Pietro Fanfani

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Pietro Fanfani

Pietro Fanfani (1815 – 1879), scrittore e filologo italiano.

Incipit di alcune opere[modifica]

Cecco d'Ascoli[modifica]

Il dì 26 di luglio del 1326[1] tutta Firenze era in festa: le torri e le logge de' grandi, le residenze delle arti maggiori e minori, i sestieri e i nobili palagj, sventolavano di pennoni, di gonfaloni e di bandiere; le vie erano gremíte di popolo, che si accalcava specialmente intorno al palagio del podestà; e molta gente avviavasi verso porta S. Gallo, la cui torre era stata edificata di fresco con disegno di Arnolfo di Cambio, ed era tutta adorna delle bandiere di parte guelfa, del popolo fiorentino, della repubblica, del papa e del re Roberto di Napoli.

Novelle e ghiribizzi[modifica]

Don Ficchíno[modifica]

Don Ficchíno, morto pochi anni addietro d'indigestione, fu un pretazzuolo d'una piccola città di Toscana: e gli posero quel soprannome per la grande sua smania di ficcarsi attorno a tutti coloro che avevano nobiltà, ricchezza, o fama di letterati solenni.

La consolazione della vedova[modifica]

La novella della Vedova d'Efeso, raccontata prima da Fedro, poi da Apulejo, e poi da altri e altri, non è fatta se non per provare quanto facilmente l'uomo, e specialmente la donna, dimentica le persone più care furàtele dalla morte.

I tordi-merli[modifica]

Antonio Guidi era un assai valente calzolaio di Pistoja, che, facendo buoni guadagni, volle accasarsi, e sposò una onesta fanciulla di Prato, buona, timorata di Dio, e martire del lavoro, se non quanto era un poco ciarliera e caparbia; con la quale visse in concordia due o tre anni, andando sempre le loro cose di bene in meglio, e facendo vita molto agiata e lietissima, raramente turbata da' piccoli diverbj che ci sono sempre tra moglie e marito: tanto che erano l'invidia de' loro pari.

Le píllole bachícche[modifica]

Molti Fiorentini debbono ricordarsi di quel signore, con quella bella barba bianca che gli scendeva fino sul petto, alto della persona, sempre nobilmente vestito, il quale la sera dalle ventitré alle ventiquattro passeggiava su e giù per via Cavour, seguíto sempre da un suo spropositato cane di Terranuova.

La discrezione de' Frati[modifica]

Quando si vuol tassare di indiscreta una tal persona, gli si suol dire che la sua è discrezione da frati. Con molti esempj si potrebbe chiarire tal dettato familiare: io voglio darvi il seguente, come me lo ha raccontato un legnajuolo fiorentino. Udite.

Una scommessa[modifica]

In un cròcchio di giovani tutti studiosi, ma tutti svegli, nemici dell'ipse dixit e di ogni pedantería, ne cápita spesso uno, studioso anch'esso e sveglio, ma cruscajuolo[2], e un poco pedante, il quale benché sia il rovescio degli altri, pure vi è ricevuto volentieri, come colui che in fin de' conti è un buon diavolaccio, e serve di molto spasso per le ingegnose difese ch'e' sa trovare a tutti i più sbardellati spropòsiti del Vocabolario novello, le quali, non che le sieno valutate nulla rispetto alla critica, ma sono mirabili per i sottili partiti che il nostro Gabriello (chiamiamolo così) riesce a trovare.

Il Genio d'Italia col capo di cavallo[modifica]

In quest'anno di grazia 1878, non dirò in qual città, ma per gli esami di licenza liceale avvenne un caso grazioso e nuovo, se mai ne fu. Tra' molti giovani, che erano andati là a farsi licenziare, ce n'era uno, che i suoi compagni lo chiamavano per soprannome Pepe, come colui che quanto era di ingegno vivacissimo, tanto era arguto e pungente motteggiatore.

Sero sapiunt Phryges[modifica]

È ci fu, a' tempi del re Pipino, un certo villanzone chiamato Libáno, il quale aveva la smania di tenere il più bel par di buoi che si potessero vedere in tutti que' contorni, e gli soggiornava[3], e gli lisciava, che neanche fossero stati figliuoli. Alla mangiatoia gli teneva legati lentamente con piccola cordicella; e nell'estate, perché non affogassero dal caldo, andato via il sole, lasciava spesso l'uscio aperto: «Tanto, dove hanno a stare meglio di qui? Non son minchioni a scappare!»

