Ugo Dettore
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Ugo Dettore (1905 – 1992), scrittore, traduttore e parapsicologo italiano.
Citato in Giuseppe Passariello, Voci del tempo nostro
[modifica]- Arlecchino nasce [...] sotto il segno della stupidità: una stupidità insolente, famelica che si addipana nei fili dell'intrigo dai quali si libera con salti acrobatici e botte alla cieca; così ce lo rappresentano sul finire del [XVI°] secolo due Arlecchini famosi: il Gavazzi e il Martinelli. Nel Seicento, Domenico Biancolelli ne raggentilisce i modi e il costume; i frammenti multicolori si ordinano a losanga, appare il gran colletto bianco e, in egual tempo, la grossolanità facchinesca diventa brio indiavolato, i salti scomposti acquistano ritmo di danza.
Il Goldoni accolse questo tipo già incivilito: il suo Arlecchino ha sempre il desinare come sommo bene, ma se lo sa guadagnare con una arguzia popolare non priva di eleganza.
Nell'Ottocento romantico la nota predominante di Arlecchino non è più il suo appetito ma il suo costume policromo che si allea per contrasto all'idealismo monocorde e sospiroso dei tanti altri personaggi. Il Romanticismo sembra vedere in Arlecchino una possibilità di evadere da se stesso e per questo lo ama, vedendo in lui un bizzarro simbolo di tutte quelle infinite possibilità di essere, di cui con tanta ansia cercava di realizzarne almeno una.[1] - È difficile definire il carattere di Pulcinella, sebbene sia inconfondibile: a generalizzarlo ci troviamo dinanzi il solito tipo del buffone tonto o mangione, scaltro nelle situazioni elementari, sciocco altrimenti, bastonatore tremendo quando gli se ne offre il destro e spesso giustiziere, talora bastonato. Ma la sua personalità vera è più addentro, in una specie di filosofia sommaria, ora ottimista ora amara, che è il fondamento della sua vivacità indiavolata: in Arlecchino, antico quasi come lui, c'è la bestia, il diavolo del medioevo nordico, l'umanità degenere; in Pulcinella c'è tutta l'antica esperienza dell'uomo. E non è sempre ridevole esperienza. Per questo la sua mezza maschera nera è solcata da profonde rughe.[2]
- Domenico Tiepolo ce lo presenta in una celebre serie di seppie, funambulo, acrobata, indiavolato nel gesto e tuttavia avvolto in un infinito, incomunicabile silenzio. Ed è il silenzio suo, delle sue rughe profonde, dell'esperienza popolare dall'antico Maccus a noi, che con tutte le sue chiacchiere, le sue strida chioccie, le sue diavolerie, Pulcinella non vorrà mai incrinare.[2]
Note
[modifica]Bibliografia
[modifica]- Giuseppe Passariello, Voci del tempo nostro. Antologia di letture moderne e contemporanee, Società Editrice Internazionale, Torino, stampa 1968.
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