Tea Ranno
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Tea Ranno (1963 – vivente), scrittrice italiana.
Intervista di Annamaria Trevale, sulromanzo.it, 19 marzo 2018.
- [Che cos'è per lei l'empatia, questo sentire comune delle donne che si avverte nel libro [Sentimi]?] Qualcosa che prescinde dalla razionalità, un capirsi e un sentirsi che va oltre la mente. Ci si mette a nudo, perché nel momento in cui io, donna, mi apro a te, un'altra donna, vado oltre ogni barriera, anche quella dei miei vestiti e della mia pelle, per arrivare a uno scambio di anime. Questo percorso a volte è impervio, perché nessuno è disposto a scoprirsi così tanto da permettere un dialogo intimo, ede è questo che ho cercato di fare con le donne che ho voluto raccontare. Loro non mi davano tregua, mi chiedevano di ascoltarle.
- [Le storie che contiene sono tutte storie di violenza, di sopraffazione, di maschi cattivi, perciò chiedo: oggi, nel 2018, siamo ancora messe così male noi donne?] No, per me no. Questa storia è circoscritta in un brevissimo lasso di tempo e le donne che si raccontano fremono, perché la morte le ha accolte lasciando irrisolte determinate questioni. Un giorno mi è capitato di dire che non ci sono donne felici a raccontarsi in questo libro perché loro non saranno fantasmi inquieti, ma stelle comete, in un luogo di felicità come i Campi Elisi o il Paradiso. Quelle che invece in questa notte si manifestano bruciano per una ferita, che può essere anche un rancore o una mancanza, una verità distorta. Noi non siamo tutte così: esiste un bellissimo lato femminile, fatto di solidarietà e di sorellanza, che io ho anche la fortuna di vivere. Questi personaggi riescono a sciogliere il loro dolore raccontandosi, attraverso un processo di liberazione, ma la società per fortuna non è solo questa.
- [In questo libro ho trovato tanti elementi della tragedia greca, dalle voci del coro alla simultaneità dell'azione e del tempo.] Ho studiato al liceo classico di Siracusa, dove l'INDA, Istituto Nazionale di Drammaturgia Antica, veniva spesso a scegliere le ragazze del coro tra noi studentesse. Mi è rimasto un legame molto forte con la drammaturgia: studiavamo la letteratura greca ma vedevamo le stesse tragedie rappresentate.
- [Qual è l'importanza del cuntu, la storia orale?] Ci sono tanti piani di scrittura. Il cuntu è bellissimo perché in esso c'è la narrazione orale, di fronte a una platea con cui ti relazioni. Quando poi la narrazione orale diventa scrittura c'è un passaggio ulteriore che è un filtro. Puoi raccontare, scrivendole, delle cose su cui poi rifletti. Nell'oralità c'è l'immediatezza del raccontare, ma scrivere comporta una grandissima responsabilità: la scrittura è uno strumento che permette che far giungere la mia voce ad altri e può diventare un rasoio, un veleno, una bomba che esplode. La realtà è dura e triste. Donne che vengono uccise e bambini che restano senza genitori, bambini che crescono sapendo di avere alle spalle una tragedia, donne che vanno nei centri antiviolenza. Passare dal sentito, letto, immaginato a riempire un foglio di scrittura pone la domanda se restituire la realtà così com'è oppure filtrarla per renderla fruibile. Non puoi trasferire la realtà in un libro così com'è. Chi legge deve vedere cosa racconto, ma il patto lettore-scrittore prevede che io dia un input, che poi il lettore seleziona e completa. Per questo per me un libro è sempre meglio di un film: in un film ricevi le immagini, le voci, le musiche scelte dal regista, mentre in un libro le parole ti permettono di evocare una visione che è la tua. Ognuno leggerà una cosa diversa dall'altro.
- [Perché tutti i suoi romanzi sono ambientati in Sicilia, anche se lei da tempo vive a Roma?] Perché me ne sono andata. Finché ci vivevo non m'importava, nel momento in cui mi sono trasferita la Sicilia mi è venuta a mancare. Io non parlo il siciliano perché in casa mia si parlava solo italiano, per volontà di mia madre che faceva la maestra, però andavo alla stazione Termini, dove partiva il treno per la Sicilia, ad ascoltare i viaggiatori che parlavano siciliano. La Sicilia che racconto è quella desiderata, sognata, un po' onirica, e che dipende anche dalla letteratura e dalle storie che mi legano a lei.