Alafair Burke

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Alafair Burke nel 2013

Alafair S. Burke (1969 – vivente), scrittrice e magistrato statunitense.

Intervista ad Alafair Burke, autrice de "la ragazza nel parco"

Andrea Bressa, panorama.it, 14 novembre 2016.

  • A lungo ho pensato che la tecnologia fosse un nemico per uno scrittore di gialli. Per rischiare di perdere le caratteristiche più classiche del genere, ti ritrovi a dover ricorrere a una serie di escamotage, come far scaricare la batteria del cellulare ai protagonisti nel momento in cui potrebbero usarlo per tirarsi fuori dai guai, o fare in modo che i personaggi secondari non siano sui social – perché altrimenti perderebbero il loro mistero. Ma ho imparato che la tecnologia può anche essere il miglior amico di un autore di romanzi crime. In un mondo dove siamo tutti connessi, in cui chiunque può avere una falsa identità, dove l'anonimato è potere, e dove anche un dilettante può improvvisarsi investigatore, la tecnologia offre agganci preziosi per la costruzione di una trama.
  • Ho lavorato come avvocato per cinque anni, di cui due in una stazione di polizia come consulente legale nelle indagini. Il sistema giudiziario in ambito criminale, che sia molto burocratizzato o governato completamente dal caos, potrebbe essere di per sé un personaggio di un romanzo. Non c'è dubbio che i miei romanzi sarebbero stati molto diversi se non avessi vissuto in prima persona quel mondo.
  • I processi veri sono lunghi e spesso noiosi, mentre i romanzi possono saltare le lungaggini legali e passare direttamente alle parti più succose. Anche quando gli avvocati non sono in aula, il loro lavoro ha un sacco di potenziale narrativo: prove da raccogliere, testimoni riluttanti da convincere, segreti sepolti da portare alla luce. Gli avvocati sono esattamente a metà tra detective amatoriali e investigatori di mestiere. E poi tendono ad avere delle vite belle incasinate, il che aiuta.
  • Sono stata a lungo una lettrice prima di cominciare a scrivere. Probabilmente il successo di mio padre, James Lee Burke, mi aveva in un certo senso protetta dal rischio di avere delle aspirazioni in quel campo. Ma più leggevo gialli, più mi rendevo conto che il sistema giudiziario criminale, che ben conoscevo da avvocato, non era mai descritto accuratamente. Così decisi di scrivere un romanzo su un avvocato, uno solo, e finirla lì. Invece poi ho capito di avere più di una storia da raccontare. Costruire una trama per me è come fare un puzzle. E da quando ho cominciato a vivere a New York, scrivere di questa città è diventato un ulteriore spunto, nonché una sorta di esplorazione culturale. E a quel punto, se non avessi continuato, sarei impazzita.

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