Tommaso da Celano
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Beato Tommaso da Celano (1190 circa – 1265 circa), francescano, poeta e scrittore italiano.
Citazioni di Tommaso da Celano
[modifica]- Per questo Dio pietoso suscitò la vergine Chiara che veneriamo e in lei accese una lampada luminosissima per tutte le donne, che tu pure, Papa beatissimo [Alessandro IV], hai annoverato tra i Santi, per la potenza irresistibile dei segni miracolosi, ponendola sul candelabro perché faccia luce a tutti quanti sono nella casa.[1][2]
Vita prima
[modifica]- Invano l'iniquo perseguita l'uomo retto, perché quanto più questi è combattuto tanto maggiore è il trionfo della sua fortezza. L'umiliazione, disse qualcuno, rende più intrepido il cuore generoso. (parte I, cap. V, § 11; § 338, p. 257)
- [Francesco] Ridondava di spirito di carità, assumendo viscere di misericordia non solo verso gli uomini provati dal bisogno, ma anche verso gli animali bruti senza favella, i rettili, gli uccelli e tutte le creature sensibili e insensibili. Aveva però, tra tutti gli animali, una particolare preferenza e una palese tenerezza per gli agnelli, perché nella Scrittura Gesù Cristo, per la sua umiltà, è paragonato spesso e a ragione all'agnello. Per lo stesso motivo amava più caramente e riguardava con più simpatia tutte quelle cose che potevano meglio raffigurare o riflettere l'immagine del Figlio di Dio. (parte I, cap. XXVIII, § 77; § 455, pp. 300-301)
- [Francesco] Era uomo facondissimo, di volto gioviale, di aspetto benigno, mai indolente e mai altezzoso. Di statura mediocre piuttosto piccola, testa regolare e rotonda, il viso un po' ovale e proteso, fronte piana e piccola, occhi neri, di misura normale e pieni di semplicità, capelli pure oscuri, sopracciglia diritte, naso giusto, sottile e diritto, orecchie dritte ma piccole, tempie piane, lingua mite, bruciante e penetrante, voce robusta, dolce, chiara e sonora, denti uniti, uguali e bianchi, labbra piccole e sottili, barba nera e rada, collo sottile, spalle dritte, braccia corte, mani scarne, dita lunghe, unghie sporgenti, gambe snelle, piedi piccoli, pelle delicata, magro, veste ruvida, sonno brevissimo, mano generosissima. Nella sua incomparabile umiltà mostrava tutta la mitezza possibile con tutti, adattandosi opportunamente ai costumi di ognuno. Più santo tra i santi, e tra i peccatori come uno di loro. (parte I, cap. XXIX, § 83; § 465, pp. 304-305)
- La modestia infatti è il decoro di tutte le età, testimone di innocenza, indizio di un cuore puro, verga di disciplina, gloria particolare della coscienza, garante della buona reputazione, distintivo della perfetta rettitudine. (parte II, cap. VI, § 102; § 499, p. 319)
- O eccelso splendore di quella vivifica croce che dà la vita ai morti, il cui peso preme così soavemente e ferisce con tale dolcezza che in essa la carne morta rivive e lo spirito infermo si ristora! (parte II, cap. IX, § 114; § 519, p. 327)
- [Francesco] Era davvero molto occupato con Gesù. Gesù portava sempre nel cuore, Gesù sulle labbra, Gesù nelle orecchie, Gesù negli occhi, Gesù nelle mani, Gesù in tutte le altre membra. (parte II, cap. IX, § 115; § 522, pp. 328-329)
Vita seconda
[modifica]- Il servo e amico dell'Altissimo, Francesco, ebbe questo nome dalla divina Provvidenza, affinché per la sua originalità e novità si diffondesse più facilmente in tutto il mondo la fama della sua missione. (parte I, cap. I, § 3; § 583, p. 363)
- [Francesco] Un giorno incontrò un cavaliere povero e quasi nudo: mosso a compassione, gli cedette generosamente, per amor di Cristo, le proprie vesti ben curate che indossava.