Il mio ciuco è andato sempre di qui[modifica]

Un merciajo ambulante soleva andare ogni due mesi in paese di montagna con la sua merce, che egli caricava sopra un ciuchetto; e come quelle massaje lo attendevano, così egli la vendeva tutta, e ritornava in giù con un buon grúzzolo di quattrini. Le strade, per le quali bisognava passare, sarebbero state, per dirla con Dante, alle capre duro varco; ma quel buon ciuco, ci aveva fatto i piedi, e vi passeggiava speditamente.

Di un francese che voleva digiunare[modifica]

Un gentiluomo francese, curioso di veder l'Italia, si partì da Parigi con intenzione d'osservare e di fare una memoria distinta delle cose più memorabili che vedrebbe nel suo viaggio. Arrivato in Bologna, volle trattenervisi. Partito dal suo albergo il giorno seguente assai per tempo, andò per due ore girellando per la città.

Il sarto raddirizzagobbi[modifica]

Si fa un gran dir per Firenze di quel tale omiciáttolo gobbo e stralinco[4], il quale, anni addietro, un po' col ripicchiarsi, un po' col far le moíne a questo e a quello, e un altro po' sforzandosi quanto poteva di coprire i suoi sformati difetti, aveva saputo tanto fare, che era pur passato, non solo per un uomo come gli altri, ma aveva fatto anche, come suol dirsi, qualche passioncella.

Del frate cambiato in asino[modifica]

Un contadino gelato dal freddo, smontò di sull'asino per camminare a piedi: il che vedendo due francescani, che in Francia sono chiamati cordeliers disse l'uno al compagno: – S'avessi io un asino, non sarei tanto pazzo di condurlo per la briglia, ma bensì mi farei portare fin al convento.

Sette di vino[modifica]

Vi fu una volta un Lanzo, di quelli che facevano la guardia al tempo de' Medici, il quale avendo poche crazie da spendere pel desinare, si mise a fare il conto come le avesse a spendere, e diceva:«Sette di vino; tanto della tal cosa, tanto della tal'altra, ecc.» e mancandogliene, o per il pane o per altro incominciò più e più volte a far il conto, ma sempre cercava di scemare sulle altre cose, e sul vino mai; e incominciava ogni volta: Sette di vino.

Una gita degli alpinisti sul medio evo[modifica]

Anni sono si fece un gran ridere di quel tale che, studiando attentamente una carta geografica, domandato che cosa cercasse, rispose: Cerco il Medio evo, del quale parlano spesso le storie; e come egli è ancor vivo e verde, tutti, ed egli lo sa, lo mostrano a dito per ciò, e gli amici suoi spesso spesso ne lo mettono in canzonella.

Il diavolo scolaro de' Gesuiti[modifica]

Quanti fossero i giochetti, i gingilli, le arguzie, per via delle quali si infondeva la scienza ne' giovani scolari dai R. R. Padri Gesuiti, lo sanno tutti coloro che punto punto conoscono la storia della pede.... – no, volevo dire della pedagogía italiana, e ne fanno tuttora testimonianza parecchie opere scolástiche composte da loro, tra le quali basti guardare il Miles Rethoricus del P. Forti.

L'ipòcrita còlto al laccio[modifica]

Cominciando da Gesù Cristo, e venendo giù giù noverando i grandi uomini di 19 secoli, tutti hanno predicato che gli ipòcriti sono la peggior canaglia che viva sotto la cappa del sole: e sono da reputare benefattori dell'uman genere coloro che gli scherniscono, o qualche volta riescono a strappar loro la maschera, scoprendo la loro furfanteria.

La pasta frolla[modifica]

Nei primissimi anni della mia gioventù, quando mi ero messo a studiar le scienze mediche nella scuola assai fiorente che era in que' tempi allo spedal di Pistoja, tra quelli spedalini, come si chiamavano gli scolari, che tutti passavano per scapati e un po' rompicolli, io ero forse il più rompicollo ed il più scapato di tutti.

La visita di un Ispettore scolastico; commedia fatta per celia[modifica]

FABRIZIO e GIULIA.
Seduti ad un tavolino che fanno colazione.

