Sydney Schanberg

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Sydney Schanberg Hillel (1934 – 2016), giornalista e scrittore statunitense.

Citazioni di Sydney Schanberg[modifica]

  • [Su Urla del silenzio] Se gli americani avessero fatto questo film sarebbe stato un fallimento. Non volevo cliché o dei cambogiani messi sullo sfondo come dei cowboys; volevo rispetto per la verità e dei cambogiani veri.[1]
  • Mi ero trovato in mezzo a una guerra per la prima volta, ma non credo che fosse l'eccitazione ad attrarmi. Piuttosto mi colpiva il fatto che la Cambogia era completamente usata, strumentalizzata. Era un piccolo paese che non aveva nessun controllo del suo destino, che era stato trascinato nella guerra contro la sua volontà e che non avrebbe avuto nessuna possibilità di decidere del suo futuro. E il suo dramma veniva vissuto in segreto, ignorato dal resto del mondo, in un momento in cui l'attenzione di tutti era concentrata su quanto avveniva nel vicino Vietnam.[2]
  • [Su Dith Pran] Fu, e continua ad essere, un'amicizia eccezionale, una intensa esperienza umana. Stavamo sempre insieme cercando di resistere psicologicamente a quel macello. Pran era indispendabile, era molto di più di un interprete e di una guida: gli facevo sempre rileggere i miei pezzi prima di trasmetterli a New York perché erano stati scritti grazie a lui. E poi gli devo la vita.[3]
  • [Sulla morte di Pol Pot] Beh, non sono certo in lutto. Non so, non riesco a capire cosa faranno adesso i Khmer Rossi. Non so se la sua morte cambierà qualcosa. Probabilmente continueranno a combinare guai in un Paese che ha già avuto molto più della sua dose di disgrazie. Ma lui, Pol Pot, era un vero cattivo, non c'è dubbio, un'autentica incarnazione del male.[4]
  • [Sulla sua esperienza più terribile della guerra civile in Cambogia] Sono appunto tante. Ma, tra tutte, sì, è quella degli ospedali che i miei occhi continuano a vedere. Sono gli ospedali del periodo finale, con quei grandi fiumi di gente che vi veniva portata dentro a morire e i portantini che scivolavano sul pavimento uniformemente coperto di mezzo centimetro di sangue. Non c'erano lenzuola, ma solo teli di plastica insanguinati, e i feriti che arrivavano spesso venivano coricati accanto a un cadavere, tra le urla della gente operata senza anestesia.[4]
  • Tutte le guerre sono lo stesso, spiegare l'inspiegabile... Non c'è nulla da raccomandare in una guerra. I governi dicono che è l'ultima risorsa. Spesso è solo la più semplice. (da un intervista del 2005)[5]

Note[modifica]

  1. Citato in Virgilio nell'inferno cambogiano, L'Unità, 28 novembre 1984
  2. Citato in Quei campi in Cambogia dove si semina la morte, la Repubblica, 6 marzo 1985
  3. Citato in «Io, Dith Pran, il sopravvissuto», L'Unità, 7 marzo 1985
  4. a b Citato in Il cronista dell'orrore, La Stampa, 7 giugno 1996
  5. Citato in Tutte le guerre di Sydney H. Schanberg, il Manifesto, 12 luglio 2016

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