È stato, forse, da meno il suo gesto di quello del santissimo Martino? Eguali sono stati il fatto e la generosità, solo il modo è diverso: Francesco dona le vesti prima del resto, quello invece le dà alla fine, dopo aver rinunciato a tutto. Ambedue sono vissuti poveri e umili in questo mondo e sono entrati ricchi in cielo. Quello, cavaliere ma povero, rivestì un povero con parte della sua veste; questi, non cavaliere ma ricco, rivestì un cavaliere povero con la sua veste intera. Ambedue, per aver adempiuto il comando di Cristo, hanno meritato di essere, in visione, visitati da Cristo, che lodò l'uno per la perfezione raggiunta e invitò l'altro, con grandissima bontà, a compiere in se stesso quanto ancora gli mancava. (parte I, cap. II, § 5; § 585, p. 365) - [Francesco] Da quando iniziò a servire il Signore di tutti, amò sempre di fare le cose comuni, evitando ovunque la singolarità, sentina di tutti i vizi. (parte I, cap. IX, § 14; § 600, pp. 371)
- Tutto lenisce l'amore e rende assolutamente dolce ciò che è amaro. (parte I, cap. IX, § 14; § 600, pp. 372)
- Ora io ritengo che Francesco sia stato come uno specchio santissimo della santità del Signore e immagine della sua perfezione. Tutte le sue parole e azioni hanno, per così dire, un profumo divino. Chi le esamina con diligenza e le segue umilmente raggiunge ben presto, a questa scuola di saggezza, la sua altissima sapienza. (parte II, introduzione, § 26; § 613, p. 380)
- Si deve sempre evitare la singolarità: non è altro che un bel precipizio. Lo dimostra chiaramente il caso di tanti amanti della singolarità, che si innalzano al cielo e scendono in fondo all'abisso. (parte II, cap. II, § 28; § 615, p. 381)
- L'ostinazione di solito porta a funesta rovina perché, confidando nelle proprie forze, non merita l'aiuto celeste. Se infatti si deve sperare la vittoria dall'alto bisogna pure attaccare battaglia solo dietro ispirazione divina. (parte II, cap. IV, § 30; § 617, p. 383)
- Chi vive nel fango, vede necessariamente solo fango; mentre non è possibile che l'occhio fisso al cielo non comprenda le realtà celesti. (parte II, cap. XXIV, § 54; § 640, p. 400)
- Di tutte le virtù è custode e decoro l'umiltà. Se questa non è messa come fondamento dell'edificio spirituale, quando esso sembra innalzarsi si avvia alla rovina. (parte II, cap. CII, § 140; § 724, p. 454)
- Certamente l'insegnamento della pietà cristiana porterebbe nel mondo intero maggior frutto, se un vincolo più forte di carità unisse i ministri della parola di Dio. Perché, a dire il vero, ciò che diciamo o insegniamo è reso sospetto da questo soprattutto, che in noi segni evidenti rendono palese un certo lievito di odio. (parte II, cap. CIX, § 149; § 733, p. 460)
- Che cos'è infatti l'autorità in mano a un superiore temerario, se non una spada in mano a un pazzo? (parte II, cap. CXIII, § 153; § 737, p. 463)
- [...] la discrezione, unica guida delle virtù. (parte II, cap. CXIV, § 154; § 738, p. 463)
- Cos'è infatti il detrattore se non il fiele degli uomini, fermento di malvagità, disonore del mondo? Che cos'è l'uomo doppio di lingua se non lo scandalo dell'Ordine, il veleno del chiostro religioso, la disgregazione dell'unità? (parte II, cap. CXXXVIII, § 182; § 769, p. 481)
- Il santo [Francesco] praticava personalmente con cura particolare e amava negli altri la santa semplicità, figlia della grazia, vera sorella della sapienza, madre della giustizia. Non che approvasse ogni tipo di semplicità, ma quella soltanto che, contenta del suo Dio, disprezza tutto il resto. (parte II, cap. CXLII, § 189; § 775, p. 485)
