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Vera Gheno

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Vera Gheno

Vera Gheno (1975 – vivente), accademica, linguista, saggista e traduttrice italiana.

Citazioni di Vera Gheno

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  • [Cosa ti ha convinta del fatto che anche la lingua può contribuire al riconoscimento delle donne?] Il fatto di subire il patriarcato nella mia vita di tutti i giorni. L’aver notato che a certe persone dà fastidio la parola stessa, perché sottintende una presenza femminile che prima non c’era. Per me, usare i femminili prima di tutto per riferirmi a me stessa è un modo per mettere il dito nell’occhio di chi non solo non vuole usare i femminili, ma avrebbe pure piacere non vedere proprio le femmine. Quindi sì, la mia scelta è politica e ci sono arrivata schifata dal maschilismo insito nel mio quotidiano.[1]
  • Pensi all'italiano, dove il maschile è lo standard. Si sta facendo fatica ma qualcosa si muove. Relativizzare il proprio punto di vista è il primo passo verso l'inclusione. Anche attraverso il modo in cui parliamo.[2]
  • Se si è portatori di diversità, la società deve cominciare a garantire spazi di parola. Le faccio un esempio: si parla delle persone con autismo ma non si dà loro la parola. Ecco, bisogna aprire gli spazi di rappresentanza, di ascolto. Non è un peso, ma un valore che poi arricchisce tutta la società.[2]

Intervista di Cinzia Sciuto, micromega.it, 26 aprile 2021.

  • [...] la prima volta che mi è venuta in mente l'idea dello schwa (che poi ho scoperto essere una proposta che già circolava, per cui in verità non ho inventato proprio nulla) è stato in risposta a una persona che mi ha espresso il suo disagio nell'uso del maschile e del femminile a cui l'italiano la costringeva. Questa persona non si sentiva a suo agio perché non pensava a se stessa né come maschio né come femmina. Altro che imposizione dall'alto: questi ragionamenti vengono da esigenze espresse dal basso.
  • Da linguista mi sono sempre occupata dei fenomeni di confine, mi sono sempre affacciata proprio lì dove la lingua cambia, si modifica – il gergo giovanile, il gergo della trap eccetera – le sperimentazioni non mi spaventano. Ho iniziato a studiare le soluzioni che erano già in uso – l'asterisco, la chiocciola, la x eccetera – che hanno tutte un forte limite: si possono scrivere, ma non si possono pronunciare. Da qui l'idea di iniziare a sperimentare lo schwa.
  • [Che però è un suono che in italiano non esiste.] È parzialmente vero, nel senso che è vero che non esiste nell'italiano standard ma è un suono che spesso usiamo inconsapevolmente (per esempio quando in una frase c'è una parola tronca) e che esiste in moltissimi dialetti italiani (la "e" di "curre curre guagliò" in napoletano è esattamente uno schwa), per cui non è un suono completamente estraneo al nostro apparato fonetico. In ogni caso, questo non è un argomento ostativo. Nelle lingue succedono tante cose: possono perdere suoni o lettere o acquisirne di nuovi. Tutto dipende semplicemente dall'uso che ne fanno i parlanti.
  • Qui nessuno sta proponendo di sostituire il femminile con lo schwa. Nessuna donna dovrà rinunciare al suo appellativo femminile. Lo schwa fa un'unica cosa: sostituisce il maschile sovraesteso quando ci si rivolge a una moltitudine mista e indefinita.
  • Il problema è che questa discussione, che da anni si svolge in contesti precisi e delimitati di specialisti o di attivisti, oggi con i social è dilagata provocando insicurezze. [...] Queste insicurezze diffuse vanno assolutamente tenute in considerazione, come anche – e questa è una delle mie più grosse remore all'uso dello schwa – le oggettive difficoltà di lettura che l'introduzione repentina di un nuovo simbolo comporterebbe per una consistente fetta di popolazione, penso non solo agli anziani ma soprattutto ai dislessici. Paradossalmente un'operazione mirante al'inclusività rischia di essere discriminante. Per questo io, per esempio, non uso lo schwa nei miei libri divulgativi ma soltanto in precisi contesti e per questo non suggerirei di introdurre oggi lo schwa o qualunque altro simbolo "eccentrico" nei documenti ufficiali eccetera. Siamo ancora nel terreno della sperimentazione, non esistono ancora regole condivise per esempio sulle concordanze, sull'uso dell'articolo e si rischia che escano fuori dei mostri.
  • [Insomma, lo schwa è innanzitutto un manifesto politico prima che una concreta proposta linguistica?] Al momento sicuramente sì. Se io apro un post su Fb scrivendo "Carə tuttə" sto segnalando una mia precisa posizione politica, sto dicendo fin dalla prima riga che mi pongo in una posizione di apertura e accoglienza nei confronti di esigenze di cui riconosco la legittimità. Non sto dicendo che è la soluzione definitiva né la sto imponendo a tutti. Io sono molto curiosa di vedere come si evolverà la nostra lingua da questo punto di vista da qui a cinquant'anni, nessuno può prevederlo né tantomeno imporre una o l'altra soluzione. In questo momento penso che sia interessante osservare il fenomeno, guardare tutte le proposte, sperimentare fino ai limiti della fantalinguistica. 

Note

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  1. Dall'intervista di Giorgia Favero, Parole, parole, parole soltanto parole?, lachiavedisophia.com, 26 novembre 2021.
  2. a b Dall'intervista di Nicola Saldutti, «Le parole contano e schiacciano sempre i più deboli», Corriere della Sera, 10 settembre 2022.

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