN aveva conosciuto il cantore di strada qualche anno prima, un'altra vita, un'era felice e perfetta.

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