- [Francesco] Fra le altre parole, che ricorrevano spesso nel parlare, non poteva udire l'espressione «amore di Dio» senza provare una certa commozione. Subito infatti, al suono di questa espressione «amore di Dio» si eccitava, si commoveva e si infiammava, come se venisse toccata con il plettro della voce la corda interiore del cuore. [...] Da parte sua, osservò infallibilmente sino alla morte il proposito, che aveva fatto quando era ancora nel mondo, di non respingere alcun povero che gli chiedesse per amore di Dio. (parte II, cap. CXLVIII, § 196; § 784, pp. 490-491)
- [Francesco] Venerava con il più grande affetto gli angeli, che sono con noi sul campo di battaglia e con noi camminano in mezzo all'ombra della morte. Dobbiamo venerare, diceva, questi compagni che ci seguono ovunque e allo stesso modo invocarli come custodi. Insegnava che non si deve offendere il loro sguardo, né osare alla loro presenza ciò che non si farebbe davanti agli uomini. (parte II, cap. CXLIX, § 197; § 785, p. 491)
- [Francesco] Al di sopra di tutte le altre solennità celebrava con ineffabile premura il Natale del Bambino Gesù, e chiamava festa delle feste il giorno in cui Dio, fatto piccolo infante, aveva succhiato a un seno umano. Baciava con animo avido le immagini di quelle membra infantili, e la compassione del Bambino, riversandosi nel cuore, gli faceva anche balbettare parole di dolcezza alla maniera dei bambini. (parte II, cap. CLI, § 199; § 787, p. 492)
- Francesco era zelantissimo per la vita comune e la Regola, e lasciò una particolare benedizione a quanti ne zelavano l'osservanza.
Questa, ripeteva, è il libro della vita, speranza di salvezza, midollo del Vangelo, via della perfezione, chiave del paradiso, patto di eterna alleanza. Voleva che tutti ne avessero il testo e la conoscessero molto bene, e ne facessero sempre oggetto di meditazione con l'uomo interiore, come sprone contro l'indolenza e a memoria delle promesse giurate. Insegnò ad averla sempre davanti agli occhi, come richiamo alla propria condotta e, ciò che più importa, a morire con essa. (parte II, cap. CLVIII, § 208; § 797, p. 498) - Per quanto riguarda la fedeltà che avevano giurata, i frati di quel tempo non la ritenevano dura o gravosa, ma erano prontissimi a fare in tutto più del dovere. Del resto, è chiaro che non vi può essere tiepidezza o pigrizia dove lo stimolo dell'amore sprona sempre più in alto. (parte II, cap. CLIX, § 209; § 799, p. 499)
Trattato dei miracoli di san Francesco
[modifica]- [Francesco] arrivò in un luogo ove si era radunata una grandissima quantità di uccelli di varie specie. Avendoli scorti, il santo di Dio per il particolare amore del Creatore, con cui amava tutte le creature, accorse sollecitamente in quel luogo, salutandoli nel modo consueto, come se fossero dotati di ragione. Poiché gli uccelli non volavano via, egli si avvicinò e, andando e venendo in mezzo a loro, toccava con il lembo della sua tonaca il loro capo e il loro corpo. Pieno di gioia e di ammirazione, li invitò ad ascoltare volentieri la parola di Dio e così disse: «Fratelli miei uccelli! Dovete lodare molto il vostro Creatore e sempre amarlo perché vi ha rivestito di piume e vi ha donato le penne per volare. Infatti tra tutte le creature vi ha fatti liberi, donandovi la trasparenza dell'aria». (cap. IV, § 20; § 843, pp. 529-530)
- Un nobile, del contado di Siena, mandò al beato Francesco infermo un fagiano. Egli lo ricevette con gratitudine, non per il desiderio di mangiarlo, ma secondo l'abitudine per la quale si rallegrava di tali cose per amore del Creatore, e disse al fagiano: «Sia lodato il nostro Creatore, fratello fagiano!». E ai frati: «Proviamo ora se frate fagiano voglia stare con noi, oppure andarsene nei luoghi abituali e a lui più confacenti». Allora un frate, per ordine del santo, portando l'uccello lo pose lontano in un vigneto. Esso subito, con volo rapido, ritornò alla cella del padre, che ordinò ancora di portarlo più lontano. L'uccello con estrema velocità tornò alla porta della cella e, come facendo violenza, entrò di sotto le tonache dei frati che erano all'ingresso. Allora il santo ordinò di nutrirlo con cura, accarezzandolo e parlandogli dolcemente. (cap. IV, § 26; § 849, pp. 531-532)