Giulia – Ma, caro Fabrizio, con questo tuo sindacato mi par d'esser diventata vedova. Questo momento della colazione... il pranzo a fuggi fuggi... poi, o c'è consiglio o c'è l'adunanza...
Fabrizio – Hai ragione; ma tu lo vedi da te, non ho un momento di bene. Che, che! non ne vo' più io: vo' pensare alle cose mie le quali, se duro un altro po' a fare il sindaco, vanno tutte a rotta di collo.

L'Arlecchino, il Brighella e il Còla del Vocabolario novello della Crusca; scherzo drammatico[modifica]

(Il PRIMO COMPILATORE è seduto su una gerla dinanzi al suo tavolino, e sta lavorando al gran Codice della Nazione. Scrive, pensa e si gratta il capo: ha dinanzi un monte di libri d'ogni sesto)

Ecco fatto. Questa etimología mi è costata sudori di sangue; ma posso dire di aver dato nel segno. (Legge) «ADRUGÍNO. Avv. Rim. Ant. F. Pucciarell. 2, 219: E s'ella (la piena) vuol pure al tutto affondarmi Nel suo andare a mettermi adrugino, Io mi lamento, e dico: o me tapino! (Forse questo strano vocabolo s'ha a leggere a drugino, e sembra una corruzione di a ritrécine, dicendosi figuratam. Andare a ritrecine, per Andare a rovina, a precipizio. Così qui Mettere a drugino significherebbe Mettere a precipizio.» Sta ottimamente. (Chiama) Rontino!

Il Codino[modifica]

La CRUSCA, L'AUTORE e RONTINO.

Autore – Ma che diavol di faccenda sia questa? come mai esser invitati a questo tribunale la Crusca ed io? Che ci sia qualche pastíccio? Oh oh! zitti, ecco la sora Crusca. Guarda come gli lustra il pelo, e come l'è in ghíngheri! Chi la sa non la insegni!
Crusca – (Entrando vede l'autore, e fa appena pena l'atto di chinare il capo, ma assai muffosamente: l'autore fa altrettanto con lieve riso corbellatorio. La Crusca, voltandosi indietro, dice) Rontino, dammi da sedere.
Rontino – (Porta innanzi una sèggiola) I' non gli posso dar altro che questa ciscranna che qui: la non lo vede che mobilia ch'e' c'è in questa stamberga? S'i' credeo, i' portao con meco una delle nostre gerle.

Il Collare della SS. Annunziata; tragedia di un verista, in tre atti[modifica]

LO SHACH e il GRAN VISIR. Lo Shach è accoccolato in terra e sta fumando.

Shach – Questo Re d'Italia è bravo e cortese.
Gran Visir – Ed amato dal suo popolo.
Shach – Come c'entra il popolo? Chétati.
Gran Visir – (Fa profonda riverenza)
Shach – Ed il Kan di questi preti di Torino è bravo anche lui. Dágli 500,000 franchi per il suo Shach, che è prigioniero in Roma.
Gran Visir – Gli mangerà mezzi per sé.
Shach – Chétati.
Gran Visir – (Fa profonda riverenza)

Note[modifica]

  1. Questa data si trova in alcuni Prioristi manoscritti.
  2. Il vero Cruscajuolo ha già rinunziato alla ragione, per ascoltare solo l'autorità. Lo 'nfarinato e lo 'nferigno sono i veri profeti; il signor Arciconsolo è il solo papa; unico vangelo linguistico il vocabolario della Crusca, la quale è pur essa infallibile: i censori della Crusca sono eretici, ciurmatori, furfanti. Spesso il Cruscajuolo è un professoricchio di ginnasio, o un impiegatuccio d'archivio, che lustra le scarpe, e fa il servitorino a' capi Cruscanti, o per avere avanzamenti, o per essere fatto accademico. Se, per caso rarissimo, il Cruscajuolo ha un po' d'ingegno, o prima o poi si vergogna, e abjura la fede cruschevole.
  3. Gli soggiornava. Aveva per essi tutte le cure più gelose, affinché nulla mancasse loro.
  4. Stralinco è l'uomo storto e contraffatto di tutte le membra.

Bibliografia[modifica]

Altri progetti[modifica]