Vladimir Jakovlevič Zubcov
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Vladimir Jakovlevič Zubcov, noto come Zazubrin (1895 – 1937), scrittore sovietico.
La scheggia
[modifica]- Ah, ecco qua come son fatte le porte per l'altro mondo: non hanno i cardini. D'ora in poi lo saprò.
- Coi vestiti addosso ammazzano solo gli assassini. E noi, bello, non ammazziamo, noi giustiziamo. La pena capitale, caro mio, è una grandissima cosa.
- E lui la rivoluzione la serviva di buon grado, coscienziosamente, come un buon padrone. Lui non sparava, lui lavorava. (In fin dei conti a Lei non interessa chi e come spara. A Lei serve solo distruggere i propri nemici).
- E ora questa lettera del padre. L'aveva ricevuta due giorni fa, e non voleva uscirgli dalla testa. Certo, non erano pensieri suoi, il padre ripeteva le idee di qualcun altro [Dostoevskij]... Immagina di costruire tu stesso l'edificio del destino umano al fine di rendere felici gli uomini, di dargli pace e tranquillità, ma che per questo sia indispensabile torturare a morte una sola minuscola creatura, fondare quell'edificio sulle sue lacrime. Acconsentiresti ad esserne l'architetto? Io, tuo padre, rispondo: no, mai – e tu, invece... Tu pensi di erigere l'edificio della felicità umana su milioni di torturati, fucilati, annientati... Ti sbagli... L'umanità futura rifiuterà questa «felicità» costruita sul sangue umano...
- Io sono un operaio, voi un intellettuale. Io ho l'odio, voi avete la filosofia.
- So che gli uomini sono pronti a lasciarsi accecare da un'idea al punto di perdere la facoltà di ragionare, di distinguere il bianco dal nero.
- L'esecuzione segreta, in un sotterraneo, senza effetti spettacolari, senza l'annuncio della condanna, improvvisa, ha un effetto deprimente sul nemico. L'enorme, spietata e onnisciente macchina afferra di colpo le sue vittime e le schiaccia, le macina come in un tritacarne. Dopo l'esecuzione non si sa più il giorno esatto della morte, non ci sono ultime parole, non c'è il cadavere, non c'è neppure una tomba. Vuoto. Il nemico è stato completamente annientato.
- Quando la luna ha illuminato i volti insanguinati dei giustiziati, le facce dei cadaveri, ho pensato, non so perché, alla mia morte. Loro sono morti – morirai anche tu. La legge di questa terra è semplice e crudele: nasci, procrea, muori. E ho pensato all'uomo: possibile che quest'uomo che con gli occhi dei telescopi perfora l'etere, che abbatte le frontiere della terra, che fruga nella polvere dei secoli, che legge i geroglifici, che si aggrappa avidamente al presente, che si lancia audacemente nel futuro, l'uomo che ha conquistato terra, acqua, aria – possibile che quest'uomo non raggiunga l'immortalità? Vivere, lavorare, amare, odiare, soffrire, studiare, accumulare una massa di esperienze e di conoscenze, per poi trasformarsi in una carogna maleodorante... Che cosa assurda...
Bibliografia
[modifica]- Vladimir Zazubrin, La scheggia, traduzione di Serena Vitale, in Piccola Biblioteca, Adelphi, 1990. ISBN 9788845907548
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Opere
[modifica]- La scheggia (1923, pubblicato nel 1989)