- Accanto alla cella del santo di Dio, presso la Porziuncola, una cicala, che stava di solito su un fico, cantava frequentemente con la consueta dolcezza. Il beato padre una volta, stendendo la mano, la chiamò con dolcezza verso di sé: «Sorella mia cicala, vieni da me!». Ed essa, come dotata di ragione, subito si pose sulla sua mano. Ed egli rivolto ad essa: «Canta, sorella mia cicala, e loda con la tua letizia il Signore creatore». (cap. IV, § 27; § 850, p. 532)
- Presso Greccio fu offerto a san Francesco un leprotto vivo e ancora in forza. Posto di nuovo in libertà poteva fuggire dove voleva; quando il santo lo richiamò a sé, quello agilmente gli saltò sul petto. Il santo, ricevendolo benevolmente e ammonendolo dolcemente di non farsi più prendere, lo benedisse e gli ordinò di tornare nella selva. (cap. IV, § 29; § 852, p. 532)
- Le allodole, amiche della luce del giorno e paurose delle ombre del crepuscolo, quella sera in cui san Francesco passò dal mondo a Cristo, pur essendo già iniziato il crepuscolo, si posarono sul tetto della casa e a lungo garrirono roteando attorno. Non sappiamo se abbiano voluto a modo loro dimostrare la gioia o la mestizia, cantando. Esse cantavano un gioioso pianto e una gioia dolorosa, quasi piangessero il lutto dei figli o volessero indicare l'entrata del padre nell'eterna gloria. (cap. IV, § 32; § 855, p. 533)
- Temano i bestemmiatori e non si illudano che le parole si dissipino nell'aria, né che manchi il vendicatore delle offese fatte ai santi. (cap. XIV, § 129; § 950, p. 572)
Ahi che il giorno de l'ira di Cristo,
Quel gran giorno da Vati previsto,
Arso il mondo e consunto farà,
Quando austero il divin Giudicante
L'opre umane a librar tuttequante
Infra 'l muto spavento verrà.
- Dies irae, dies illa
- solvet saeclum in favilla:
- teste David cum Sibylla.
- Quantus tremor est futurus,
- quando iudex est venturus,
- cuncta stricte discussurus!
Note
[modifica]- ↑ Cfr. Gesù, Discorso della Montagna: «Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città collocata sopra un monte, né si accende una lucerna per metterla sotto il moggio, ma sopra il lucerniere perché faccia luce a tutti quelli che sono nella casa. Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli».
- ↑ Dalla Lettera al sommo pontefice sul testo della vita di santa Chiara vergine; citato in Vita di Chiara d'Assisi, p. 13.
Bibliografia
[modifica]- Tommaso da Celano, Dies Irae, traduzione di Giovanni Marchetti, in "Rime e prose", vol. II, Napoli, Tipografia di Francesco Saverio Tornese, 1857.
- Tommaso da Celano, Trattato dei miracoli di san Francesco, traduzione di Teodosio Lombardi e Maurizio Malaguti, revisione di Modestino Cerra, in Fonti francescane, Editrici Francescane, Padova, 2018. ISBN 978-88-8135-026-1
- Tommaso da Celano, Vita di Chiara d'Assisi. Testamento, lettere, benedizioni di santa Chiara, a cura di Giovanni Casoli, Città Nuova, Roma, 1999. ISBN 88-311-1404-2
- Tommaso da Celano, Vita prima, traduzione di Abele Calufetti e Modestino Cerra, in Fonti francescane, Editrici Francescane, Padova, 2018. ISBN 978-88-8135-026-1
- Tommaso da Celano, Vita seconda, traduzione di Saverio Colombarini, revisione di Modestino Cerra, in Fonti francescane, Editrici Francescane, Padova, 2018. ISBN 978-88-8135-026-1
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